Esattamente 330 anni fa alcune migliaia di uomini valorosi salvarono l’Europa dal rischio di diventare musulmana. Tra questi, uno in
particolare rappresentò il baluardo del cristianesimo minacciato dall‘Islam,era un frate ed era del Nord: si chiamava Marco d’Aviano. Il nuovo film di
Renzo Martinelli,11 settembre 1683, proiettato oggi in
anteprima a Milano, narra appunto di quella vicenda: ricorda la battaglia di
Vienna, il primo 11 settembre della storia, in cui a
fronteggiarsi furono cristiani e musulmani.
Gli spunti di attualità sono tantissimi, a partire dalla situazione del Vecchio Continente debole e sotto scacco. «Oggi come tre secoli fa», avverte il regista, «l’Europa vive uno stato di malattia: è dilaniata da conflitti interni ed incapace di riaffermare la forza delle proprie radici. Tutto ciò la espone a pericoli enormi. Chi è malato, infatti, più facilmente viene colpito da agenti patogeni». Allora si chiamavano turchi ottomani, adesso terroristi musulmani. Nella ciclicità degli eventi, ecco dunque l’importanza di figure come quella di Marco d’Aviano. «Il monaco taumaturgo», continua Martinelli, «seppe infondere nei re cristiani virtù smarrite: insegnò loro che i cattolici vincono solo se uniti, ispirò loro l’azione della Provvidenza, traducendola in gesti concreti di battaglia». Al contempo però subentra nel regista la disillusione sulla possibilità che l’Europa dia ancora vita a uomini simili. «Purtroppo non vedo nuovi Marco d’Aviano all’orizzonte», dice Martinelli. «E temo che se, come ci insegna lo storico Braudel, la storia ha onde lunghe che ritornano, il nostro continente sarà impreparato ad affrontare un’altra minaccia islamica, dovesse ripresentarsi nelle stesse forme di 300 anni fa».
Uomini come Marco d’Aviano diventano allora modelli irripetibili cui guardare con ammirazione e desiderio di emulazione. Forti nello spirito, riuscirono anche ad essere strateghi politici, in grado di prevedere meglio, rispetto ai potenti del tempo, le sorti del continente. La tenacia della loro fede non significò desiderio di massacro e di scontro di civiltà – anzi, nel film si sottolinea più volta come d’Aviano fosse amico dei musulmani e avesse cercato fino all’ultimo di evitare il conflitto – quanto strenua difesa della propria identità e delle proprie origini. È mirabile, a proposito, il discorso con cui d’Aviano sprona i guerrieri cristiani alla battaglia finale: «Con le vostre armi non difendete solo Vienna. Difendete tutta l’Europa, le vostre tradizioni, le vostre famiglie. Difendete vostra madre e vostro padre, e il vostro diritto a essere liberi». Parole simili dovrebbero essere ripetute anche a noi, cristiani stanchi di oggi. Se nel Duemila il nostro continente non è pieno di moschee e minareti e Roma non è la capitale dell’Islam, lo dobbiamo a quel discorso sacro e ispirato.
Un’ultima nota va detta sul particolare rapporto tra due grandi uomini: uno del Nord Italia, l’altro del Nord Europa. La battaglia di Vienna fu vinta non solo grazie alla guida spirituale del frate friulano, ma anche per merito della guida militare del re di Polonia, il vecchio Jan Sobieski. Quel legame Italia-Polonia è stato rinsaldato esattamente dieci anni fa, allorché il Papa polacco Karol Wojtyla decise di beatificare il monaco italiano. A 300 anni dalla sua morte, non sarebbe male rivolgergli una preghiera perché, anche grazie a lui, oggi possiamo dirci cristiani.
di Gianluca Veneziani (L'Intraprendente)
Gli spunti di attualità sono tantissimi, a partire dalla situazione del Vecchio Continente debole e sotto scacco. «Oggi come tre secoli fa», avverte il regista, «l’Europa vive uno stato di malattia: è dilaniata da conflitti interni ed incapace di riaffermare la forza delle proprie radici. Tutto ciò la espone a pericoli enormi. Chi è malato, infatti, più facilmente viene colpito da agenti patogeni». Allora si chiamavano turchi ottomani, adesso terroristi musulmani. Nella ciclicità degli eventi, ecco dunque l’importanza di figure come quella di Marco d’Aviano. «Il monaco taumaturgo», continua Martinelli, «seppe infondere nei re cristiani virtù smarrite: insegnò loro che i cattolici vincono solo se uniti, ispirò loro l’azione della Provvidenza, traducendola in gesti concreti di battaglia». Al contempo però subentra nel regista la disillusione sulla possibilità che l’Europa dia ancora vita a uomini simili. «Purtroppo non vedo nuovi Marco d’Aviano all’orizzonte», dice Martinelli. «E temo che se, come ci insegna lo storico Braudel, la storia ha onde lunghe che ritornano, il nostro continente sarà impreparato ad affrontare un’altra minaccia islamica, dovesse ripresentarsi nelle stesse forme di 300 anni fa».
Uomini come Marco d’Aviano diventano allora modelli irripetibili cui guardare con ammirazione e desiderio di emulazione. Forti nello spirito, riuscirono anche ad essere strateghi politici, in grado di prevedere meglio, rispetto ai potenti del tempo, le sorti del continente. La tenacia della loro fede non significò desiderio di massacro e di scontro di civiltà – anzi, nel film si sottolinea più volta come d’Aviano fosse amico dei musulmani e avesse cercato fino all’ultimo di evitare il conflitto – quanto strenua difesa della propria identità e delle proprie origini. È mirabile, a proposito, il discorso con cui d’Aviano sprona i guerrieri cristiani alla battaglia finale: «Con le vostre armi non difendete solo Vienna. Difendete tutta l’Europa, le vostre tradizioni, le vostre famiglie. Difendete vostra madre e vostro padre, e il vostro diritto a essere liberi». Parole simili dovrebbero essere ripetute anche a noi, cristiani stanchi di oggi. Se nel Duemila il nostro continente non è pieno di moschee e minareti e Roma non è la capitale dell’Islam, lo dobbiamo a quel discorso sacro e ispirato.
Un’ultima nota va detta sul particolare rapporto tra due grandi uomini: uno del Nord Italia, l’altro del Nord Europa. La battaglia di Vienna fu vinta non solo grazie alla guida spirituale del frate friulano, ma anche per merito della guida militare del re di Polonia, il vecchio Jan Sobieski. Quel legame Italia-Polonia è stato rinsaldato esattamente dieci anni fa, allorché il Papa polacco Karol Wojtyla decise di beatificare il monaco italiano. A 300 anni dalla sua morte, non sarebbe male rivolgergli una preghiera perché, anche grazie a lui, oggi possiamo dirci cristiani.
di Gianluca Veneziani (L'Intraprendente)
Nessun commento:
Posta un commento