sabato 29 giugno 2013

Famiglia nomade compra casa con i soldi dei furti

IL CASO. Sette rom vicentini sono a processo in tribunale a Bolzano. La procura ha contestato il reato dell'associazione a delinquere per la raffica di colpi compiuti dal gruppo nel 2010 in Alto Adige e nel Vicentino.
I nomadi investono nel mattone. Sissignori. È l'accusa della procura: aver comprato un appartamento, oltre che un camper, con i soldi raggranellati in decine di furti. Sette rom vicentini (nati a Vicenza, o con un domicilio nel Vicentino) sono a processo davanti al tribunale di Bolzano. Pesante l'accusa mossa dalla magistratura altoatesina: associazione a delinquere finalizzata a commettere un numero imprecisato di furti aggravati. Secondo la ricostruzione avrebbero agito sotto il controllo di un'unica organizzazione anche perchè tutti appartenenti ad un unico nucleo famigliare. Ai vertici, stando al capo di imputazione, Romeo Maier, 45 anni, e Anna Teresa Hudorovic, 42, che avrebbero coordinato l'attività del gruppo, conferendo disposizioni ai complici per la parte logistica, come il pieno di carburante per i veicoli e la gestione dei materiali rubati. Oltre a loro, sono alla sbarra Rian Maier, 22 anni, Loredana Maier, 45, Samanta Levacovich, 34, Paola Held, 20, e Persilla Maier di 34. Gli episodi contestati sono decine; nel Bolzanino i capi d'imputazione sono 21 fra cui diversi colpi messi a segno in alberghi di località di villeggiatura come Obereggen, Naz Sciaves, Marlengo e Sesto Pusteria oltre che in appartamenti ad Appiano e a Riscone di Brunico. Altri furti sarebbero stati messi a segno in Trentino e nel Vicentino. Secondo l'accusa il gruppo sarebbe riuscito, con il provento dei colpi, ad acquistare un appartamento nei pressi di Castelfranco Veneto pagato 210 mila euro. Altri soldi furono impiegati anche per l'acquisto di un camper Fiat Laika. I rom, per evitare possibili intercettazioni telefoniche, avevano attivato una serie di numeri di cellulare intestandoli a cittadini stranieri, per lo più cinesi, che sarebbero stati ignari. Le indagini effettuate dalle forze dell'ordine hanno permesso di ricostruire nel dettaglio diversi colpi. L'appartamento che il gruppo è riuscito ad acquistare nel Trevigiano venne intestato a Persilla Maier che proprio per questo motivo è finita nell'elenco delle persone inquisite; la procura ha chiesto di sequestrarlo, perchè acquistato con i proventi dei raid. È una delle prime occasioni in cui presunte bande di nomadi scelgono - è l'ipotesi investigativa - di investire nel mattone e non, come scoperto nel corso di altre indagini, anche nel Vicentino, in vetture di lusso oltre che in autocaravan e in roulotte. Diversamente da altre famiglie rom, infatti, che decidono di rinunciare al nomadismo preferendo la stanzialità e decidono di andare a vivere in un appartamento, gli imputati si spostano in camper. Gli imputati sono ora alla sbarra con la possibilità di valutare l'opzione di riti alternativi. Solo un'imputata ha scelto di essere processata con l'abbreviato. Gli altri probabilmente potrebbero decidere di difendersi nel corso del dibattimento, dopo il rinvio a giudizio.
Diego Neri (Giornale di Vicenza)

giovedì 27 giugno 2013

Letta firma l’ennesima rapina di Stato contro il Nord



Il governo investe un miliardo e mezzo di euro per incentivare l'occupazione nel Mezzogiorno. Intanto, i nostri Comuni sono strangolati dal patto di stabilità, e i nostri soldi continuano ad alimentare l'assistenzialismo. 
Non ce l’ha fatta neanche lei, una dei pochissimi membri del governo Letta a non essere meridionale. Nemmeno la signora Cécile Kyenge è riuscita a bloccare l’ennesima rapina di Stato contro il Nord, visto che l’esecutivo ha scelto di investire circa un miliardo e mezzo di euro per incentivare l’occupazione nel Mezzogiorno. Un altro malloppo verrà ingoiato dal Sud per “sostenere gli imprenditori“. Siamo alle solite. A Milano e dintorni si pagano le tasse e si fa da sé, visto che da Roma arrivano briciole e nei forzieri dei Comuni sono bloccati pacchi di milioni per il patto di stabilità. Diversa la musica sotto il Po, dove lo Stato diventa improvvisamente amorevole: distribuisce posti pubblici e consulenze come ammortizzatore sociale, e agli enti locali che esagerano non riserva bacchettate ma euro. Chiedere a Catania, Palermo, Roma. Municipi al verde e dolcemente rimessi in piedi con i soldi altrui.
Evidentemente è quello che si merita una delle comunità più derubate e più addormentate al mondo. Pochi giorni fa, su lindipendenza.com, il diretùr Gianluca Marchi aveva snocciolato le cifre che il Settentrione versa a Roma ricevendo in cambio poco o nulla. In tutta Europa, dalla Catalogna alla Baviera, le regioni mettono in piedi dei casini per molto meno. Qui, no. Addirittura, in alcuni Comuni settentrionali la polizia locale sta girando per negozi. Non guarda le vetrine. E’ pronta a multare i commercianti che osano anticipare gli sconti in tempi di saldi. Ci sarebbe una norma statale che lo impedisce e che fa scattare sanzioni salate.
Il tutto mentre nel Mezzogiorno c’è la legge del Far West. Solo lì organizzazioni criminali comandano intere regioni e si stanno spingendo sempre più violentemente a Nord. Solo lì c’è – da una vita – il vero sciopero fiscale. Altro che Lega: milioni di patrioti meridionali non saldano il canone Rai (anche se le lingue ufficiali della tv di Stato sono il romano e il napoletano), ignorano i contributi, deridono ogni sorta di balzello. Eppure è impossibile cambiare registro. Impossibile, quasi come risolvere una volta per tutte il problema immondizia a Napoli. O tagliare l’esercito di forestali calabresi, più numerosi dei colleghi di tutto il Canada. Anche per questi motivi, frotte di campani e siciliani di buona volontà decidono di indossare la divisa della Finanza per recuperare qualche spicciolo dagli evasori. Peccato vengano quasi tutti a lavorare al Nord. Ora c’è l’ennesimo schiaffo ai padani con l’ultima vagonata di soldi che scendono a Mezzogiorno nel consueto viaggio di sola andata. Come se più di 150 anni di sciagurata unità nazionale non avessero insegnato che riempire di soldi il Sud serve solo alle mafie e alle clientele, non certo a rivitalizzare lo sviluppo. Gira e rigira, è quello che il Nord si merita. Anche per colpa della Lega, che tra Trota e scandali Belsito ha sputtanato la questione settentrionale. Problema più grave che mai, eppure poco rappresentato nelle istituzioni. Istituzioni così zeppe di meridionali da doverci aggrappare alla sciura Kyenge per sperare in un argine allo strapotere sudista. Come si dice dalle nostre parti, va da via i ciap.
di Albertino (L'Intraprendente)

 

mercoledì 26 giugno 2013

L'accusa della Madia: "Nel Pd ci sono associazioni a delinquere, troppi delinquenti"



La parlamentare parla a Roma ed è un fiume in piena: "Ho visto ipocrisia e opacità nel mio partito. I colpevoli sono i dirigenti. E tutto resta così com'è". 
"Il Pd è un'associazione a delinquere". L'accusa choc ai dirigenti del Nazareno non arriva nè dal M5S, nè dal Pdl. Le parole e la musica sono dell'onorevole democratica Marianna Madia, veltroniana di ferro e alla sua seconda legislatura. L'accusa feroce contro il suo stesso partito arriva durante il tour di Fabrizio Barca a Roma che si prepara per la sua scalata alla segreteria del Pd. Durante un dibattito pubblico a Roma, la Madia sbotta: "Nel Pd a livello nazionale ho visto piccole e mediocri filiere di potere. A livello locale, e parlo di Roma, facendo le primarie dei parlamentari ho visto, non ho paura a dirlo, delle vere e proprie piccole associazioni a delinquere sul territorio”.  
Veleno democratico -  Le sue parole sono destinate a scatenare un vespaio di polemiche. La Madia è un fiume in piena. Mette nel mirino il suo partito e lo impallina senza pietà. "Cosa ho visto nel Pd che ha gestito il gruppo parlamentare dall'inizio di questa legislatura? Ho visto ipocrisia, ho visto opacità, ho visto un sistema che non chiamerei neanche di correnti, ma di piccole e mediocri filiere di correnti di potere che sono attaccate così attaccate appunto al potere che non vogliono cedere un millimetro". Poi dice chiaramente chi sono i colpevoli: "Tutto questo l'ho visto da chi oggi ancora dirige. E questo è il livello nazionale".  
Attacco ai vertici -  Insomma quella della Madia è una sorta di de profundis per il Pd. Le parole della deputata fanno capire come in largo del Nazareno l'aria sia tesa e come ci sia ancora una guerra interna che porterà ad un congresso che sarà una drammatica resa dei conti. La Madia è consapevole che il cambiamento nel Pd è solo una promessa mai mantenuta e conclude con un'amara verità: "Ho visto fare di tutto, veti incrociati e vendette per mantenere tutto così com'è". Epifani ha il suo bel da fare. Se la Madia fosse stata una parlamentare del M5S in poche ore sarebbe stata espulsa. In largo del Nazareno incassano il colpo e decideranno come muoversi. Resta intanto quell'accusa: "Il Pd è come un'associazione a delinquere". Piombo per un partito che si definisce, sin dal nome, "democratico".  
(I.S.) da Libero Quotidiano


martedì 25 giugno 2013

IL NORD FESTEGGIA. Prodi lascia la «politica». Alleluia.



Eterno Dc, ha svenduto l'Iri, è l'uomo della Cina in Italia e con la sinistra ha affossato le imprese a colpi di tasse e sindacalizzazione. Prodi lascia la «politica». Alleluia. 
“La mia partita è finita. Ora lascino anche altri”. Il Corriere l’ha titolata così, la missiva in cui Romani Prodi dichiara ufficialmente il proprio disarmo (quello che finché non lo vedi non ci credi, perché un conto sono le chiacchiere di facciata, un altro è recidere i fili del potere che, lontano dalle copertine mediatiche, portano direttamente a casa tua). Il Nord esulta. Respirate. Stappate, saltate, gioite, smettere di respirare, sfondate il divano a colpi di festeggiamenti. Romano Prodi abbandona, dice, la politica. Il Nord esulta. Se poi quegli altri, i suoi compari di merende da una trentina d’anni, anzi più, inchiodati ai palazzi romani volessero seguire il suo invito-esempio, noi lo dichiariamo: questa volta siamo d’accordo con lui. Puntiamo tutto sul Mortadella, il Professore ha ragione, dice il vero e senza bisogno di alcuna seduta spiritica. Prodi lascia. Non vogliatecene, le ripetizioni sono imposte dall’eccitazione. Non si riesce a smettere di sospirare la frase, batterla sui tasti la rende più vera e ve la proponiamo una, due, dieci volte.
«Ribadisco che ho definitivamente lasciato la vita politica italiana. Ad essa riconosco di avermi concesso esperienze fondamentali e non poche soddisfazioni personali, che spero abbiano offerto un positivo contributo al Paese». E al Premier rispondiamo, perché lo spirito di gioco impone si batta il campo sino all’ultimo, per lealtà. Quindi lealmente non lasciamo cadano nel vuote le sue parole, neppure quelle dell’uomo che l’abito buono l’ha riposto. Un «contributo al Paese» lo ha lasciato Prodi. È sul «positivo» che le mani si fanno tremanti. Perché ha lottato le aziende, da presidente dell’Iri ha svenduto patrimoni nazionali. L’indebitamento dell’istituto pare che dall”82 all”89 (regno prodiano) sia balzato da 7.349 a 20.873 miliardi. Legato a doppia mandata con Carlo De Benedetti (proprietario del gruppo Repubblica e L’Espresso), che spesso ha giovato delle privatizzazioni del Romano, anche rivendendo le imprese a gruppi stranieri o allo Stato stesso (già, nulla è impossibile), mentre il suo conflitto di interessi con “Nonisma”, società di consulenza passò come quisquilia. Ma queste sono storie vecchie, zeppe di dettagli che, volendo, sono facili da ricucire. Il Nord esulta perché Prodi è stato uno dei politici più statalisti, incapaci di incentivare e produrre ricchezza. Un’ombra che ha sempre vissuto, pretendendo l’Italia facesse altrettanto, sui patrimoni italiani. Ha insultato metà nazione, sempre, ostinatamente. “Anche i ricchi piangeranno”, come non ricordare quel manifesto che durante la sua campagna elettorale campeggiavano sui muri delle città. Non erano suoi, vero. Di un partito alleato, vero. Non li ha mai rinnegati con forza. Quello fu l’anno in cui a tre mesi dalle elezioni buona parte dei grandi capitali fuggirono all’estero. Il coraggio con cui poi parlò alle flotte di operai che festeggiavano una non-vittoria (l’ingovernabilità trionfò ieri come oggi. E la legge elettorale è cattiva ma non è stato buono a cambiarla manco lui), conscio di aver fabbricato un impoverimento violento della nazione, non ce la spieghiamo ancora. Gli investimenti che fuggono sono imprese e posti di lavoro bruciati. E non ci crediamo che questi conti non li sappia fare, uno che è definito l’uomo della “Cina in Italia”, che a questa apre le porte perché ci freghino patrimoni, ricchezza e aziende. Non ci crede neanche lui, infatti tendenzialmente tace, quando butta male. Ha guardato al Settentrione come a un portafogli zeppo, cui succhiare risorse, bloccando l’impresa. E sindacati, costo del lavoro, arretratezza, tasse e ancora tasse. Il dramma del 2013, insomma, è di casa anche e soprattutto nella sua (in)capacità di governare. Dice di aver migliorato «sensibilmente il prestigio internazionale» del Belpaese. Speriamo ne sia convinto. Prodi lascia. Il Nord esulta e ringrazia.
di Federica Dato (L'Intraprendente).



 

Idem: scandalo Ici, la ministra si è dimessa



La ministra delle Pari opportunità molla dopo più di un'ora da Letta, travolta dallo scandalo di Ici, Imu e palestra. L'ultima farsa: "L'avevo deciso da tempo".
Josefa Idem si è dimessa. Dura più di un'ora l'interrogatorio della ministra delle Pari Opportunità a Palazzo Chigi, davanti al premier Enrico Letta. La sentenza è di quelle senza appello: il presidente del consiglio, a nome di tutti i ministri (decisamente gelidi), ha gentilmente chiesto alla sua pupilla tedesca di nascita e italiana d'adozione di lasciare la poltrona a un altro collega. E lei, che già aveva detto di "rimettersi al suo giudizio", ha piegato la testa.
Tutti gli imbarazzi di Sefi - Troppo pesanti gli imbarazzi, per ora senza strascichi penali, provocati dallo scandalo della presunta evasione fiscale sulla casa-palestra di Santermo. L'Ici non pagata per 4 anni, dal 2008 al 2011. L'Imu pagata in ritardo, dopo le accuse della stampa. La mancata dichiarazione al Comune di Ravenna dell'esistenza della palestra Jajo Gym. Ma non solo. Anche le ultime indiscrezioni sui contributi e l'aspettativa ottenuta pagati dal Comune di Ravenna, di cui era diventata assessore, in qualità di (unica) dipendente dell'associazione sportiva del marito hanno contrinuito a peggiorare la situazione di Sefi. Sabato, in una surreale conferenza stampa difensiva, l'ex olimpionica non ha risposto alle richieste di chiarimento , preferendo snocciolare semplicemente le proprie imprese sportive, il proprio ruolo di donna in carriera, trincerandosi dietro una motivazione comica: "Non sono una commercialista". E al giornalista di Libero Enrico Paoli, che gli chiedeva se avesse intenzione di dimettersi, non aveva trovato altra reazione se non alzarsi e abbandonare la sala. Ora, la risposta è arrivata. 
"L'avevo deciso da tempo" - "Come Ministra - ha commentato la Idem - ho tenuto duro in questi giorni perché in tanti mi avevano detto che questi momenti fanno parte del gioco. La persona Josefa Idem, già da giorni invece, si sarebbe dimessa a causa delle dimensioni mediatiche sproporzionate della vicenda e delle accuse aggressive e violente, nonchè degli insulti espressi nei suoi confronti. Quando sono salita dal Presidente Letta avevo già maturato la decisione di dimettermi, ma ho comunque voluto condividere con lui l'attenta valutazione del quadro venutosi a creare ed esporgli la scarsa rilevanza di quanto imputatomi. Confermo quindi le mie dimissioni, augurando buon lavoro al Presidente del Consiglio Enrico Letta al quale rinnovo la mia più profonda stima". "A Josefa - ha commentato invece lo stesso Letta - esprimo il più sincero ringraziamento per questi 50 giorni di lavoro comune, nei quali ha avuto modo di dimostrare qualità politiche e amministrative che al governo del Paese sarebbero state utilissime".
da Libero Quotidiano.