Nel 2010 Josefa celebrò i migliori uomini del fisco:
"Le imposte servono al bene comune..."
Eppure la
relazione pubblica tra Josefa Idem e il fisco italiano era iniziata nel
migliore dei modi. Era il 16 dicembre del 2010. Mancava la musica di sottofondo
giusta, un Vangelis d’annata tipo «Momenti di Gloria» o «Conquest of Paradise»,
ma il resto dell’atmosfera epico-motivazionale c’era tutto. Cerimonia annuale
con Attilio Befera e il resto dei vertici dell’Agenzia delle Entrate schierati
accanto a Gianni Petrucci, presidente del Coni. Guest star, la campionessa
della canoa e il nuotatore Massimiliano Rosolino. I due olimpionici erano lì
(non pagati, ci tengono a far sapere dall’Agenzia, e ci mancherebbe pure) per
premiare i sette migliori funzionari del fisco (per la serie: i veri campioni
siete voi).
Sul palco,
da perfetta madrina dell’anti-evasione, la Idem faceva il sermoncino ai
furbetti e lisciava il pelo ai mastini di Befera: «A chi pensa che delle tasse
si possa fare a meno, occorre ricordare che il vostro lavoro è fondamentale per
il bene comune, che sono scuole, strade, edifici pubblici». Sorridente,
consegnava la targa al primo classificato per la categoria «Controllo e
contenzioso». Applausi.
L’argomento
doveva averla appassionata, perché ci sarebbe tornata nel gennaio del 2012. Si
parlava dell’evento sportivo dell’anno, le olimpiadi di Londra, e come accade
in certi casi la faceva da padrona la metafora agonistico-politica: l’Italia ce
la farà? La Idem non aveva dubbi: «L’Italia ha una ricchezza privata che gli
altri non hanno. Tutti i risparmi privati che abbiamo, magari anche perché qualcuno
non paga le tasse, sono una bella rete di sicurezza». Teutonicamente
ineccepibile: se uno non paga le tasse ha più soldi e quindi è più ricco. Era
già pronta per fare il ministro.
Forte di
questa preparazione, ha fatto della serietà fiscale uno dei propri tormentoni
elettorali. A dicembre, quando la candidatura nelle liste del Pd era nell’aria,
la Merkel della canoa illustrava ai lettori dell’Unità cosa significa essere
rigorosi: «Le regole delle primarie bisogna solo rispettarle, anche se non ti
piacciono. È come pagare le tasse: a nessuno piace farlo, ma va fatto». Un
cronista del Resto del Carlino provò a coglierla in castagna, quando si seppe
che sarebbe stata capolista al Senato: «Le chiederanno cosa pensa dell’Imu,
della pressione fiscale…». Lei, senza scomporsi: «E io le rispondo così: è
giusto che tutti paghino le tasse, però bisogna tener conto dei livelli di
reddito. A chi ha poco non si può chiedere quanto si chiede a chi ha
tanto».
Equa e
solidale. Come quando, a pochi giorni dal voto, difendeva l’Imu sullo stesso
quotidiano: «È stata necessaria, e proporre di abolirla e addirittura
rimborsare è pura retorica priva di qualsiasi senso della realtà» (Berlusconi,
tiè). «Io ho una casa di proprietà e una assieme a mio marito. Ho pagato 1.200
euro di Imu», declamava con l’orgoglio del contribuente felice di fare il
proprio dovere. A domanda diretta rispondeva che il reddito indicato nella sua
ultima dichiarazione era stato di 170.342 euro.
In realtà la
casa di proprietà è risultata essere una palestra e l’importo dell’Imu non è
stato proprio quello dovuto. Per non parlare dell’Ici: lei e il marito, si
apprende dalla relazione del Comune di Ravenna, «hanno considerato abitazione
principale sia quella in carraia Bezzi che quella in argine destro Lamone», e
quindi «non hanno corrisposto l’Ici per gli anni dal 2008 al 2011, fruendo
dell’esenzione prevista dalla legge».
«Profili di
irregolarità», li chiama lei. Dei quali non poteva essere al corrente, essendo
stata «per lunghi periodi lontana da casa», ha spiegato dopo che la vicenda è
uscita sui giornali e lei è stata costretta a ricorrere al ravvedimento
operoso. Intanto il povero Enrico Letta, per difenderla, è finito sulla
graticola. E chissà se quelli dell’Agenzia delle Entrate la inviteranno ancora
alla loro premiazione annuale. Col senno di poi, si sono visti testimonial più
credibili.
di Fausto
Carioti (Libero)
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