Da settimane
governo e petrolieri ci ripetono che le attività legate all'estrazione e
lavorazione del petrolio e gas naturale in Italia non presentano problematiche
di impatto ambientale. Rischi e impatti ci sono e riguardano non solo la
natura, l'habitat naturale, ma anche l'habitat politico imprigionato in una
rete di corruzione: la vicenda dell'ex ministro Guidi e i suoi emendamenti
notturni a favore del fidanzato legato alla Total, le inchieste della
magistratura milanese per la corruzione in Nigeria della Shell e la contemporanea
vicenda Unaoil, società con base nel Principato di Monaco, intermediaria per
l'elargizione di tangenti petrolifere in favore di diverse autorità nazionali
per svariati miliardi di dollari, sono solo tre esempi per altro inquietanti
che hanno interessato le cronache in questa settimana.
Il petrolio, o più in generale gli idrocarburi, sono ancora oggi sia i più importanti creatori di energia al mondo, sia i più importanti fattori di corruzione. Il caso dell'ex ministra Guidi dimostra anche che le grandi compagnie non hanno nemmeno più bisogno di corrompere: a loro basta piazzare uomini e donne nei posti giusti, pronti a infilare al momento giusto l'emendamento che passerà inosservato ma frutterà miliardi.
Il sistema funzionava alla perfezione grazie a meccanismi perfettamente oliati, è il caso di dirlo, e al silenzio che circondava queste operazioni. Ma le nuove tecnologie, la diffusione del sapere, la possibilità di creare reti alternative nell'informazione rischiano di far saltare il banco: per quanto i mass media siano stati silenziati, non è stato possibile nascondere lo sversamento di idrocarburi spiaggiati sulle coste tunisine delle isole Kerkenna il 14 marzo scorso smentendo clamorosamente la fola dell'assenza di rischio per le trivellazioni nel Mediterraneo.
Le tecnologie permettono di creare reti informative che a livello locale hanno sempre maggiore impatto: il vuoto lasciato da alcuni grandi partiti viene riempito localmente da gruppi, comitati spontanei, associazioni che iniziano a dialogare con le istituzioni locali dai Comuni alle Regioni. E proprio l'ente locale, investito da questa nuova linfa vitale, dalla critica serrata ma costruttiva, dal bisogno di partecipazione attiva, riscopre la sua capacità e il dovere di rappresentare gli interessi della cittadinanza e dell'ambiente altrimenti pregiudicati dal neocentralismo statalista che vuole avocare ogni decisione e ogni entrata tributaria a sé, spogliando il decentramento. Da una parte il dibattito democratico, dall'altro l'apatia.
Per delegittimare la realtà locale il governo gioca la carta dell'astensionismo e non solo per il referendum del 17 aprile ma anche per le elezioni amministrative: quando la gente non va più a votare le elezioni non hanno più alcun senso, ovvero sarà una minoranza a guidare il Paese scegliendo il personale più adatto e funzionale ai suoi progetti. Come la ministra Guidi, ad esempio, o la Boschi. L'unico tipo di votazione utile per questo governo è il referendum plebiscitario, quello che si sta preparando per il prossimo autunno quando il leader in caso di successo vanterà una truffaldina investitura popolare.
Il 17 aprile è solo una prova generale di golpe: in gioco non ci sono solo i rischi ambientali, la difesa dell'habitat naturale, ma l'ecologia della politica, la guerra alla corruzione, la democrazia.
Il petrolio, o più in generale gli idrocarburi, sono ancora oggi sia i più importanti creatori di energia al mondo, sia i più importanti fattori di corruzione. Il caso dell'ex ministra Guidi dimostra anche che le grandi compagnie non hanno nemmeno più bisogno di corrompere: a loro basta piazzare uomini e donne nei posti giusti, pronti a infilare al momento giusto l'emendamento che passerà inosservato ma frutterà miliardi.
Il sistema funzionava alla perfezione grazie a meccanismi perfettamente oliati, è il caso di dirlo, e al silenzio che circondava queste operazioni. Ma le nuove tecnologie, la diffusione del sapere, la possibilità di creare reti alternative nell'informazione rischiano di far saltare il banco: per quanto i mass media siano stati silenziati, non è stato possibile nascondere lo sversamento di idrocarburi spiaggiati sulle coste tunisine delle isole Kerkenna il 14 marzo scorso smentendo clamorosamente la fola dell'assenza di rischio per le trivellazioni nel Mediterraneo.
Le tecnologie permettono di creare reti informative che a livello locale hanno sempre maggiore impatto: il vuoto lasciato da alcuni grandi partiti viene riempito localmente da gruppi, comitati spontanei, associazioni che iniziano a dialogare con le istituzioni locali dai Comuni alle Regioni. E proprio l'ente locale, investito da questa nuova linfa vitale, dalla critica serrata ma costruttiva, dal bisogno di partecipazione attiva, riscopre la sua capacità e il dovere di rappresentare gli interessi della cittadinanza e dell'ambiente altrimenti pregiudicati dal neocentralismo statalista che vuole avocare ogni decisione e ogni entrata tributaria a sé, spogliando il decentramento. Da una parte il dibattito democratico, dall'altro l'apatia.
Per delegittimare la realtà locale il governo gioca la carta dell'astensionismo e non solo per il referendum del 17 aprile ma anche per le elezioni amministrative: quando la gente non va più a votare le elezioni non hanno più alcun senso, ovvero sarà una minoranza a guidare il Paese scegliendo il personale più adatto e funzionale ai suoi progetti. Come la ministra Guidi, ad esempio, o la Boschi. L'unico tipo di votazione utile per questo governo è il referendum plebiscitario, quello che si sta preparando per il prossimo autunno quando il leader in caso di successo vanterà una truffaldina investitura popolare.
Il 17 aprile è solo una prova generale di golpe: in gioco non ci sono solo i rischi ambientali, la difesa dell'habitat naturale, ma l'ecologia della politica, la guerra alla corruzione, la democrazia.
Roberto
Ciambetti
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