Il governo Letta è diventato il governo LGBT
(Lesbiche-Gay-Bisessuali-Transgender, ndr). Forse non ce ne siamo
accorti, ma è l’esecutivo più a sinistra della storia del nostro Paese.
Lasciate stare le larghe intese, il compromesso Pd-PdL, la grande
coalizione di unità nazionale. Su alcuni temi decisivi il governo ha messo la
freccia a sinistra. Ius soli e legge contro l’omofobia sono i
grimaldelli della sinistra del Terzo Millennio, terzomondista e terzogenerista,
favorevole all‘immigrazione di massa e alla tutela speciale di alcune
inclinazioni sessuali.
La battaglia della Kyenge acquista, ahinoi,
sempre più credito. Quanto più il ministro diventa bersaglio di beceri insulti
razzisti, tanto più il suo intento politico prende quota. In certi ambienti
sembra che la solidarietà doverosa al ministro debba tradursi necessariamente
in un appoggio incondizionato alle sue idee. Per cui nasce l’equazione: visto
che la Kyenge è bersagliata, dobbiamo assolutamente metterne in pratica i
propositi. E questo a prescindere dalla statura politica del personaggio
(mediocre) e dalla qualità delle sue idee (pericolosissime). Dire, come
ha fatto ieri in un’intervista, che «la crisi in Egitto porterà
un’impennata di immigrazione in Italia» e che «una legge sullo ius
soli va fatta e si farà» significa non solo stabilire un rischioso gioco di
causa-effetto tra la fuga dei disperati dalle zone di crisi e il loro arrivo in
massa nel nostro Paese, ma anche non tenere conto delle effettive potenzialità
economiche dell’Italia. Che non è più l’Eldorado, non è più la terra dei sogni
che deve aver attratto lo stesso ministro quando andò via dal Congo. Ma
è un Paese che arranca e non è più in grado di accogliere, perché fatica a
promuovere i suoi stessi talenti, le sue energie migliori.
Lo stesso discorso vale per la legge contro l’omofobia.
A prescindere dal nome sbagliato (omofobia significa letteralmente «paura di
ciò che è uguale», non «di ciò che è diverso»), essa finisce per legittimare le
diversità, rendendole più uguali degli altri. Non si può definire più grave un
reato comune (ad esempio, rubare un portafogli) solo perché commesso nei
confronti di un omosessuale; e non si può mettere il bavaglio a chi la
pensa diversamente e sostiene magari che il matrimonio tra omosessuali
sia qualcosa di incostituzionale. Allora che facciamo, mettiamo in carcere
tutti i rappresentanti di associazioni che si battono per la difesa della famiglia
naturale, basata sull’unione tra un uomo e una donna? Multiamo tutti i giornalisti
che scrivono che le nozze gay violano l’articolo 29 della Costituzione?
Siamo tutti omofobi per questo? La caccia all’omofobo è illiberale
perché introduce un clima di sospetto e prudenza, in cui nessuno sarà più
legittimato a esprimersi senza censure, ma dovrà calibrare le parole,
misurarle, limitando la propria libertà, valore che pure dovrebbe essere caro a
chi si batte per l’approvazione di questa legge.
E il centrodestra intanto che fa? I berluscones
sono tutti arroccati nella difesa del loro leader e affermano, con
scarso senso del ridicolo, che la priorità ora in Italia sia la riforma della
giustizia. Sui temi cruciali per la difesa di una civiltà, invece –
l’immigrazione e la questione dell’omofobia – il centrodestra non si esprime
oppure lascia libertà di coscienza, se non addirittura flirta con la sinistra.
Solo la Lega e Fratelli d’Italia provano ad alzare la voce, a
esprimere dissenso, ma i loro pareri sono percepiti come residuali, posizioni
di una minoranza che non conta nel nostro Paese e soprattutto non fa
mentalità, non crea opinione pubblica.
La
sinistra dell’egemonia culturale, insomma, sotto il governo Letta, ha creato
anche una dittatura politica, con il tacito consenso del centrodestra.
Disillusi, attendiamo il levarsi di un’unica voce, e forte, di destra capace di
dire la propria su immigrazione e temi etici e fare da controcanto a
chi, sotto traccia, trama per ridurla al silenzio, imponendole il regime
del Pensiero Unico.
di Gianluca Veneziani
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