La decisione di Matteo Renzi di avere cinque donne
capolista alle elezioni europee ha senz’altro dalla sua buone ragioni
politiche e ottime ragioni propagandistiche, ma denuncia un ritardo
culturale tanto più sorprendente se confrontato con altre scelte renziane,
meno politicamente corrette e proprio per questo assai più incisive e significative.
«Credo sia la migliore risposta a chi mi ha accusato di scarsa sensibilità
sul tema», ha spiegato il premier. Sarà pure una risposta alla palude,
che ha strumentalmente usato la questione di genere per boicottare e rallentare
la riforma elettorale, ma è una risposta sbagliata: perché figlia di
quella stessa cultura politica paludata che Renzi ha promesso di spazzare via.
Il punto è molto semplice: le donne devono per forza
essere promosse dagli uomini (con le quote rose, la preferenza di genere, le
capolistature e quant’altro la fantasia paritaria ha partorito in questi anni),
oppure devono – perché ne sono in grado – promuoversi da sole? Ci
dev’essere per forza un maschio – il segretario del partito, il padre, il
marito, il prete – a concedere quote di potere alle donne, secondo criteri che
inesorabilmente premiano la fedeltà, oppure ogni donna conquista il potere con
i propri mezzi (inclusa naturalmente l’amicizia con un uomo) esattamente come
fanno i maschi? E infine: una donna deve essere scelta in quanto donna, cioè in
obbedienza ad un criterio puramente biologico, oppure per i suoi meriti?
La prima ipotesi non esclude naturalmente l’altra, ma il dubbio è costitutivo e
sottintende, in ultima analisi, un uso strumentale e decorativo della presenza
femminile. Fino a che le donne saranno scelte “in quanto donne”, varranno meno
come persone.
È vero: un partito che promuove le donne è un partito
moderno, al passo coi tempi, dinamico. Renzi tiene molto, com’è ovvio, a questa
immagine, e non è escluso che abbia usato la carta rosa non soltanto per
conquistare consensi nell’elettorato femminile in fuga da Berlusconi, ma anche
per chiudere qualche conto interno e liquidare qualche boiardo. La politica ha
le sue regole, e Renzi le conosce tutte. Tuttavia, anche da questo punto di
vista la strumentalità della scelta dovrebbe far riflettere, prima di
tutto, le donne del Pd. Paradossalmente, la loro crescita numerica e di peso
politico s’è accompagnata al sostanziale venir meno di ogni elaborazione
teorica. Le donne del Pd hanno semplicemente smesso di riflettere sulla
condizione femminile, sufficientemente soddisfatte dalla politica delle quote.
Che tuttavia – e questo è un punto essenziale – a loro pare una meritata e
meritoria conquista, mentre alle giovani e giovanissime suona come un’offesa
al merito e alla persona.
di Fabrizio Rotondino (Intraprendente)
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