venerdì 31 maggio 2013

Perché il leghismo sopravviverà alla Lega



Il governatore veneto Luca Zaia centra il punto: «Siamo al big-bang della storia del Nord». Ormai l'esigenza di autonomia e resistenza fiscale è alfabeto condiviso, e questo conta molto più di qualsiasi partito. 
I partiti sono strumenti e, per definizione, devono essere al servizio di un qualche obiettivo. Quando il leghismo iniziò a prendere piede (prima in Veneto, nel 1980, e poi in altre aree del Nord) l’obiettivo delle formazioni localiste che infiammarono il dibattito politico era una proposta variamente orientata all’autonomismo e al federalismo, che poggiava in larga misura su un desiderio di indipendenza talora inconfessato, ma pure molto presente in Lombardia, in Veneto e altrove. Negli anni successivi prese piede anche un progetto che ai temi dell’autonomia (variamente declinati) univa quelli della resistenza fiscale, della sburocratizzazione, della difesa dell’apparato produttivo settentrionale. Lo slogan “Basta tasse, basta Roma” sintetizza un po’ quella fase confusa, ma non priva di qualche tratto interessante.
Nel corso degli anni sono cambiate, e in profondità, tanto la Lega quanto la società italiana. La prima si è progressivamente perduta in logiche che poco avevano a che fare con la domanda di autogoverno che veniva dal Nord, mentre l’intero Paese iniziava a entrare in crisi anche a causa di maggioranze in cui la stessa Lega ha giocato un ruolo di primo piano. La tassazione e la regolazione sono cresciute moltissimo durante i governi di centro-sinistra, ma egualmente in quelli guidati da Silvio Berlusconi e sostenuti dal partito di Umberto Bossi, che raramente è stato in grado di mettersi in sintonia con chi lavora e con chi è quotidianamente impegnato a soddisfare i propri clienti su mercati globali e altamente competitivi. 
Non è quindi una sorpresa che le ultime elezioni comunali abbiano segnato una brutta battuta d’arresto del partito ora guidato da Roberto Maroni. Può invece un po’ sorprendere che di questo non si sia quasi parlato, nelle scorse ore, dato che ormai è Beppe Grillo a essere al centro delle discussioni. Si ha insomma la sensazione che la Lega stia uscendo di scena senza neppure un funerale di prima classe. Potrebbe non essere così, poiché c’è del fuoco cova sotto la cenere. E potrebbe avere ragione il presidente del Veneto, Luca Zaia, quando in un’intervista rilasciata al Gazzettino afferma che «Siamo al big bang della storia del Nord», aggiungendo che «il leghismo non è più una questione di partito: da destra a sinistra i veneti riconoscono che la questione del Nord è cogente». Per poi concludere che «il leghismo non si accoppia più con il filone demagogico che ha sempre lambito il nostro partito». Sono parole che rinviano a una prospettiva ben precisa. In particolare, queste dichiarazioni provengono da una società, quella veneta, in cui la Lega perde voti proprio mentre si moltiplicano le iniziative indipendentiste. E non a caso un partito seriamente separatista quale Indipendenza Veneta, sorto solo pochi mesi fa, sta iniziando a ottenere risultati elettorali di rilievo anche grazie alla determinazione con cui sta gestendo il progetto referendario: la Risoluzione 44 approvata lo scorso novembre, la nascita della Commissione dei giuristi, il deposito di una proposta di legge regionale che dovrebbe convocare i veneti a esprimersi sull’ipotesi di una piena indipendenza. Zaia avverte che la crisi economica è terribile ed è cosciente che molti ormai sono informati sul fatto che il residuo fiscale ammonta a circa 20 miliardi di euro: la differenza tra quanto i veneti versano in tasse e l’insieme dei servizi (nazionali e locali) ricevuti. Egli soprattutto sa bene che c’è ormai un “leghismo” trasversale e che la voglia d’indipendenza è per certi aspetti sempre più viva. Probabilmente sta pure posizionandosi in vista di una sua ricandidatura per la scadenza del 2015, alle prossime regionali, ma al tempo stesso comprende che non avrà alcuna chance se prima non sarà riuscito a mettere il Veneto nella scia di Catalogna e Scozia. La storia dell’Italia centro-settentrionale, d’altra parte, è caratterizzata da comuni, leghe, principati e Stati regionali. Il nostro è un universo che è stato grande quando è stato diviso. Proveniamo da una rete di entità indipendenti e quello potremmo presto tornare a essere. Per giunta, l’intero Nord cede circa 90 miliardi ogni anno, secondo i dati del 2012, al resto della Penisola e un salasso di questo genere non è più sopportabile in questa fase di grave recessione. 
Con ogni probabilità, Zaia cercherà di lavorare su due binari: proverà a seguire la strada di una buona amministrazione che si sforza di far fronte “qui e ora” ai problemi di un’economia in ginocchio; e al tempo stesso, e soprattutto, non rinuncerà all’idea di offrire quel progetto ideale e quella risposta radicale che da tempo, in Veneto, hanno individuato nell’idea di una Serenissima 2.0. Il prossimo passaggio sarà il parere della commissione giuridica e, successivamente, il dibattito in Consiglio regionale sulla proposta di legge per un referendum consultivo riguardante l’indipendenza della regione. Il disegno di legge elaborato da Indipendenza Veneta è già stato depositato (dal consigliere Stefano Valdegamberi, eletto per l’Udc) e a questo punto Zaia e la Lega avranno un ruolo cruciale. C’è davvero da sperare che di pannicelli caldi come Macroregione e costi standard – a Venezia – nei prossimi mesi si senta parlare sempre meno.
di Carlo Lottieri (L'Intraprendente)


 

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