Uno stipendio di un milione di euro all’anno più altri due milioni una tantum all’ex governatore veneto ed ex ministro Giancarlo Galan per ottenere le autorizzazioni. Al sindaco di Venezia Giorgio Orsoni invece 560mila euro per finanziare la campagna elettorale. E poi mezzo milione di euro per Marco Milanese, consigliere di Giulio Tremonti quando era ministro, perché facesse arrivare i finanziamenti. Sono solo alcune delle accuse che hanno portato alla raffica di arresti nell’inchiesta sul Mose di Venezia, il sistema di paratie mobili per proteggere la città dalle maree del valore di oltre 5 miliardi di euro. Una torta che ha dato da mangiare a tanti e che ora ha generato il terremoto giudiziario che ha portato all’arresto di 35 persone e all’iscrizione nel registro degli indagati di oltre 100 persone. Le accuse vanno dalla corruzione alla frode fiscale, fino al finanziamento illecito dei partiti, alla concussione e al riciclaggio.
Tra gli arrestati nomi eccellenti non solo della politica, ma anche dell’imprenditoria veneta e addirittura anche esponenti delle forze dell’ordine, come il generale in pensione della Finanza Emilio Spaziante al quale, secondo l’accusa, sono stati versati 500mila euro per «influire in senso favorevole sulle verifiche fiscali e sui procedimenti penali aperti nei confronti del Consorzio Venezia Nuova».
In cella sono finiti anche l’assessore regionale veneto alle Infrastrutture Renato Chisso (Fi) (e i suoi collaboratori Giovanni Artico e Enzo Casarin), il consigliere regionale e tesoriere del Pd veneto Giampietro Marchese, l’europarlamentare uscente di Forza Italia Lia Sartori. In carcere anche gli ex magistrati alle acque Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta. Tra gli indagati anche il magistrato della Corte dei Conti Vittorio Giuseppone, che avrebbe percepito uno stipendio di 600mila euro per «accelerare le registrazioni delle convenzioni presso la corte dei Conti da cui dipendeva l’erogazione dei finanziamenti concessi al Mose».
Le indagini proseguono da tempo e a febbraio era già stato arrestato un nome noto già ai tempi di Tangentopoli, Giorgio Baita, ex amministratore delegato della Mantovani, una delle principali imprese impegnate nel Mose.
Secondo il quadro ricostruito dagli investigatori, intorno agli appalti miliardari del sistema anti maree veneziano si sarebbe costituito un comitato d’affari che coinvolgeva tutti i livelli politico-istituzionali, dal Comune fino, appunto, alla Corte dei Conti. Secondo i magistrati, i fondi neri costituiti dalle aziende coinvolte nei lavori e riunite nel Consorzio Venezia Nuova sono stati utilizzati dai politici coinvolti sia per uso personale, come nel caso di Galan (sul cui arresto dovrà ora pronunciarsi la Camera), che per campagne elettorali, come nel caso di Orsoni, che avrebbe ricevuto soldi per finanziare la sua elezione nel 2010.
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