Tutti i
Comuni hanno “l'obbligo di provvedere al ricovero stabile presso
strutture residenziali di tutti coloro che si trovino in situazione di grave
disagio” e i costi di questa assistenza “sono imputati al comune nel
quale essi hanno la residenza prima del ricovero”. La norma, che regola il
cosiddetto Domicilio di Soccorso, è contenuta nel Regio decreto 17
luglio 1890 n. 6972, la nota Legge Crispi sulle Ipab, e fu riconfermata
dall’art. 6 dalla legge 8 novembre 2000, n. 32. Son trascorsi ben
126 anni dalla sua formulazione e, nonostante qualche italica inquietante
similitudine tra lo scandalo delle Banche Romane (1893) e l’odierno crack delle
Popolari, il mondo è profondamente mutato.
Eppure il Domicilio di Soccorso è ancora vivo e vegeto e ed esso è la bomba innescata dalle Prefetture sotto i Municipi di quelle Regioni, Lombardia, Sicilia e Veneto in testa, in cui d’imperio sono state smistate le maggiori quote di immigrati tratti in salvo o sbarcati in questi ultimi anni nelle coste italiane, 22 mila persone per quanto riguarda la sola nostra Regione.
Infatti da giorni i Prefetti ordinano ai sindaci di rispettare le norme vigenti, contenute sia nel Decreto del 18 agosto 2015 n.142 varato dal governo Renzi, sia nelle leggi relative all’anagrafe comunale (L. 24 dicembre 1954, n. 1228), sia infine la Convenzione di Ginevra sui rifugiati (1951) per cui ogni immigrato che richiede il riconoscimento dello status di profugo deve essere iscritto all’anagrafe del Comune in cui è stato smistato.
La semplice ricevuta di quella domanda di asilo sarà di fatto un permesso di soggiorno e questo consentirà di regolarizzare posizioni che non sono affatto regolari, garantendo però all’immigrato, indipendentemente dall’accoglimento della sua domanda di rifugiato, di avere la Carta di identità, l’accesso all’assistenza sociale e la concessione di eventuali sussidi, persino la partecipazione a bandi per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, aiuti per i canoni di locazione o l’acquisto della prima casa e via dicendo. In caso di “grave disagio” come recita la norma del 1890 infine scatterà il Domicilio di soccorso: toccherà al Comune di prima residenza, quello che ha iscritto l’immigrato nella sua anagrafe, provvedere alle spese di mantenimento del richiedente asilo.
La norma ottocentesca non era stata studiata da Crispi per affrontare i flussi migratori attuali. Per Crispi il problema, casomai, era opposto (proprio il governo Crispi varò la prima legge sull’emigrazione italiana la n. 5866 del 30 gennaio 1888) e oggi la norma sul Domicilio di Soccorso è devastante se applicata allo scenario attuale: i Comuni, che non hanno più soldi per garantire l’assistenza sociale ai cittadini, rischiano di doversi far carico dell’assistenza ai sedicenti rifugiati. Solo il 4 per cento dei richiedenti asilo sono riconosciuti come tali, ma dal pronunciamento sulla loro domanda fino a tutti gradi di appello, il richiedente ha diritto all’assistenza.
Le lettere e le circolari inviare dai prefetti in Veneto pongono le premesse per la destabilizzazione dei conti delle amministrazioni locali. Anche lasciando perdere ogni altro aspetto di ordine pubblico appare comunque insensato sia garantire documenti a sconosciuti dei quali non sappiamo nulla, sia mettere a repentaglio gli equilibri di bilancio delle amministrazioni locali o rifarsi a norme ottocentesche o risalenti agli anni ’50 del secolo scorso per gestire le sfide della contemporaneità: non so cosa pensi il Parlamento di questo scenario destabilizzante. Ma forse è il caso che se ne occupi, prima che sia troppo tardi.
Roberto Ciambetti, presidente Consiglio regionale Veneto
Eppure il Domicilio di Soccorso è ancora vivo e vegeto e ed esso è la bomba innescata dalle Prefetture sotto i Municipi di quelle Regioni, Lombardia, Sicilia e Veneto in testa, in cui d’imperio sono state smistate le maggiori quote di immigrati tratti in salvo o sbarcati in questi ultimi anni nelle coste italiane, 22 mila persone per quanto riguarda la sola nostra Regione.
Infatti da giorni i Prefetti ordinano ai sindaci di rispettare le norme vigenti, contenute sia nel Decreto del 18 agosto 2015 n.142 varato dal governo Renzi, sia nelle leggi relative all’anagrafe comunale (L. 24 dicembre 1954, n. 1228), sia infine la Convenzione di Ginevra sui rifugiati (1951) per cui ogni immigrato che richiede il riconoscimento dello status di profugo deve essere iscritto all’anagrafe del Comune in cui è stato smistato.
La semplice ricevuta di quella domanda di asilo sarà di fatto un permesso di soggiorno e questo consentirà di regolarizzare posizioni che non sono affatto regolari, garantendo però all’immigrato, indipendentemente dall’accoglimento della sua domanda di rifugiato, di avere la Carta di identità, l’accesso all’assistenza sociale e la concessione di eventuali sussidi, persino la partecipazione a bandi per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, aiuti per i canoni di locazione o l’acquisto della prima casa e via dicendo. In caso di “grave disagio” come recita la norma del 1890 infine scatterà il Domicilio di soccorso: toccherà al Comune di prima residenza, quello che ha iscritto l’immigrato nella sua anagrafe, provvedere alle spese di mantenimento del richiedente asilo.
La norma ottocentesca non era stata studiata da Crispi per affrontare i flussi migratori attuali. Per Crispi il problema, casomai, era opposto (proprio il governo Crispi varò la prima legge sull’emigrazione italiana la n. 5866 del 30 gennaio 1888) e oggi la norma sul Domicilio di Soccorso è devastante se applicata allo scenario attuale: i Comuni, che non hanno più soldi per garantire l’assistenza sociale ai cittadini, rischiano di doversi far carico dell’assistenza ai sedicenti rifugiati. Solo il 4 per cento dei richiedenti asilo sono riconosciuti come tali, ma dal pronunciamento sulla loro domanda fino a tutti gradi di appello, il richiedente ha diritto all’assistenza.
Le lettere e le circolari inviare dai prefetti in Veneto pongono le premesse per la destabilizzazione dei conti delle amministrazioni locali. Anche lasciando perdere ogni altro aspetto di ordine pubblico appare comunque insensato sia garantire documenti a sconosciuti dei quali non sappiamo nulla, sia mettere a repentaglio gli equilibri di bilancio delle amministrazioni locali o rifarsi a norme ottocentesche o risalenti agli anni ’50 del secolo scorso per gestire le sfide della contemporaneità: non so cosa pensi il Parlamento di questo scenario destabilizzante. Ma forse è il caso che se ne occupi, prima che sia troppo tardi.
Roberto Ciambetti, presidente Consiglio regionale Veneto
Nessun commento:
Posta un commento