venerdì 6 giugno 2014

Il Pd travolto dall'inchiesta Mose prova a scaricare Orsoni


I vertici del partito: «Non è iscritto». Ma si dimenticano degli altri arresti "eccellenti"
Appena il tempo di vedere i titoli dei giornali che dal Pd è partito subito lo “scarica Orsoni”. Il sindaco di Venezia? Chi è costui? Non è certo dei nostri. È questa la strategia difensiva messa in campo dai democratici investiti in pieno dallo tsunami giudiziario dell’inchiesta sul Mose di Venezia.
A renderla evidente c’ha pensato Luca Lotti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e coordinatore della segreteria Pd: «Il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, contrariamente a quello che ho letto, non è iscritto al Pd. Non ha tessera». L’esponente democrat prosegue poi sottolineando che «l’accostamento tra Pd in consiglio comunale e un capo d’accusa personale lo trovo alquanto forzato. Questo non significa scaricare nessuno, ma è giusto precisare la verità dei fatti. Le responsabilità sono individuali, non hanno un colore di partito, e i ladri devono andare in galera».
Lotti dimentica che Orsoni non avrà la tessere ma è un sindaco Pd a tutti gli effetti: il partito lo sostiene in maggioranza e lo ha accompagnato in campagna elettorale, anche se - a quanto risulta dalle carte della Procura - una parte dei soldi per sconfiggere Renato Brunetta nel 2010 Orsoni se l’è andata a prendere direttamente dal Consorzio Venezia Nuova. Insomma, a Venezia in pochi condividono le parole di Lotti: Orsoni non è tesserato, certo, ma è un sindaco del Pd, almeno nella percezione dei cittadini.
Oltretutto Orsoni è il promotore di PaTreVe, il progetto tanto caro al Pd che prevede la realizzazione della grande città metropolitana che unirebbe Padova, Treviso (entrambe governate dal Pd) e Venezia, e che avrebbe proprio nel capoluogo il suo fulcro. Insomma, sostenere che Orsoni sia estraneo al Pd è un po’ come dire che l’amministrazione di Venezia non sia targata Pd. Tenta di agganciare la vicenda Orsoni all’opera di rottamazione portata avanti dal “nuovo Pd” l’europarlamentare Alessandra Moretti secondo la quale «L’inchiesta Mose che segue di poco quella su Expo ci dice che è arrivato il tempo perché una nuova generazione di politici si prenda la responsabilità di scommettere sul futuro .Occorre segnare una forte discontinuità con il passato».
Sia Lotti che Moretti sembrano però dimenticare un particolare: nell’inchiesta veneziana non c’è solo Giorgio Orsoni. In carcere, per esempio, è finito anche Giampietro Marchese, ex vicepresidente in Consiglio regionale, ex capogruppo e tesoriere dei democratici veneti. Un figura non certo di secondo piano nell’organigramma regionale del partito: secondo l’accusa avrebbe incassato per tra il 2005 e il 2013 circa mezzo milione di euro. Di lui, il principale accusatore dell’inchiesta Giovanni Mazzacuratì, ex presidente del Consorzio Nuova Venezia, dice: «Me l’ha presentato come una persona che curava, diciamo, i conti della sinistra e a me è stato presentato come la persona con cui doveva parlare per metterci d’accordo sulle dazioni che fossero necessarie».
Non solo: tra gli arrestati ci sono anche Francesco Giordano, delle cui consulenze si è avvalso il Comune di Padova, roccaforte Pd, per un’operazione strategica come la fusione di Aps Acegas con la bolognese Hera, e Roberto Meneguzzo, la cui Palladio Finanziaria si è occupata del project financing per la costruzione dell’ospedale di Padova, altra opera fortemente voluta dall’amministrazione Pd e successivamente “dimezzata” dalla Giunta Zaia.

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