Eterno Dc,
ha svenduto l'Iri, è l'uomo della Cina in Italia e con la sinistra ha affossato
le imprese a colpi di tasse e sindacalizzazione. Prodi lascia la «politica».
Alleluia.
“La mia partita è finita. Ora lascino anche
altri”. Il Corriere l’ha titolata così, la missiva in cui Romani
Prodi dichiara ufficialmente il proprio disarmo (quello che finché non lo
vedi non ci credi, perché un conto sono le chiacchiere di facciata, un altro è
recidere i fili del potere che, lontano dalle copertine mediatiche, portano
direttamente a casa tua). Il Nord esulta. Respirate. Stappate, saltate,
gioite, smettere di respirare, sfondate il divano a colpi di festeggiamenti.
Romano Prodi abbandona, dice, la politica. Il Nord esulta. Se poi quegli altri,
i suoi compari di merende da una trentina d’anni, anzi più, inchiodati ai
palazzi romani volessero seguire il suo invito-esempio, noi lo dichiariamo:
questa volta siamo d’accordo con lui. Puntiamo tutto sul Mortadella, il
Professore ha ragione, dice il vero e senza bisogno di alcuna seduta
spiritica. Prodi lascia. Non vogliatecene, le ripetizioni sono imposte
dall’eccitazione. Non si riesce a smettere di sospirare la frase, batterla sui
tasti la rende più vera e ve la proponiamo una, due, dieci volte.
«Ribadisco che ho definitivamente lasciato la vita
politica italiana. Ad essa riconosco di avermi concesso esperienze
fondamentali e non poche soddisfazioni personali, che spero abbiano offerto un
positivo contributo al Paese». E al Premier rispondiamo, perché lo spirito di
gioco impone si batta il campo sino all’ultimo, per lealtà. Quindi lealmente
non lasciamo cadano nel vuote le sue parole, neppure quelle dell’uomo che
l’abito buono l’ha riposto. Un «contributo al Paese» lo ha lasciato Prodi. È
sul «positivo» che le mani si fanno tremanti. Perché ha lottato le aziende,
da presidente dell’Iri ha svenduto patrimoni nazionali. L’indebitamento
dell’istituto pare che dall”82 all”89 (regno prodiano) sia balzato da 7.349 a
20.873 miliardi. Legato a doppia mandata con Carlo De Benedetti
(proprietario del gruppo Repubblica e L’Espresso), che spesso ha
giovato delle privatizzazioni del Romano, anche rivendendo le imprese a
gruppi stranieri o allo Stato stesso (già, nulla è impossibile), mentre il suo
conflitto di interessi con “Nonisma”, società di consulenza passò come
quisquilia. Ma queste sono storie vecchie, zeppe di dettagli che, volendo, sono
facili da ricucire. Il Nord esulta perché Prodi è stato uno dei politici più statalisti,
incapaci di incentivare e produrre ricchezza. Un’ombra che ha sempre
vissuto, pretendendo l’Italia facesse altrettanto, sui patrimoni italiani. Ha insultato
metà nazione, sempre, ostinatamente. “Anche i ricchi piangeranno”, come
non ricordare quel manifesto che durante la sua campagna elettorale
campeggiavano sui muri delle città. Non erano suoi, vero. Di un partito
alleato, vero. Non li ha mai rinnegati con forza. Quello fu l’anno in cui a tre
mesi dalle elezioni buona parte dei grandi capitali fuggirono
all’estero. Il coraggio con cui poi parlò alle flotte di operai che
festeggiavano una non-vittoria (l’ingovernabilità trionfò ieri come
oggi. E la legge elettorale è cattiva ma non è stato buono a cambiarla manco
lui), conscio di aver fabbricato un impoverimento violento della nazione, non
ce la spieghiamo ancora. Gli investimenti che fuggono sono imprese e
posti di lavoro bruciati. E non ci crediamo che questi conti non li
sappia fare, uno che è definito l’uomo della “Cina in Italia”,
che a questa apre le porte perché ci freghino patrimoni, ricchezza e aziende.
Non ci crede neanche lui, infatti tendenzialmente tace, quando butta male. Ha
guardato al Settentrione come a un portafogli zeppo, cui succhiare
risorse, bloccando l’impresa. E sindacati, costo del lavoro, arretratezza,
tasse e ancora tasse. Il dramma del 2013, insomma, è di casa anche e
soprattutto nella sua (in)capacità di governare. Dice di aver migliorato
«sensibilmente il prestigio internazionale» del Belpaese. Speriamo ne sia
convinto. Prodi lascia. Il Nord esulta e ringrazia.
di Federica Dato (L'Intraprendente).
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