Solo un
misero 25% della squadra di governo viene dalle regioni che producono più di
due terzi della ricchezza del Paese. Caro Enrico, mai sentito il grido
"nessuna tassa senza rappresentanza"? I numeri e le statistiche hanno – come ha ironizzato
Trilussa – i loro evidenti limiti però “rendono l’idea”. Letta ha
presentato la sua squadra al completo: una bella sfilza di più di sessanta
glutei da sistemare su qualche cadrega di Ministero. Ha dovuto
inventarsi tanti posti per riuscire a soddisfare tutti gli equilibri
(chiamiamoli così) della sua strana maggioranza e ha dovuto ripescare il buon
vecchio Manuale Cencelli e sicuramente la cosa non ha turbato più di
tanto il suo cuore democristiano. Ha distribuito le cariche con il
bilancino dei rapporti politici, partitici, di corrente e di cordata, ma ha
sicuramente dimenticato la parte che riguarda le suddivisioni geografiche:
evidentemente ritiene che non contino un accidente almeno dalla Linea Gotica in
su, perché al di sotto tutte le conventicole territoriali sono ben
rappresentate.
Ci sono pochissimi padani e mancano del tutto quelli dell’Ovest.
Così imparano piemontesi e liguri ad avere iniziato l’unificazione d’Italia! Su
40 sottosegretari e viceministri (ma che differenza c’è?) solo 12 sono
nati in Padania e almeno due di questi sono “oriundi”, figli di genitori
italiani veraci. Così si arriva a un misero 25% di settentrionali: la
stessa percentuale che si ha fra i ministri. Letta non è riuscito a battere il
record di Monti che di padani ne aveva il 24%, ma ha fatto meglio del
governo De Mita (1988-89) che ne aveva il 27% e che nell’immaginario
collettivo è diventato l’esecutivo meridionale per definizione, la quintessenza
del terronismo in politica. Qualcosa sembrava essere cambiato con Berlusconi
(lui stesso una sorta di icona della settentrionalità brianzola) che di padani
ne aveva infilato il 42% nel primo governo e poi il 30%, il 38% e ben il 46% in
quelli successivi. In effetti il Berlusca era stato una straordinaria
eccezione in un panorama politico in cui il Meridione domina incontrastato nelle
percentuali di parlamentari (favoriti dal costante paracadutamento di fedelissimi
sudisti nei collegi del Nord), dalla maggiore “professionalità” meridionale
e da una vischiosa solidarietà che il Partito Trasversale Meridionale (PTT)
riesce a impiegare da 150 anni. Così la Repubblica ha un presidente napoletano,
un primo ministro abruzzese e a presiedere le due Camere un siciliano e una
marchigiana. Non parliamo della Corte Costituzionale dove il rapporto è di 15 a
uno.
Il dato contrasta in maniera stridente con quello economico
di cui è quasi speculare; il Nord produce più di due terzi della ricchezza
complessiva e si vede riconosciuto un potere di rappresentanza
ridicolo. La Repubblica italiana è la sola assemblea di condominio al mondo che
funziona al contrario: chi ha meno millesimi comanda e chi ne ha molti di più
(e perciò paga il grosso delle spese) subisce.
Non c’era neppure bisogno di ascoltare il discorso
programmatico di Letta, pieno di affettuosi cenni al Mezzogiorno e silente
sulla questione settentrionale, e non servirà neppure attendere l’azione
di governo, per essere sicuri che si tratti di un altro esecutivo sudista,
che – con la scusa di fare gli interessi del Meridione – massacrerà la Padania.
Questo è la perfetta negazione del sacrosanto principio di rapporto fra
tassazione e rappresentanza. C’è una sola via di uscita: farsi un altro
condominio.
di Gilberto Oneto (L'Intraprendente)
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