Stringere d'assedio un ministro, assalire la polizia,
incendiare i Cie: ora è loro concessa ogni illegalità. E un giudice li assolve.
Motivo: "È giusto ribellarsi".
Liberi di
distruggere e di devastare. Liberi di ribellarsi, anche nel più violento dei
modi, se le «condizioni dell'alloggio» non sono all'altezza delle aspettative.
Stiamo parlando di un Cie, Centro di identificazione ed espulsione per
immigrati clandestini e non di un hotel a cinque stelle, intendiamoci, ma lo
scenario e le prospettive che schiude una sentenza decisamente clamorosa, di
cui si è venuti a conoscenza solo ieri, sono piuttosto allarmanti.
Partiamo
dalla conclusione: liberateli immediatamente perché questi tre imputati si sono
solo difesi da una situazione molto simile alla tortura e dalla condizione di
degrado al quale lo Stato italiano li aveva ridotti. Queste, in buona sostanza,
le motivazioni con cui il giudice Edoardo D'Ambrosio, del tribunale di Crotone,
ha assolto tre migranti che erano stati accusati di devastazione e di violenze.
In altre parole la legittimazione, se non la giustificazione, per il loro
sconsiderato agire, che trova fondamento, secondo il magistrato, nel pessimo
trattamento coercitivo cui i tre erano stati sottoposti. I fatti in questione
risalgono al 2012. E tutto accadde allora, proprio come nei giorni scorsi, nel
Cie di Isola di Capo Rizzuto dove, un terzetto di extracomunitari diede fuoco
alle polveri della rivolta.
Arrestati in
varie zone d'Italia perché privi di documenti, i tre vengono trasferiti nel Cie
del Crotonese. Rimangono lì per più di un mese e mal sopportano quella
situazione fino al pomeriggio del 3 ottobre 2012 quando occupano un'ala del
Centro e cominciano a danneggiarlo. La rivolta dura sei giorni poi si arrendono
e vengono incarcerati. Ma, al momento del processo, la loro situazione si
capovolge e, da autori di un reato, diventano vittime, grazie alla sensibilità
del giudice che si trovano davanti. Analizzando le loro condizioni di
detenzione D'Ambrosio ritiene di poter configurare, a giustificazione della
loro ribellione, la legittima difesa perché i tre reclusi in quella sorta di
lager non potevano far altro che ribellarsi. Una sorta di diritto alla
ribellione con annessa devastazione, dunque.
Ma a
questo punto, che cosa si sentirebbero autorizzati a fare e a dire alcune
migliaia di detenuti nelle carceri italiane, costretti a vivere ogni giorno in
ambienti ancora più degradati e in situazioni ancora più insostenibili? Via
libera alla rivolta che, intesa come legittima difesa, troverebbe e troverà
sempre l'approvazione di un magistrato particolarmente sensibile?
Una
sentenza simile, clamorosa quanto sconcertante, che, di fatto, riconosce il
diritto alla ribellione, non può del resto stupire più di tanto se si considera
la piega che gli avvenimenti hanno preso. Un altro dei paradossi di questa
nostra Italia buonista, senza potersi permettere il lusso di esserlo realmente,
che ha segnato avant'ieri un passaggio delicato mettendo in serio imbarazzo lo
stesso ministro per l'Integrazione Cécile Kyenge, fervente sostenitrice di una
proposta di legge unica perché l'Italia sdogani al più presto il cosiddetto ius
soli , che sancisce l'acquisizione della cittadinanza come conseguenza del
fatto giuridico di essere nati nel territorio dello Stato, qualunque sia la
cittadinanza posseduta dai genitori. La sua visita proprio al Centro di
accoglienza di Capo Rizzuto, e all'attiguo Centro identificazione ed
espulsione, chiuso dopo la rivolta dei giorni scorsi, è stata infatti
caratterizzata da momenti di altissima tensione. Il ministro è stato infatti
letteralmente «bloccato» due volte da un gruppo di ospiti-manifestanti. Mentre
stava visitando il settore riservato alla donne ed ai bambini, si sono posti
davanti al cancello imponendole di visitare l'intera struttura dopodiché,
quando stava per lasciare il Centro e dirigersi a Crotone per partecipare alla
cerimonia di consegna della cittadinanza simbolica del Comune a otto bambini
stranieri nati in Italia, un gruppo di immigrati si è seduto davanti alla sua
auto per impedirne l'uscita. La Kyenge ripete che « il ministero per
l'Integrazione sta lavorando perché non debbano più essere delle emergenze» ma
lei, per prima, si è trovata in mezzo a una situazione caotica, in cui la
violenza è stata sfiorata nuovamente per poco. Che si fa? Si assolveranno
sempre e comunque tutti abbinando allo ius soli anche lo ius rebellionis?
di Gabriele Villa (Giornale)