Lettera di giovane dirigente lombardo, allucinato dall'autismo del
partito. Tra l'illusione della superiorità morale e il delirio
web-assemblearistico, cercasi riformismo a sinistra, ora o mai più.
Quanto accaduto in questi giorni merita alcune riflessioni e, credo, un
giudizio disincantato, e per ciò stesso provocatorio, nei confronti di
coloro che credono di aver firmato una pagina importante della politica
italiana. Ho sentito dire cose di fronte alle quali avrei preferito
essere sordo. Ma non lo sono, per quanto apparentemente affetto dall’autismo della classe dirigente democratica: ho sentito dire che, in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica,
la convergenza dei voti di Lega e PdL sarebbe stata una deriva
consociativa, addirittura inciucista, e che avrebbe inaugurato un Governissimo.
L’ho sentito dire sia da coloro che, sul piano politico, continuano a
guardare al centrodestra come al Nemico Assoluto contro cui definire
un’identità incardinata sull’illusione di una diversità morale.
Da coloro, cioè, che bloccano da trent’anni una compiuta evoluzione
socialdemocratica della sinistra italiana, una sua piena
“secolarizzazione” e una sua definitiva sortita dal settarismo.
Da coloro, per intenderci, che guardano a Grillo non tanto per sfidarlo
sul suo presunto programma, quanto perché in qualche modo affascinati
dal suo becero assemblearismo antiparlamentare. Ma l’ho sentito dire
anche da coloro che, durante e dopo le primarie, hanno
sempre detto a Bersani che i voti di Lega e Pdl non sono da rifiutare,
ma da intercettare. Costoro, attratti dall’ipotesi, del tutto
inverificata, di un tempestivo scioglimento delle Camere, hanno bloccato
ogni candidatura di convergenza e favorito quella di Romano Prodi (autorevolissima ma divisiva in Parlamento). E’ così che i franchi tiratori
del Pd hanno rinunciato all’elezione di un Presidente di matrice
democratica con i voti degli avversari di centrodestra, per poi guardare
all’ipotesi di un Presidente espresso dai grillini,
per poi tentare l’elezione di un Presidente candidato dai democratici ma
sgradito al centrodestra, il che ha prodotto il prolungamento dello
Stato d’eccezione in cui si trova il Paese, fortunatamente nelle mani di
Napolitano.
Si è così piombati nel giro di due giorni dalla prospettiva di un
Governo del Presidente, già percepito come contaminante per le nostre anime belle,
alla certezza di un Governissimo benedetto dal Presidente. Le altissime
qualità politico-istituzionali e la caratura internazionale di
Napolitano rappresentano la più forte garanzia di
tenuta del nostro fragile sistema politico in una stagione rischiosa per
lo status geopolitico e geoeconomico del Paese. Ma la necessità di una
sua rielezione è sintomo di un’immaturità profonda del
nostro quadro partitico e della sua incapacità di sintetizzare in
processi decisionali lineari i più che legittimi, ma cangianti,
desiderata del Paese.
Questi due giorni hanno fatto crollare il concetto di rappresentanza parlamentare e di delega politica.
Molti eletti del Partito democratico non si sono cioè concessi alcun
margine di trattativa, di mediazione e di accordo parlamentare secondo
la libertà di mandato costituzionalmente prescritta, ma hanno preferito seguire gli impulsi del momento, comprese le discussioni on-line.
A molti amici, che su questo punto mi contestano, richiamandomi al
fatto che rete e realtà sono la stessa cosa, rispondo: per prima cosa,
il web è un importante squarcio della realtà, ma non è proprio tutta la
realtà; in secondo luogo, dato che un partito è una “macchina utile a
prendere decisioni” e il Parlamento è il luogo deputato ai provvedimenti
utili a migliorare la realtà, anziché puramente a registrarla, bisogna
ascoltare gli stimoli esterni, interloquirvi, ma poi concedersi
quell’autonomia negoziale
indispensabile a fare una sintesi politica praticabile. Tutto ciò non
significa scavare un fossato tra elettorato e classe dirigente.
Significa piuttosto che la democrazia rappresentativa, a
differenza della democrazia diretta, riconosce al delegato uno spazio
di autonomia in cui, per tempo a disposizione, professionalità e visione
d’insieme, può prendere decisioni, nell’interesse del corpo elettorale, che il singolo elettore non si può incaricare di assumere. Il webassemblearismo, provocato anche da un’eccessiva autoreferenzialità delle classi dirigenti, rischia tuttavia di annullare le procedure decisionali
di un partito e di contrarre i margini di trattativa con alleati e
avversari che costituiscono il tratto costitutivo della politica,
soprattutto in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica.
Stefano Binda (L'Intraprendente)
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