Ci si può scandalizzare davanti alle parole del premier ungherese Viktor
Orban per il quale l'immigrazione illegale è una "minaccia per
l'Europa" e l'Unione europea non fa nulla per difendersi dalle "masse
di clandestini" che contribuiscono "a far prosperare terrorismo,
disoccupazione e criminalità", ma credo che molti veneti condividano
questa analisi.
Ormai stiamo andando
verso un punto di svolta e la tensione susseguente alle azioni di sostegno agli
immigrati giunti attraverso il Canale di Sicilia o dalle frontiere orientali
può far saltare equilibri sociali che la crisi economica, e scelte politiche
non sempre adeguate, hanno già messo a dura prova.
Il 26 giugno 2013 si approvò il
Regolamento UE n. 604, il cosiddetto Dublino III, accolto anche dall’attuale
maggioranza di governo, che stabilisce il principio generale per cui
spetta allo Stato dell’Ue di primo ingresso la responsabilità di esaminare la
domanda di asilo e dell’accoglienza del richiedente asilo oltre a indicare
altri criteri per determinare lo Stato competente.
Una persona che, in fuga da guerre o persecuzioni, arriva in Italia
può chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato o la cosiddetta
protezione sussidiaria attraverso un’unica procedura amministrativa.
Un conto è trattare chi è in fuga da guerra o da persecuzioni, e che
quindi chi ha diritto alle forme di tutela internazionali. Un conto è
affrontare i flussi migratori di chi cerca lavoro, migliori condizioni di vita
o vuole ricongiungersi a familiari già trasferiti all’estero. E’ su questo
fronte che l’Italia dimostra una incapacità nel gestire un fenomeno complesso: spesso
sentiamo dire che il problema riguarda e coinvolge tutta l’Europa e
che l’Italia non può essere lasciata sola. Da Bruxelles, e in molte
diplomazie europee, la questione è vista in maniera ben diversa: il problema è
l’Italia, non l’Europa. E’ l’Italia perché non ha rispettato le norme
comunitarie del 2013 e non si è attrezzata in maniera adeguata per attrezzare
punti di accoglienza e riconoscimento dove distinguere richiedenti protezione
dagli immigrati. Si è affrontata la questione nello stesso modo con cui, “si
parva licet”, si è tentato di risolvere l’affollamento delle carceri: si sono
aperte le porte anziché predisporre nuove strutture carcerarie, magari pensate
per diverse strategie di recupero e finalità della pena. Anche nel caso degli
immigrati si è fatto lo stesso: si sono aperte le porte nella speranza che gli
immigrati e i clandestini riuscissero a dileguarsi, passare le
frontiere e diventare così un problema altrui. A tutt’oggi questa è la
strategia, per molti aspetti inquietante e folle che non solo inquieta il
premier ungherese Viktor Orban, ma disorienta i sindaci e quanti sono costretti
a gestire all’ultimo minuto emergenze su emergenze.
Quando i sindaci veneti insorgono contro le imposizioni prefettizie, in realtà
mettono in luce le contraddizioni del sistema italiano che non rispetta la
norma europea e che lascia molti dubbi anche attorno al business che, come
purtroppo si è visto a Roma, personaggi senza scrupoli, anche vicini
all’attuale governo, hanno imbastito spiegando che l’immigrazione rende più che
il traffico di droga.
Infine c’è chi poi fa notare una contraddizione di fondo: come ha detto il
presidente Obama, "L'Africa è in movimento, corre: la povertà diminuisce,
i redditi salgono e la classe media è in crescita". Perché abbandonare un
continente che può offrire nel volgere di pochi anni occasioni di lavoro nei
più diversi campi? Non è una domanda oziosa, all’interno di una
questione complessa che non può essere affrontata con trascuratezza e
frettolosamente, come buona parte dei cittadini veneti hanno ben capito.
Roberto Ciambetti, presidente Consiglio regionale Veneto
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