L'ennesimo
pugno in faccia ce lo hanno tirato i senatori, votando l'emendamento che da
Roma in giù dimezza i contributi per i neoassunti. Al Nord la faccenda non è
così. Inaccettabile miopia.
A Roma non sono tutti impazziti. Continuano
coerentemente con lo stillicidio sistematico del Nord Italia. A
Roma non è il caldo a far scivolare i palazzinari che decidono del nostro
destino, si tratta di miopia da incompetenza. Perché l’impresa è
a settentrione, perché le imprese del Settentrione mantengono quel carrozzone
chiamato Belpaese, un quadro credibile quanto
drammatico di una deindustrializzazione in corso e loro, i senatori
della Repubblica italiana, votano un super bonus per le aziende del Sud.
E interviene una questione di giustizia (mancata), perché non solo si tratta di
mera incapacità strategica (se non salvi le imprese venete, brianzole,
piemontesi, se non salvi il manifatturiero non ti resta nulla, se non
l’assistenzialismo ovvero il default) ma soprattutto di iniquità.
Inaccettabile.
Lo chiamiamo bonus giovani, riguarda tutto il
Paese e dovrebbe incentivare le assunzioni, leggasi anche sostenere le
imprese vis-à-vis con il costo del lavoro a livelli impressionanti. Incredibile
ma vero, il bonus sarà maggiore in Molise, Campania, Abruzzo,
Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia.
In cosa consiste? Serviti: per ogni assunzione a tempo indeterminato di
giovani tra i 18 e 29 anni, il datore di lavoro potrà ridurre il versamento
mensile all’Inps della metà dell’importo lordo versato all’assunto: ti
pago mille euro, cinquecento è lo “sconto” che esigo dall’Ente previdenziale.
La faccenda funziona fino a un massimo di 975 euro. Nel Mezzogiorno. Perché
dalle parti di Milano l’incentivo si ferma a quota un terzo
dell’importo, arrivando a un massimo di 650 euro mensili da poter tenere in
cassa. E non si può accettare, perché non ci vuole uno scienziato per
comprendere che così non risolvi i problemi meridionali, che lì l’occupazione
la crei con riforme e piani economici reali. Con la guerra alla criminalità
organizzata ed eventualmente con la defiscalizzazione per gli investimenti di
multinazionali capaci di resistere alla “mala”. Allora questo diventa un doppiopesismo
cieco, becero. Perché quell’incentivo “rafforzato” da queste parti
avrebbe cambiato una marea di cose. Perché sono quei segnali che le industrie
aspettano, le stesse che non possono più affrontare una tassazione
spropositata, servizi zero, burocrazia asfissiante. Dove di manodopera (ancora
per poco) c’è bisogno ma non la si può pagare, che se i sindacati scoprono un
accordo lucido e costruttivo tra imprenditore e lavoratori.
I senatori, di fatto, votando quei due articoli
del ddl di conversione del decreto 76/2013 si sono presentati impettiti e
strafottenti davanti alle lapidi degli imprenditori suicidi, numericamente
impressionanti, drammatiche nel loro esistere, quasi tutte di casa in Veneto.
Di fatto votando un emendamento iniquo hanno preso a sberle il Nord che ha
trainato l’Italia sino a oggi e che per questo sta morendo. Anche se questa non
è una novità. Di fatto mettendo in scena l’ultimo teatro al razzismo, dal
retrogusto d’inettitudine politica, hanno avvicinato di un passo la rivoluzione
vera, quella che ha per protagonisti coloro che non l’annunciano, mai. Quella
che vuole le imprese fuggire, l’Italia deindustrializzata e gli
imprenditori che restano tracciare un solco irreversibile tra il Nord e il
resto della nazione. Ché dal loro punto di vista non fa che svilire e saccheggiare
le loro fatiche. Chi può gli dia torto. E non veniteci a fare ricostruzioni
storiche per cui laggiù hanno portato via tutto. È vero, eppure son passati
abbastanza anni perché quel gap venisse colmato. La rappresentanza in
parlamento certo non è mai mancata, a quel laggiù. I peccati del Nord, poi,
ammesso ne abbia commessi, sono stati espiati con un salasso che va
avanti da troppo. Il super bonus è l’offesa ultima, non si fosse capito.
Temiamo infine non sarà esattamente l’ultima.
di Federica Dato (L'Intraprendente)
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