Nei giorni scorsi, a Venezia, sono state prese
decisioni che potrebbero avere conseguenze epocali, dal momento che riaprono la
vertenza tra il Veneto e Roma, riponendo al centro del dibattito quella
richiesta di democrazia e autodeterminazione che da tempo agita la società
veneta.
Cosa è successo? Il Consiglio Regionale, un giorno
dopo l’altro, ha deciso di convocare la popolazione al fine di chiedere (questo
è il primo punto) se vogliono che il Veneto diventi una regione a statuto
speciale. Chiusi tra il Trentino e il Fiuli Venezia Giulia, i veneti reclamano
di poter tenere all’interno dei loro confini una parte maggiore di quanto
producono.
Si tratta di una proposta che ha qualche prospettiva?
Penso di no. La situazione della finanza pubblica è tale che l’Italia non può
permettersi di rinunciare ai soldi dei veneti. Il deficit salirebbe a livelli
troppo alti senza tutti quei soldi che i da Padova o da Verona giungono a Roma
per provare a tenere in piedi istituzioni ormai al collasso.
L’altro referendum approvato - e questo è il
secondo punto – ha però un peso assai maggiore e potrebbe avere conseguenze
storiche: e non a caso è passato con maggiore difficoltà, giovedì 12 giugno, al
termine di un consiglio infuocato. Stavolta non si domanda nulla a Roma,
ma si rivendica invece il diritto a governarsi da sé, in perfetta coerenza con
quel diritto internazionale alle cui norme (all’articolo 10) la stessa
Costituzione italiana dichiara di conformarsi.
In sostanza, la legge approvata porterà i veneti a
votare su un referendum consultivo il cui quesito sarà secco e senza equivoci,
poiché chiederà se il Veneto deve oppure no diventare una Repubblica
indipendente: entro l’Europa, ma fuori dall’Italia. Il referendum è solo
consultivo, ma è chiaro che il suo esito vincolerà i comportamenti del ceto
politico veneto, che dovrà prendere atto della volontà della propria gente.
A questo punto il Veneto, quasi in silenzio e senza
che i media nazionali dedichino grande attenzione alla cosa, si inserisce nel
gruppo delle zone calde d’Europa: dove lo Stato nazionale è in crisi e si
profila un sistema di realtà istituzionali assai più piccole e sotto il diretto
controllo della popolazione. Il Veneto entra in un club di cui fanno parte la
Scozia, la Catalogna, i Paesi Baschi, le Fiandre e altri ancora. E il prossimo
autunno le rivendicazioni catalane e scozzesi agiteranno i sonni di eurocrati e
nazionalisti in tutto il continente.
Questo è solo un inizio, dato che nel loro
insieme i protagonisti attuali della politica veneta sono uomini dell’Ancien
régime e anche molti tra quanti hanno votato a favore del referendum
indipendentista in realtà si trovano assai bene entro le istituzioni italiane
attuali. Non solo essi non vogliono l’indipendenza del Veneto, ma nemmeno
vogliono che la gente possa decidere del proprio futuro. In Veneto come
ovunque, la politica è una tela fatta di imbrogli, cialtronaggini, giochi di
ruolo, ignoranza crassa, opportunismi. Lo sanno tutti che al centro del voto di
ieri non c’era in primo luogo l’indipendenza del Veneto, ma qualche giochetto
più o meno furbo in vista del prossimo appuntamento delle elezioni regionali
(IN ITALIA) fissate per il 2015.
Eppure… succede talora che le cose possano sfuggire di
mano: tanto a Zaia quanto ai suoi alleati di maggioranza. Perché ora in Veneto
c’è chi inizia a sognare ed è disposto a impegnarsi fino allo stremo perché il
diritto di decidere sul futuro (un diritto che ha valore sovra-costituzionale)
sia presto riconosciuto nei fatti.
Molto sta a noi e a cosa sapremo fare.
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