25 marzo 2015. Il Natale di Venezia.
A Venezia
non c'è niente di convenzionale. Tutto ciò che accade e ricorre in questa
città, miracolo eterno, è un evento speciale, a partire dal giorno della sua
fondazione. Secondo la tradizione essa fu fondata il 25 marzo 421,
venerdì, lo stesso giorno, ma non anno, in cui l'Arcangelo Gabriele annunciò
alla Madonna di essere incinta del figlio di Dio; venerdì, giorno di Venere la
quale nacque vergine dalle acque, proprio come Venezia, stesso giorno in cui,
secondo le sacre scritture, Dio creò Adamo. All'unicità di questa città bisogna
aggiungere la sua costante voglia di grandezza e magnificenza. Tutto ciò porta
al convegno “Celebrazione del Natale di Venezia” organizzato in concomitanza
dal Comune e Provincia di Venezia e Regione Veneto per celebrare, il 25
marzo, l'anniversario della fondazione della città. Il luogo scelto è Palazzo
Ducale, centro amministrativo magnifico e imponente della Repubblica
Serenissima, nella Sala dello scrutinio, bellissimo salone tipicamente
veneziano con soffitto barocco stuccato in oro e grandissimi teleri
tutt'intorno che descrivono le più celebri naumachie della sua storia. Qui
queste tre istituzioni hanno raccolto autorità civili (i sindaci delle città
che appartennero alla Repubblica da Cividale a Bergamo, da Treviso a Pieve di
Cadore, fino ad arrivare a Rovigno, Pirano, Capodistria e Salò), autorità
religiose (le più antiche confraternite come la Scuola grande di San Giovanni
Evangelista, S. Rocco, dei Carmini, S. Teodoro, l'arciconfraternita di San
Cristoforo e della Misericordia e quella dalmata dei SS Giorgio e Trifone, e i
cavalieri di San Marco) e autorità militari per rimarcare attraverso le parole
dell'Assessore del Comune di Venezia, Augusto Salvadori, il Vice Presidente
della Regione Veneto, Franco Manzato e il presidente della Provincia Davide
Zoggia e il Vescovo ausiliare di Venezia Ecc.za Mons. Beniamino Pizziol, che
Venezia fu ed è una terra di libertà, crogiolo in passato e nel presente di
genti libere che gestivano una cosa pubblica (la Res Pubblica appunto), fondata
su valori religiosi e civili uniti sotto San Marco e la sua bandiera presente
in sala. Inoltre questa iniziativa ha permesso al Comune di Venezia di
instaurare un progetto di valorizzazione e cooperazione, simboleggiato dal dono
di una statuetta di un Leone di Venezia in oro, sotto il segno della comune
tradizione storico-culturale tra le città appartenenti all'ex Serenissima.
Un evento che vuole cogliere l'occasione per cercare di istituire qualcosa di
unico: un'alleanza tra terre per creare sotto il nome di Venezia un punto di
riferimento per l'Europa del Sud.
(Davide
Parpinel)21 e 22 ottobre del 1866. Annessione del Veneto all'Italia, una truffa?
Il 21 e 22 ottobre 1866 attraverso un
plebiscito-truffa il Veneto fu annesso all'Italia. Una truffa colossale ai
danni del popolo veneto, basti pensare che due giorni prima il Veneto era già
stato passato dalle mani francesi ai Savoja, in una oscura stanza dell'Hotel
Europa a Venezia.
Il plebiscito,
previsto dai trattati internazionali, venne svolto quando tutto era già stato
deciso. Per non parlare di come si svolsero le operazioni di voto: schede di
colore diverso e obbligo di dichiarare le proprie generalità!
"Le autorità comunali avevano
preparato e distribuito dei biglietti col SI e col NO di colore diverso;
inoltre ogni elettore presentandosi ai componenti del seggio pronunciava
il proprio nome e consegnava il biglietto al presidente che lo depositava
nell'urna".
E l'arrivo dei "liberatori"
italiani portò fame, disperazione e miseria come mai nella storia veneta.
Interi paesi furono costretti a emigrare e quasi un milione di veneti lasciò la
madrepatria.
E la rabbia dei veneti venne
mirabilmente descritta in un passo de "I va in Merica" una poesia del
grande Berto Barbarani:
"Porca Italia -i bastiema- andemo
via!"
Alziamo il velo di falsità e di
ipocrisie risorgimentali che copre questa data fondamentale nella storia
veneta, di quella che fu la prima di una serie infinita di truffe portate
avanti dall’Italia nei confronti del popolo veneto!
(nella foto la targa a palazzo Ducale)
7 ottobre 1571, anniversario battaglia di Lepanto
Lunedì 7 ottobre è
l'anniversario della grande battaglia navale di Lepanto (1571) nella quale la
flotta cristiana (col fondamentale apporto degli uomini e delle navi della
Repubblica Veneta) sconfisse la flotta ottomana. Una battaglia violentissima,
dove ci furono ben 30.000 morti da parte degli ottomani (che chiamarono
"Capo insanguinato" il teatro della battaglia) e 7.500 i cristiani
dei quali ben 4.700 veneti guidati da due straordinari eroi, Sebastiano Venier
e Agostino Barbarigo.
Una battaglia determinante per le sorti dell'intera
Europa, per le sorti della cultura e della civiltà europee.
E per celebrare degnamente la vittoria di Lepanto il grande Andrea Palladio
progettò in piazza dei Signori a Vicenza la Loggia del Capitaniato (o Loggia
Bernarda).
Ecco cosa si legge su "Vicenza città bellissima" (R. Schiavo, B.
Chiozzi, foto di T. Cevese) a propositi dell'opera palladiana:
"Negli intercolumni sono poste due statue allegoriche ricordanti l'ultima
vittoria navale veneziana. ....Sulla base, è scolpita una duplice iscrizione: -
Palman genuere carinae - e - Belli secura quiesco -.
Il significato è da comprendersi interpretando le due figure: la prima
rappresenta la dea della vittoria navale, mentre la seconda la pace ormai
ottenuta.
Il piano superiore presenta altro quattro statue: la prima, verso la piazza è la
Virtù secondo il significato classico; la seconda, di misura minore, la Fede;
la terza, simile alla precedente, la Pietà; la quarta di grandezza uguale alla
prima, l'Onore.
L'interpretazione di questi simboli è sufficientemente chiara: la Virtù e
l'Onore seguendo la Fede e la Pietà ottengono la Vittoria e la Pace. Venezia ha
vinto i turchi unendo questi valori."
La grandiosità della Loggia è un segno inequivocabile di quale importanza
veniva attribuita, all'epoca, alla battaglia di Lepanto.
Ai giorni nostri, purtroppo, è ben diverso; e allora, perché non intitolare una
via o una piazza dei nostri comuni alla battaglia di Lepanto?
E' possibile che nella toponomastica veneta si trovi anche la più
insignificante battaglia garibaldina e non ci sia un riferimento a una delle
battaglie fondamentali per le sorti del Veneto e dell'intera Europa?
10 luglio: anniversario dell'insorgenza veneta
L’insorgenza veneta del 1809 è sistematicamente ignorata dalla storiografia “ufficiale”: nessuna sorpresa per la verità, è tutta la nosta storia veneta che viene sistematicamente nascosta o mistificata, visto che gli storici del regime parlano di “briganti” o di “straccioni”.
Napoleone aveva portato il Veneto tutto in condizioni di miseria e disperazione come mai nella nostra storia, imponendo la coscrizione obbligatoria e una serie di tasse pesantissime (pensiamo a quella sul macinato, vera e propria tassa sulla fame). Il nostro popolo reagì con particolare vigore, al suono della campana a martello: i francesi, in nome della libertà, dell'eguaglianza e della fraternità, riportarono l'ordine con centinaia e centinaia di morti. Particolarmente interessante è un passo del diario della contessa Ottavia Negri Velo che ricorda come il 10 luglio 1809 “ a Schio si è fondato la sede del loro governo, il maggior numero vuole San Marco”: una preziosa testimonianza del fatto che fra le venete e i veneti che scesero in piazza c’era una notevole dimensione culturale e politica della vicenda, altro che briganti o straccioni.
Una pagina, quella del 1809, che meriterebbe di essere conosciuta dal popolo veneto; mancò una figura leggendaria come il tirolese Andreas Hofer che guidasse il nostro popolo, e mancò anche chi, come il grande pittore spagnolo Francisco Goya tramandasse ai posteri l'eroismo di chi lottava per la propria libertà e contro i crimini dell'occupante napoleonico.
Napoleone aveva portato il Veneto tutto in condizioni di miseria e disperazione come mai nella nostra storia, imponendo la coscrizione obbligatoria e una serie di tasse pesantissime (pensiamo a quella sul macinato, vera e propria tassa sulla fame). Il nostro popolo reagì con particolare vigore, al suono della campana a martello: i francesi, in nome della libertà, dell'eguaglianza e della fraternità, riportarono l'ordine con centinaia e centinaia di morti. Particolarmente interessante è un passo del diario della contessa Ottavia Negri Velo che ricorda come il 10 luglio 1809 “ a Schio si è fondato la sede del loro governo, il maggior numero vuole San Marco”: una preziosa testimonianza del fatto che fra le venete e i veneti che scesero in piazza c’era una notevole dimensione culturale e politica della vicenda, altro che briganti o straccioni.
Una pagina, quella del 1809, che meriterebbe di essere conosciuta dal popolo veneto; mancò una figura leggendaria come il tirolese Andreas Hofer che guidasse il nostro popolo, e mancò anche chi, come il grande pittore spagnolo Francisco Goya tramandasse ai posteri l'eroismo di chi lottava per la propria libertà e contro i crimini dell'occupante napoleonico.
25 aprile: bandiera veneta sui balconi
Da sempre nei
territori della Serenissima Repubblica Veneta il 25 aprile si onora e si festeggia San Marco, emblema religioso e politico della
Repubblica Veneta fino al 1797, bandiera e simbolo del popolo veneto. E
non a caso uno dei primi provvedimenti degli invasori francesi fu proprio
quello di sospendere la festa di San Marco e di condannare a morte chi osasse
gridare “Viva San Marco!”; ma nonostante l’accanimento e la brutalità di
Napoleone e dei suoi collaborazionisti italiani, ancor oggi nell’intero
Commonwealth della Serenissima decine e decine sono le iniziative per ricordare
e festeggiare San Marco: dal festoso ritrovo in piazza San Marco a Venezia,
alla rogazione di Piemonte d’Istria.
E’ fondamentale riappropriarci della nostra identità,
delle nostre feste, riscoprire l’orgoglio di sentirsi veneti e di sventolare gioiosamente la
nostra bandiera, di esporla dalle nostre case: è l’unico modo per sconfiggere,
o perlomeno attenuare gli effetti perversi di quella globalizzazione che sta
mortificando culture, civiltà, lingue, costumi, identità diverse ma proprio per
questo degne di essere rispettate, tutelate e valorizzate. Il tutto in
un’ottica europea affinché l’Europa dei banchieri diventi l’Europa dei popoli e
delle regioni; un’Europa in grado si svolgere quel ruolo che la storia le
assegna, ma che sventuratamente non riesce a interpretare. Un’ Europa che
veda protagonisti bavaresi e catalani, scozzesi e tirolesi, bretoni e sardi, ma
anche noi veneti. Viva San Marco!
1 marzo: è il capodanno veneto. "Bati Marso"
Il primo marzo è sempre stato considerato
nella storia della Repubblica Veneta il capodanno veneto; nei documenti
e nei libri di storia si trovano le date relative ai mesi di gennaio e
febbraio seguite da "more veneto" per sottolineare questa peculiarità
veneta: incominciando l'anno veneto il primo di marzo, gennaio e
febbraio erano gli ultimi mesi dell'anno passato (si veda, come esempio,
la data del comunicato).Il capodanno veneto originariamente era stato fissato al 25 marzo,
giorno della fondazione di Venezia (421), per i credenti giorno
dell'annunciazione del Signore, e, secondo una leggenda greca, giorno
della creazione del mondo; in un secondo tempo fu anticipato al primo
marzo per comodità di calcolo.
Emblematico quanto successe il 9 marzo 1510 nel luogo ove adesso sorge il Santuario della Madonna dei Miracoli a Motta di Livenza (Tv), la Madonna apparve a un contadino del posto e gli disse "Bon dì e bon ano!". Un altro tassello della nostra storia e della nostra identità che è andato perso e del quale dobbiamo riappropriarci, anche per onorare il Serenissimo Bepin Segato che più di ogni altro si era impegnato per riproporre questa festa. Recentemente è stato festeggiato in diverse città venete il capodanno cinese (è l'anno del serpente); l' 11 febbraio gli amici tibetani hanno festeggiato il loro capodanno (Losar) e per tutti noi è stato un momento per ribadire la nostra solidarietà alla nazione del Tibet vergognosamente calpestata dalla Cina; non parliamo poi delle ricorrenze e delle celebrazioni di altri popoli, di altre religioni (si pensi solo al Ramadan). E allora un bel "Viva San Marco" per festeggiare l'arrivo del nuovo anno veneto.
Bati Marso: A l'epoca de ła Serenìsima Republica, el Cao de ano, invesse che al 1° de genaro come previsto dal całendario giulian e dopo da queło gregorian, el cascava el 1° de marso. Sta tradission par che ła vegna da l'antico całendario che doparava i Romani prima de Giulio Cesare, che el faxéa scominsiar l'ano dal méxe de marso (e difati in sta maniera i mesi de setenbre, otobre, novenbre e diçenbre i vien a èsar efetivamente i méxi numaro sete, oto, nove e diexe come dixe el nome). Par no far confuxion, i Veneti de na òlta in parte a ła data i ghe scrivéa more veneto, cioè leteralmente "a ła maniera Veneta". Donca, ła data, metemo, del "14 febraro 1703" a Venessia ła deventava "14 febraro 1702 more veneto", parché el febraro l'era efetivamente l'ultimo méxe de l'ano vecio, e el 1703 el scominsiava soło in marso.Ła festa del Bati Marso ła se svolgéa apunto in tei ultimi jorni de l'ano, e ła prevedéa de 'ndar in giro par łe strade batendo su cuerciołi, pegnate e altri strumenti muxicałi "fati in caxa" faxendo un gran bordeło, con l'intento de far scapar via l'inverno e el fredo e propiziarse l'arivo de ła beła stajon, par poder scuminsiar i laori 'gricołi.In tei ultimi ani, alcuni grupi culturałi i xe drio çercar de far rivivar el Capodano Veneto riscoprendo ła vecia tradission, che col pasar dei ani l'era 'ndà in desmentegon.
Emblematico quanto successe il 9 marzo 1510 nel luogo ove adesso sorge il Santuario della Madonna dei Miracoli a Motta di Livenza (Tv), la Madonna apparve a un contadino del posto e gli disse "Bon dì e bon ano!". Un altro tassello della nostra storia e della nostra identità che è andato perso e del quale dobbiamo riappropriarci, anche per onorare il Serenissimo Bepin Segato che più di ogni altro si era impegnato per riproporre questa festa. Recentemente è stato festeggiato in diverse città venete il capodanno cinese (è l'anno del serpente); l' 11 febbraio gli amici tibetani hanno festeggiato il loro capodanno (Losar) e per tutti noi è stato un momento per ribadire la nostra solidarietà alla nazione del Tibet vergognosamente calpestata dalla Cina; non parliamo poi delle ricorrenze e delle celebrazioni di altri popoli, di altre religioni (si pensi solo al Ramadan). E allora un bel "Viva San Marco" per festeggiare l'arrivo del nuovo anno veneto.
Bati Marso: A l'epoca de ła Serenìsima Republica, el Cao de ano, invesse che al 1° de genaro come previsto dal całendario giulian e dopo da queło gregorian, el cascava el 1° de marso. Sta tradission par che ła vegna da l'antico całendario che doparava i Romani prima de Giulio Cesare, che el faxéa scominsiar l'ano dal méxe de marso (e difati in sta maniera i mesi de setenbre, otobre, novenbre e diçenbre i vien a èsar efetivamente i méxi numaro sete, oto, nove e diexe come dixe el nome). Par no far confuxion, i Veneti de na òlta in parte a ła data i ghe scrivéa more veneto, cioè leteralmente "a ła maniera Veneta". Donca, ła data, metemo, del "14 febraro 1703" a Venessia ła deventava "14 febraro 1702 more veneto", parché el febraro l'era efetivamente l'ultimo méxe de l'ano vecio, e el 1703 el scominsiava soło in marso.Ła festa del Bati Marso ła se svolgéa apunto in tei ultimi jorni de l'ano, e ła prevedéa de 'ndar in giro par łe strade batendo su cuerciołi, pegnate e altri strumenti muxicałi "fati in caxa" faxendo un gran bordeło, con l'intento de far scapar via l'inverno e el fredo e propiziarse l'arivo de ła beła stajon, par poder scuminsiar i laori 'gricołi.In tei ultimi ani, alcuni grupi culturałi i xe drio çercar de far rivivar el Capodano Veneto riscoprendo ła vecia tradission, che col pasar dei ani l'era 'ndà in desmentegon.
1859 il Veneto come il Lussemburgo?
La II^ guerra d'indipendenza si concluse in modo deludente per i Savoja: dopo le vittorie di Montebello (Pv),Palestro e di Magenta, dopo l'entrata trionfale di Napoleone III e di Vittorio Emanuele II a Milano (8 giugno), dopo le sanguinose battaglie di Solferino e San Martino ci si attendeva la trionfale prosecuzione della guerra con l'occupazione del Veneto e delle altre terre da....liberare.Invece il 12 luglio 1859 con l'armistizio di Villafranca (Vr) Napoleone III impressionato dal numero dei morti e dei feriti delle ultime due battaglie (quasi 40.000), allarmato dal malcontento che stava montando in Francia e nel timore del possibile intervento prussiano sulle frontiere francesi del Reno "impone" la pace con l'Austria: la Lombardia (tranne Mantova) passa alla Francia che poi la girerà ai Savoja; un durissimo colpo al prestigio internazionale del regno di Sardegna (e la stessa procedura si ripeterà nel 1866 con il Veneto protagonista passivo).
Ed è Cavour a farsi interprete del malcontento del regno di Sardegna : parla di tradimento del potente alleato francese e si dimette, in contrasto con il re, da presidente del consiglio.
Ma lasciamo i Savoja e torniamo nel Veneto per sottolineare come i soldati veneti arruolati nell'esercito asburgico si batterono con grande determinazione a Solferino; ecco quanto riportato sul volume " Il Risorgimento a Villafranca" stampato nel 1988 a cura della locale biblioteca: "A Solferino furono impegnati anche l'I.R. rgt. di fanteria "Arciduca Sigismondo" n. 45 (arruolato nel veronese) e il "Barone de Wernhardt" n. 16 (arruolato nel vicentino) che ad onta delle diserzioni "preferivano rimanere stretti attorno alle bandiere incontaminate dell'Austria". Ai soldati di questi reggimenti il 30 giugno il generale barone de Kellner distribuì le medaglie al valore (rispettivamente 50 e 62). E contemporaneamente furono trasferiti nelle provincie interne dell'Impero, perchè essendo i soldati veronesi o comunque veneti si voleva evitare di far loro "affrontare la morte forse pochi passi soltanto lungi dalle loro famiglie".".
Ed è proprio il Veneto l'argomento principale di una lettera di Napoleone III all'imperatore Francesco Giuseppe datata 24 luglio 1859, pochi giorni quindi dopo l'armistizio; ecco il passo testuale della lettera: "La posizione della Venezia sarà anche, ne ho timore, molto difficile da determinarsi. Poichè Vostra Maestà mi ha detto a Villafranca che la questione della Venezia sarà precisamente quella del Lussemburgo nei confronti della Confederazione germanica, tutto dipenderà dalla maniera, nel quale il vostro rappresentante esaminerà la questione e intenderà risolverla".
Il 27 settembre 1859 Metternich scrive al ministro degli esteri austriaco Rechberg:"A Villafranca, a proposito della posizione, che dovrebbe prendere la Venezia nella Confederazione italiana, i due Imperatori hanno nominato il Lussemburgo per precisare in qualche modo l'analogia che esisterebbe fra queste due Provincie".
Ed è un passaggio di straordinaria importanza. che smentisce quello che la propaganda risorgimentale massonica e giacobina continua ad imporci: l'unica prospettiva per il Veneto era l'annessione al regno di Sardegna. Invece, ai massimi livelli della politica europea, si ipotizzava uno status come quello del Lussemburgo che avrebbe cambiato completamente il corso della storia veneta. Purtroppo le cose andarono diversamente e, nel giro di pochi anni, la politica annessionistica ed espansionistica dei Savoja ebbe la meglio, attraverso un plebiscito-truffa (21-22 ottobre 1866), che portò al voto il popolo veneto due giorni dopo l'effettiva consegna del Veneto ai commissari sabaudi, in un clima di intimidazioni e di brogli inenarrabili.
Fino all'ultimo, però, ci furono a vari livelli dibattiti sul futuro del Veneto.
L'Union, giornale francese, si chiedeva: "Che farà la Francia della Venezia? La conserverà essa? La costituirà in istato di principato indipendente che entra nella lega federale della Penisola? La cederà essa a Vittorio Emanuele, e, in questo caso, quale compenso potrà domandare?"
La Gazzetta del Popolo di Firenze, giornale ufficioso del Presidente del
Consiglio scriveva il 15 luglio 1866: "Supponiamo un momento che i Veneti si pronunziassero per regno separato.
Potrebbe l'Italia permettere cotesta diserzione? O non dovrebbe invece ritenere
per forza d'armi una provincia che è necessaria alla politica esistente della nazione?":
un saggio di democrazia, di pluralismo e di rispetto dei diritti dei popoli che
la dice lunga sul clima dell'epoca.
E ancora il 3 agosto l'ambasciatore asburgico a Parigi Metternich scrive al suo ministro degli esteri "Mensdorff-Pouilly il 3/8/1866 sull'ipotesi di arrivare a "l'indipendenza della Venezia sotto un governo autonomo com'era la vecchia Repubblica". E in manifesto che inviatava la nostra gente a partecipare con entusiasmo al voto sta scritto: "SI vuol dire essere italiano ed adempiere al voto dell'Italia. NO vuol dire restare veneto e contraddire al voto dell'Italia"
Ora come allora, essere veneti è un reato??
Ma la vera chiave di lettura sulla "questione veneta" la danno, a distanza di mezzo secolo, due personaggi come Napoleone Bonaparte e Camillo Benso conte di Cavour. Il rapinatore corso (un orrendo monumento del quale è ancora presente al Museo Correr a Venezia) consigliava al figliastro di non ascoltare chi gli suggeriva di dare a Venezia maggiore autonomia, invitandolo, invece a mandare "degli italiani a Venezia e dei veneziani in Italia".
Ancora più sconvolgente quanto sostiene il Cavour (tratto da "Il risorgimento italiano" di Denis Mack Smith, ove a pagina 623): "Cavour sulla cessione del Veneto (30 novembre 1860) Soltanto dai giornali io apprendo che il gabinetto inglese desidera la cessione mediante compenso e si adopera in questo senso. Finora non s'è fatto verun passo ufficiale. E per mio conto non lo desidero nemmeno. Io bramo la guerra coll'Austria per motivi di ordine interno; senza di ciò sarà più difficile la fusione del Nord col Sud. Ritengo inoltre che al momento presente la cessione non sia possibile".
La scelta lucida della guerra per "fare gli italiani": e questo è dei padri della patria italiana...
E comunque dopo oltre centoquarantasette anni siamo ben lontani da una simile "soluzione finale".
E ancora il 3 agosto l'ambasciatore asburgico a Parigi Metternich scrive al suo ministro degli esteri "Mensdorff-Pouilly il 3/8/1866 sull'ipotesi di arrivare a "l'indipendenza della Venezia sotto un governo autonomo com'era la vecchia Repubblica". E in manifesto che inviatava la nostra gente a partecipare con entusiasmo al voto sta scritto: "SI vuol dire essere italiano ed adempiere al voto dell'Italia. NO vuol dire restare veneto e contraddire al voto dell'Italia"
Ora come allora, essere veneti è un reato??
Ma la vera chiave di lettura sulla "questione veneta" la danno, a distanza di mezzo secolo, due personaggi come Napoleone Bonaparte e Camillo Benso conte di Cavour. Il rapinatore corso (un orrendo monumento del quale è ancora presente al Museo Correr a Venezia) consigliava al figliastro di non ascoltare chi gli suggeriva di dare a Venezia maggiore autonomia, invitandolo, invece a mandare "degli italiani a Venezia e dei veneziani in Italia".
Ancora più sconvolgente quanto sostiene il Cavour (tratto da "Il risorgimento italiano" di Denis Mack Smith, ove a pagina 623): "Cavour sulla cessione del Veneto (30 novembre 1860) Soltanto dai giornali io apprendo che il gabinetto inglese desidera la cessione mediante compenso e si adopera in questo senso. Finora non s'è fatto verun passo ufficiale. E per mio conto non lo desidero nemmeno. Io bramo la guerra coll'Austria per motivi di ordine interno; senza di ciò sarà più difficile la fusione del Nord col Sud. Ritengo inoltre che al momento presente la cessione non sia possibile".
La scelta lucida della guerra per "fare gli italiani": e questo è dei padri della patria italiana...
E comunque dopo oltre centoquarantasette anni siamo ben lontani da una simile "soluzione finale".
Nessun commento:
Posta un commento