Non è il
Vito Crimi in sé, che ci fa paura, ma è il Vito Crimi in me, in noi, nella
pancia del mondo produttivo che ha votato Grillo, aspettandosi riforme ed
efficienza...
Il sonno della ragione genera mostri,
ricordatevi di Goya e del suo ammonimento, sulla rinuncia alla facoltà
raziocinante, lucida, alla veglia del pensiero. Il sonno della politica genera
ostentazione menefreghista, soprattutto se sei grillino, il tempo della
protesta è finito, ti ritrovi per caso capogruppo del Senato, e vorresti
con tutte le tue forze essere altrove. Nessuno s’accanisca su Vito Crimi,
sarebbe ben poco Intraprendente, e se pubblichiamo questa foto, tanto impietosa
da risultare bonaria, non è certo per offesa personale. Tra l’altro, da quando
i grillini hanno scoperto i ristoranti dei parlamentari, hanno notoriamente
alzato il loro livello di alimentazione, per qualità e quantità, perciò
banalmente poteva essere un umanissimo abbiocco, quello di Vito Crimi,
palermitano d’origine, bresciano d’adozione e d’elezione, uno dei condottieri
del Movimento Cinque Stelle nelle istituzioni (ci son condottieri più
vispi ed empatici, in effetti, ma questo è affar loro).
Non abbiamo paura di Vito Crimi in sé, qui, ma, ci sia
concesso il libero riutilizzo di una fortunatissima perifrasi di Giorgio
Gaber, del Vito Crimi in me, in noi, nell’imprenditore che lo ha
votato, nel lavoratore che lo ha sostenuto, nel disoccupato che
ci ha creduto. Abbiamo paura del Vito Crimi annidato nell’anima e nella pancia
del Nord, ovviamente anche per demeriti altrui, per rabbia prolungata
verso i propri referenti naturali, il PdL e la Lega. Effetti
collaterali d’una rivoluzione liberale mancata: a furia di tradire il
Nord, mortificare le sue esigenze e prolungare la rapina fiscale, può
essere che quello deragli, e vada verso Crimi, e compagnia a Cinque Stelle. Ha
deragliato il Veneto, soprattutto, ché il lombardo è troppo
orgogliosamente borghese, troppo riflessivamente laborioso, per mettersi in
fila dietro al piffero d’un satiro talebano che inneggia al reddito di
cittadinanza e alla felicità da decrescita. Il veneto, invece, il
veneto che lavora perfino di più, ma che è anche più disperato, identitario,
risentito dalla sordità abissale dello Stato centrale. Il veneto ha
creduto, in larga parte, allo stupidario a Cinque Stelle, ha creduto (o ha
voluto credere, ma in politica è uguale) che dietro sputi e urlacci ci fossero
le ragioni della piccola impresa, e non solo il cinismo di chi fa spettacolo su
qualunque disperazione, sia il lamento assistenziale dei dipendenti pubblici in
Sicilia o la loro, opposta, rabbia fiscale, a migliaia di chilometri di distanza.
Ci hanno creduto, e ora si beccano basiti il sonno
della politica. L’inefficacia (ancora zero proposte di legge dall’armata del
Capocomico), il dilettantismo (atmosfera da vacanza romana, più che da incarico
parlamentare, la capogruppo Lombardi, socia dell’esimio Crimi, che esordisce
sui bicchieri di plastica delle macchinette), l’inettitudine politica
(onorevoli in libera uscita verso il Pd, nonostante il controllo
internettiano). Meglio, urge riaversi dall’abbaglio subito, e lasciare i
grillini al loro destino e agli interessi che autenticamente rappresentano,
sono il partito della spesa pubblica, dell’assistenza di Stato,
del luddismo cocciuto contro le grandi opere. Scrutate il Crimi dormiente, al
di là di ogni tratto individuale: non c’è bisogno di essere divoratori accaniti
di Lombroso, per intuire che non rappresenta nulla del Nord, del lavoro,
dell’impresa, del Paese tartassato che, nonostante tutto, si ostina a produrre
e a non arrendersi alla crisi. Perché ora va bene, ora siamo ancora in
tempo a risvegliarci e a rispondere all’ultima chiamata, magari incanalata in
un grande e maturo partito del Nord. Prima che la risata del Grillo
ci seppellisca definitivamente.
Giovanni Sallusti (L'Intraprendente).
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