Il presidente della Camera: rom in testa alle liste di
assegnazione delle case. Un escluso non ci sta: "Calpestata la
Costituzione, è vilipendio".
Roma -
Regole, norme, codici, serietà, sostenibilità dell'immigrazione, centralità
dell'interesse nazionale. Nel fitto diluvio di messaggi finto-buonisti che si
abbatte sul nostro dibattito politico sta diventando quasi eretica la posizione
di chi rivendica la necessità di governare - come avviene in tutti i Paesi del
mondo - un fenomeno complesso come l'immigrazione e si oppone a slogan confusi,
sul modello di «Italia, nazione aperta», che altro non fanno che rendere sempre
meno gestibile il già drammatico fenomeno dei flussi.
Chi ha
provato a compiere un piccolo gesto in controtendenza è Davide Fabbri,
rappresentante del «Movimento lavoro e rispetto» che il 30 giugno scorso si è
presentato al Comando di Milano Marittima dei Carabinieri per formalizzare una
ratifica di denuncia, con testimoni, nei confronti del presidente della Camera,
Laura Boldrini. Il motivo? Fabbri scrive: «Ho sentito il presidente della
Camera alla domanda di un giornalista che le chiedeva: Con quale criterio
saranno assegnate le case popolari? rispondere: Saranno date prima ai rom e
agli extracomunitari con figli a carico». Fabbri in quanto cittadino italiano,
si è sentito discriminato poiché è stato a suo tempo privato due volte del
diritto di una casa popolare nel Comune residente di appartenenza. Secondo
Fabbri, con queste decisioni, Laura Boldrini, decide di appropriarsi
arbitrariamente di un bene nato dal risparmio dei cittadini italiani tutelato
dall'articolo 47 della Costituzione. Insomma, il sentimento, fa capire Fabbri è
quello di sentirsi sempre più ospiti a casa propria. Per questo procede alla
denuncia per «discriminazione e vilipendio della Costituzione».
I segnali,
comunque, non lasciano certo intravedere una inversione di tendenza. Proprio
ieri Laura Boldrini, arbitro che quasi quotidianamente sveste i panni della
terzietà per scendere in campo, è tornata a sostenere che «è sufficiente
osservare la realtà italiana, quel meticciato per dirla come il ministro Cecile
Kyenge, per rendersi conto che occorre valutare una nuova legge sulla
cittadinanza».
E pochi
giorni fa aveva detto che «l'immigrazione non va gestita con logiche di difesa.
Costituisce un pericoloso anacronismo che una legge sulla cittadinanza non
prenda atto che in Italia vivono quattro milioni di immigrati ai quali sono
preclusi diritti civili. Ciò crea animosità. Gli allarmismi e la sindrome
d'assedio danneggiano la coesione sociale. C'è un vittimismo non giustificato
dai numeri. Non sono clandestini, sono rifugiati. L'emergenza clandestini non
esiste. È solo un'invenzione».
Naturalmente,
nonostante l'abrogazione a mezzo stampa dell'emergenza immigrazione, il quadro
tratteggiato dalla Boldrini omette «particolari» non trascurabili. Una
fotografia fedele del mondo reale - al netto di buonismi e derive ideologiche -
arriva dal Rapporto annuale su immigrati e occupazione che proprio ieri ha
acceso i riflettori sulla situazione italiana. Lo studio certifica come nel
2012 i cittadini stranieri disoccupati abbiano raggiunto quota 385mila unità.
Rispetto al 2011 il numero è aumentato del 19,2% per la componente Ue e del 25,4%
per quella extra Ue. «Considerando l'ultimo triennio dal 2010 al 2012, il
numero delle persone in cerca di lavoro di cittadinanza Ue è cresciuto di oltre
35 mila unità, mentre tra le forze di lavoro di cittadinanza extra Ue l'aumento
è superiore alle 72 mila persone», spiega il rapporto curato dalla direzione
generale Immigrazione e politiche d'integrazione del ministero del Lavoro. Un
fenomeno che nella prospettiva della lunga fase di crisi «assume caratteri
decisamente allarmanti».
di Fabrizio De Feo
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