Le scorgi appena sgattaiolare via alla
chetichella, in un fruscio di vesti colorate e chador. Tengono gli occhi bassi,
soprattutto in presenza di uomini. Sanno di essere osservate, sempre, dai loro
mariti, padri, figli, fratelli. Le lasciano all’ingresso della scalinata
esterna che conduce alla sala a loro riservata, sopra il centro islamico di via
del Rosario a Thiene e, finito il sermone, le attendono in auto per far ritorno
a casa, l’unico luogo dove una donna musulmana può finalmente sollevare lo sguardo
e abbandonare il velo, nella limitata libertà delle sue quattro mura. L’imam
delle comunità islamiche del Veneto Kamel Layachi, tuonando contro le
nefandezze dell’Isis durante la preghiera di venerdì, ha voluto ritagliare uno
spazio anche per la delicata e sempre attuale condizione femminile nella
cultura e nella religione musulmana, ammettendo che sì, «esistono alcuni casi
di famiglie distrutte dalla violenza» e che quella domestica è da ripudiare e
condannare come i delitti commessi dai terroristi. (...)
G.AR. (GdV 29.11.2015)
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