venerdì 28 febbraio 2014

Kyenge di nuovo al governo?

Ore decisive per i sottosegretari e i viceministri del governo Renzi. Il braccio destro di Renzi, Lorenzo Guerini, e la Kyenge hanno avuto un lungo colloquio a Montecitorio.
Ore decisive per i sottosegretari e i viceministri del governo Renzi. Nel giro di 24 ore tutte le caselle dell'esecutivo saranno riempite.
Sì, proprio lei. L'ex ministro per l'Integrazione, al centro di numerose polemiche per il suo operato e di diversi attacchi politici, potrebbe mantenere le deleghe affidategli da Letta. Il braccio destro di Renzi, Lorenzo Guerini e la Kyenge hanno avuto un lungo incontro a Montecitorio. Insomma, l'ipotesi è in campo. Per quanto riguarda gli altri posti, all’Economia resta sempre in piedi l’ipotesi che vuole molte conferme (Casero, Baretta, Giorgetti) con la new entry Enrico Morando. Per quel che riguarda il Pd, alcuni fedelissimi del rottamatore avranno spazio nel governo (Ermini, Rughetti, Richetti ma non la Bonafè che dovrebbe andare al partito), la minoranza avrà una decina di posti e sui nomi c’è "confronto»". Si parla della conferma di Bubbico (Interno o allo Sviluppo se De Vincenti lascia), Guerra, Legnini (che conserverebbe la delega all’Editoria), Amendola (Esteri), Zoggia, Verducci, Velo, Stumpo. Tra i probabili franceschiniani, invece, ci sono Lapo Pistelli agli Esteri e Emanuele Fiano all’Interno. Areadem dovrebbe comunque avere il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento. 
di Franco Grilli (Giornale)

Svuotacarceri a Vicenza: in 24 fuori subito. E presto altri 50

Nel carcere di San Pio X su sette sezioni solo una è destinata a rimanere chiusa. Le altre sono state aperte: i detenuti hanno ampi spazi per socializzare, la cella serve solo per dormire. Non solo. Il decreto svuota carceri ha già aperto le porte a 24 detenuti e altri 50 sono in attesa. Questo è il primo grande passo nella direzione che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva chiesto di assumere ancora a dicembre. «È necessario intervenire nell'immediato e con il ricorso a rimedi straordinari». Una delle tante pecche del nostro Paese, sottolineata anche dall'Unione europea: carceri troppo affollate e detenuti in condizioni inaccettabili. Vicenza nelle classifiche figura come una delle case circondariali più affollate d'Italia, i dati ieri davano presenti 263, oltre il 60 per cento dei quali stranieri, nonostante - come più volte è stato sottolineato - la capienza prevista sia di 146 e quella massima tollerabile 292. 
«Siamo sotto quella soglia - ammette il direttore, Fabrizio Cacciabue - e in questi mesi abbiamo lavorato a lungo per poter mettere in (...)
Chiara Roverotto (GdV)

giovedì 27 febbraio 2014

A Vicenza anche il Pd cede. Il sindaco Variati alla prefettura: «Profughi, questa volta diciamo no»

Variati : «Nel 2011 ne abbiamo accolti 46 e soltanto una decina  ha ottenuto asilo. Si tratta  di un meccanismo da rivedere».
«Questa volta diciamo no». Non usa mezzi termini il sindaco Achille Variati, oltre a Rom e Sinti da trasferire per ristrutturare il campo di via Cricoli, sulla sua scrivania c'era un'altra questione da risolvere: la richiesta inoltrata dalla prefettura a fine gennaio a tutti i Comuni del Vicentino per tastare il terreno in vista di una possibile accoglienza di profughi provenienti dall'Africa, dopo i 43 mila sbarchi avvenuti nel 2013. «Diciamo no, anche per l'esperienza che abbiamo vissuto dal 2011 al 2012», spiega il sindaco che snocciola cifre e dati.
«Dei 46 migranti accolti in città a maggio 2011, solamente 10 hanno ottenuto lo status di profugo oppure la permanenza per motivi umanitari dalla Commissione territoriale per il riconoscimento di Gorizia. Gli altri 36 arrivavano essenzialmente dal nord Africa e non sapevamo nulla della loro vita. Ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo organizzato corsi di alfabetizzazione, ma non potevamo farli lavorare, la legge ce lo impediva fintantoché la loro posizione non era chiarita. E i tempi sono stati biblici».
Ecco il nodo cruciale della posizione del sindaco. (...)
Chiara Roverotto (GdV)

I regali "del fare" di Letta. Carburanti più cari da sabato Aumentano ancora le accise

Dal 2010 +388 euro per fare 15 mila chilometri con un'auto a diesel. Il provvedimento deciso dal decreto "del fare" di Letta. 
Da sabato scatta un nuovo aumento dei carburanti che porterà, nel periodo considerato tra il 2010 e il 2014, ad un aumento di 257 euro per un’auto a benzina e a 388 euro per un’auto diesel che percorre 15.000 chilometri all’anno. La stima è fatta dagli artigiani della Cgia di Mestre che rileva come dal 2010 le accise sono aumentate 10 volte e l’Iva due. Oltre alle famiglie, saranno colpite anche alcune categorie professionali come i taxisti, gli autonoleggiatori, gli agenti di commercio e i trasportatori.
Con il nuovo aumento, segnala la Cgia, dal prossimo week-end fare il pieno ad un’autovettura costerà ancora di più con l’incremento medio annuo in capo a una famiglia italiana con un’auto a benzina che percorre mediamente 15.000 Km all’anno di 13 euro, mentre per un’autovettura alimentata a gasolio l’aumento sarà di 17 euro. Questi aumenti sono riconducibili al fatto che in questi ultimi cinque anni le accise sui carburanti sono state ritoccate ben 10 volte, mentre l’Iva è stata aumentata due volte.
Il ritocco che scatterà sabato prossimo, fa notare la Cgia, è stato previsto dal cosiddetto «Decreto del fare», approvato dal Governo Letta nel giugno dell’anno scorso. Questo aumento delle accise, pari a 2,40 euro ogni 1.000 litri consumati, garantirà, secondo le stime, 75 milioni di euro di gettito che finanzierà alcuni interventi per il rilancio dell’economia.
(ANSA) VENEZIA

mercoledì 26 febbraio 2014

Renzi viene contestato a Treviso. I manifestanti lanciano arance

Il monito: «Non ci faremo dettare la linea dalla Ue» «Ultima chance per il Paese, non ci sono più alibi»  Oggi a Treviso in una scuola e tra gli imprenditori tra le proteste leghiste. 
TREVISO. ORE 11.46 ARANCE CONTRO IL PREMIER RENZI. Contestazioni hanno accolto poco fa Matteo Renzi al suo arrivo a Palazzo Rinaldi a Treviso. Da un gruppo eterogeneo di persone sono partite grida di «buffone buffone» e sono anche volate alcune arance che non hanno però raggiunto il premier. Del gruppo fanno parte anche alcuni esponenti del movimento dei forconi.
Si sta facendo sempre più calda la protesta di un gruppo del cosiddetto 9 dicembre che sta contestando il premier Matteo Renzi a Palazzo Rinaldi a Treviso. Dai dimostranti è partito lo slogan «assassino, assassino» mentre vengono esposti altri manifesti dello stesso tenore. I manifestanti chiedono inoltre a gran voce di poter votare per un referendum «che dia l’indipendenza al Veneto».
ORE 11.26 RENZI CONTESTATO A TREVISO. Un piccolo ma rumoroso gruppo di contestatori leghisti ha accompagnato lungo le vie del centro il neo premier Matteo Renzi in visita oggi a Treviso. Offese e accuse contro il premier che incassa però anche il sostegno di alcuni cittadini.
da GdV.

Maroni sfida Renzi: «Abolisci il Patto di stabilità»

«Se Renzi abolirà il Patto di stabilità diventerà il mio presidente». Il governatore lombardo non usa mezzi termini nell’indicare al neo-premier una delle priorità più stringenti della nuova azione di governo. In particolare, ha precisato Roberto Maroni, «da sindaco di Firenze Renzi lo definì patto di “stupidità”. Ora mi aspetto che sia coerente e lo abolisca, altrimenti è solo un chiacchierone come altri o, come diciamo noi, un “casciaball”».
Che la Lega stia martellando da parecchio tempo sulla necessità di abolire la legge che impedisce agli enti virtuosi di spendere fino all’ultimo centesimo è cosa nota. Qualche tempo fa una pattuglia di sindaci, a maggioranza lumbard, ha lanciato l’iniziativa “Rompiamo il Patto” che ha subito trovato una sponda in Matteo Salvini che vi si dedicò prima spostarsi, anima e corpo, alla battaglia contro l’euro. Il Patto di stabilità costituisce, del resto, un problema non indifferente di cui Renzi dovrà tener conto. Anche perché, contrariamente alla vulgata comune, non si tratta solo di un’imposizione dell’Europa ma anche di una trovata tutta italiana, almeno nelle sue derive.
Precisiamo. Europeo è il Patto di stabilità e crescita, ed è stato firmato dai Paesi membri nel 1997 (da noi c’era il primo governo Prodi): esso stabilisce che gli Stati non possono superare il 3% del rapporto deficit/Pil e il 60% del rapporto debito/Pil. Romana è stata invece la scelta di far pagare il debito pubblico agli enti locali. Il ragionamento di fondo è stato questo: visto che lo Stato non sarà mai in grado di pagare il proprio debito perché non imponiamo ai Comuni e alle altre istituzioni virtuose del Nord di accantonare soldi per noi? Ebbene, così si è fatto: così accade che piccole realtà della Val Brembana non possano costruire la scuola elementare perché devono mandare i propri soldi a Roma. Peccato sia stato tutto non solo ingiusto ma anche inutile. A causa dei continui sprechi, il debito italiano ha raggiunto i 2.100 miliardi, il 140% del Pil. Abbiamo aumentato le tasse, pagato le sanzioni europee senza voler vedere dov’era il problema fondamentale: una voragine senza fondo di spesa pubblica.
Matteo Renzi può fare due cose. 1) Rinegoziare gli accordi europei: strada lunga e tutta in salita che non risolve il problema del debito pubblico. 2) Abolire il Patto di stabilità interno dando a tutti gli enti la possibilità di spendere fino all’ultimo euro, obbligandoli però a ripagare i propri debiti sempre fino all’ultimo euro. Solo questo percorso che può portare risultati concreti e di lungo respiro. Senza vera autonomia e responsabilità l’idea del Senato delle Regioni – di per sé ottima – rischia di non avere alcun effetto.
di Matteo Borghi (L'Intraprendente)

Contro il mito della Lega (solo) di lotta

Il Salvini "lepenista" punta tutto sulla Lega di urlo e canottiera, immaginando sia l'unico futuro possibile per il partito. Ma non è così: i leghisti sanno anzitutto amministrare bene i territori (Zaia e Tosi qui pari sono) e dovrebbero costruire politica da lì. Magari attraverso le primarie...
La Lega Nord è nata strillando, non come un poppante normale. Somigliava più a un adulto inferocito, arrabbiato per anni di rappresentanza mancata e di un’incessante rapina di Stato. Urlava, il Bossi della prima ora, urlava anche in modo becero e a tratti razzista. E faceva bene, dal punto di vista strettamente politico. Perché il fare notizia, allora, era l’unica maniera di diventare politica alternativa, perlomeno in tempi rapidi. La scalata ai palazzi, anche e soprattutto squisitamente romani, è stata infatti veloce, come rapida viaggiava una battaglia che non poteva essere quella di un’intera nazione.
Le cose sono cambiate. Da antagonista della Roma ladrona s’è fatta parte di questa. I seggi, le poltrone e la graduale presa di coscienza che l’essere sguaiati non era più accettabile, pure perché il legame con gli alleati capaci di aggiustare i conti in rosso del partito era utile. Da non scordare c’è anche la metamorfosi che ogni movimento dovrebbe agognare, se vuole cambiare le cose: una fetta di potere il Carroccio l’ha fatta propria. A quel punto può essere imbarazzante urlare che la Capitale è zeppa di ladri, ma che lì bazzicano anche i tuoi uomini. È andata com’è andata, c’è stata l’ascesa e la dolorosa caduta-scandali. Resta che i padani, sopra al resto, hanno dimostrato di saper governare i territori, almeno in molti casi. Di saperlo fare bene, per la precisione.
Oggi Grillo si fa largo a colpi di anti-tutto, anche anti-politica. Matteo Salvini sa che deve recuperare terreno, molto. Il fenomeno-Beppe si sgonfia e lui tenta di accaparrarsi quella rabbia lì: no Euro, Merkel, Europa, Roma. No un bel po’ di cose. E qui si fa largo il bivio: poco prima che Matteo venisse nominato segretario, Roberto Maroni, dopo aver rinchiuso un paio di ingombranti cadaveri nell’armadio (il padre-fratello a un certo punto va ucciso), aveva ripreso il percorso battagliero ma dai toni moderati. Macroregione e dialogo con l’universo, a patto sia utile alla causa.
Ecco, diciamo che Salvini non sta esattamente seguendo le sue orme. I maligni suggeriscono che questo sia un modo di lasciare il giovane segretario si bruci da solo, insistendo su passioni lepeniste, perciò per natura nazionaliste e stataliste. La realtà è fatta di una cronaca che, indiscrezioni a parte, potrebbe vedere la Lega uscire male da un apparente involuzione.
Per qualcuno il Carroccio può essere solo questo, trova vigore ed energia solo nella protesta acerba. Certo, parte del partito sì ma è anche quello che pare avere meno prospettive. L’altra parte dei “barbari sognanti” invece viene svilita, offuscata, dalla deriva destrorsa del leader. Perché raccontassero di più quel che hanno fatto, piuttosto di dire quel che non hanno fatto e non devono fare gli altri, i leghisti, avrebbero pochi (o nessun) rivale.
Luca Zaia in Veneto ha fatto miracoli: ha ridotto del 96 % le consulenze e tagliato 8 milioni i costi del personale. Diminuito da 71 a poco più di 30 le società partecipate e fatto i conti con calamità naturali che avrebbero piegato qualsiasi altra regione. Nonostante il residuo fiscale e la moria di imprese figlia di folli politiche centraliste. Roberto Maroni in Lombardia si sta dimostrando abile quanto lo è stato da ministro. La Verona di Flavio Tosi è lì da vedere. Ma questi sono i “big”, i notabili da citare alla spiccia. In generale l’amministratore leghista, eccezioni escluse e ne potremmo citare come per altre bandiere, è un amministratore capace.
Allora no. La Lega Nord non deve e non può essere solo quella del grido, anzi. Il bivio sta proprio nello scegliere chi e cosa vuole diventare da grande. Considerando che a furia di urlare rischia di sopravvivere, restando decisamente più piccola di quanto non meriti. In proposito c’è un evento a cui vale la pena prestare attenzione: le primarie.
di Federica Dato (L'Intraprendente)

martedì 25 febbraio 2014

Con Renzi basta andare a scuola per diventare italiani

La Kyenge non c'è più. E nel governo Renzi non v'è neppure più il ministero all'Integrazione. Saggiamente, il neopremier deve aver voluto evitare le polemiche che nei nove mesi di governo Letta hanno circondato la prima ministra di colore della storia della Repubblica e il suo operato. Ma quelli che la Lega definirebbe "i germi" seminati dalla ministra italo-congolese paiono aver attecchito a Palazzo Chigi. Anche in sua assenza. Tra i dieci punti programmatici del Rottamatore vi è infatti il principio dello ius soli. Non bastasse, Renzi va pensando a come dare la cittadinanza a quei ragazzi che , figli di immigrati, in Italia non ci sono neppure nati. L'idea che va frullando nella testa del premier è possa bastare, per avere la cittadinanza italiana, anche solo un ciclo di studi scolastico. Un'idea che per la verità era stata abbozzata dalla stessa Kyenge, la quale però aveva preferito non insistere sul tasto. Vogliamo "dare la possibilità a una ragazzina straniera che in quinta elementare si trova accanto a una compagna di scuola italiana di essere considerata italiana pure lei. L'identità è la base dell'integrazione, un Paese che non si integra non ha futuro", ha detto Renzi nel corso del suo discorso per ottenere la fiducia in Senato. La Lega ha un nuovo nemico a Palazzo Chigi. E stavolta non arriva dall'Africa.
da Libero Quotidiano

domenica 23 febbraio 2014

Così Report voleva distruggere Tosi

Il giornalista della Gabanelli, Ranucci, inviato a Verona apposta per "uccidere" politicamente il sindaco leghista.
Verona - «Noi c'abbiamo delle cose documentate... filmate... contatti suoi con il capo mafia di Crotone... Ospite d'onore a casa...
Escort e festine trans in un appartamento di via dei Filippini, dietro il teatro dei Filippini... dove c'è Tosi».
Sono le prime battute, in verità sufficientemente illuminanti, delle buone intenzioni che animavano il giornalista di Report, Sigfrido Ranucci, in missione a Verona con licenza di «uccidere». «Uccidere» politicamente, annientarlo in vista delle elezioni europee, il sindaco leghista della città scaligera, Flavio Tosi.
Il tentativo di mettere le mani su alcuni documenti e, in particolare, su un presunto, molto probabilmente inesistente, filmino hard che, nelle convinzioni, di Ranucci e della redazione di Report, un ex amico di Tosi, l'ex leghista Sergio Borsato, avrebbe potuto consegnare loro. Un passaggio-chiave per dare corpo e pepe ad una puntata-scoop della trasmissione di Raitre che, in questo modo, avrebbe spazzato via Tosi. Inequivocabilmente. Come si evince da questo scambio di battute, registrato e trascritto. Sergio Borsato esordisce con una comprensibile domanda a Ranucci, all'inizio del loro primo colloquio, per capire dove vogliono andare a parare i suoi «committenti»: «L'obbiettivo - chiede l'ex leghista - è Flavio o qualcuno attorno a Flavio?». Risposta del giornalista di Report: «L'obbiettivo è Flavio. Io non posso nel mio racconto far vedere che l'obbiettivo è lui... perché... però è il sistema che ha messo in piedi lui... Il mio obbiettivo è quello di andare in onda su sta roba il 30 marzo, possibilmente il 30 marzo, perché noi iniziamo la trasmissione e io vorrei avere qualcosa di forte e...».
Resta il fatto che tutto lo scoop può ruotare nell'orbita di Report e andare di conseguenza a colpire il sindaco di Verona, solo se il filmino che, ripetiamo, forse non sarebbe nemmeno mai stato girato, arrivasse nelle mani del giornalista. Un filmino che sarebbe stato ricompensato con l'interessante cifra di quindicimila euro, interessante soprattutto perché sarebbe arrivata sia pure «per vie traverse», come sottolineato dallo stesso Ranucci a quello che credeva un «collaborazionista» nemico di Tosi, dai soldi pubblici, quelli nostri, versati con le tasse e con il canone della tv di Stato. Solo che, come abbiamo rivelato ieri, quel tentativo è miseramente deragliato dai binari dello scandalo, che si sarebbe voluto costruire e si è avviato sulla strada della Procura quando ieri il sindaco Tosi, accompagnato proprio da Borsato, l'ex amico che, nelle speranze della redazione di Report, avrebbe dovuto tradirlo, ha presentato una denuncia per diffamazione contro Ranucci.
Già perché tutto ciò che Ranucci aveva detto e chiesto a Borsato, durante due incontri, era stato registrato e filmato dallo stesso Borsato. Files e trascrizioni che non lasciano molto spazio alle libere interpretazioni e che ieri sono state consegnate, oltre che al capo della Procura di Verona, Mario Giulio Schinaia, anche ai giornalisti. Leggiamo assieme qualche altro passaggio significativo delle trascrizioni delle parole di Ranucci nei colloqui con Borsato.
«... Io ti dò per certo che il canale investigativo che noi abbiamo è massimissimo... il più alto livello che c'è in Veneto. Io sto costruendo una storia... io ho delle informazioni... se non c'ho i video non ne faccio niente. Poi c'è la documentazione già girata e filmata di uno che mi dice di tutti i soldi in nero che hanno raccolto per lui prima delle cene elettorali con le famiglie calabresi...». Concludendo. Beh, concludendo Borsato, il presunto traditore che non tradirà, vuol capire. Anzi, vuole fare dire. E ci riuscirà con questa domanda a Ranucci: «Chi acquista tu o la Rai?» Risposta del giornalista: «No è la Rai che acquista... va fatta una fattura con qualcuno che ha una partita Iva...». Una partita Iva, dunque, per una partita sporca.
di Gabriele Villa (Giornale)

Kyenge, ministro inutile che lascia in eredità polemiche e vittimismo

L'ex responsabile dell'Integrazione esce di scena. In 10 mesi s'è fatta notare per le sparate sullo ius soli agli immigrati, riuscendo a inimicarsi tutti.
Cécile Kyenge lascia il governo dopo 10 dimenticabili mesi. Non rimpiangeremo le polemiche, sovente volgari, scatenate dai leghisti e il vittimismo con il quale la ministra ha replicato, né il poco da lei fatto come responsabile dell'Integrazione.
Non ci mancheranno le foto natalizie della signora, accompagnata dalle figlie, acconciata da inserviente alla mensa dei poveri del Centro Astalli di Roma e nemmeno le rare visite a Lampedusa o ai centri di accoglienza per extracomunitari, molto meno numerose rispetto alla partecipazione a convegni e dibattiti.
Più complicato sarà archiviare la foto di pochi giorni fa, quando la ministra è stata immortalata mentre saliva sull'auto blu dopo una seduta di shopping in una boutique del centro di Roma sotto gli occhi vigili della scorta. A qualche centinaio di metri nel centro della capitale 60mila artigiani e piccoli imprenditori manifestavano contro la vessazione fiscale. Ma si sa, la ministra si occupa soltanto della disperazione degli immigrati.
Da ieri sera Cécile Kashetu Kyenge in Grispino è tornata a fare il deputato semplice del Partito democratico. Proprio nella veste di parlamentare ha compiuto l'unica vera azione politica, per quanto discutibile: ha cioè presentato una proposta di legge (firmata anche da Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza e Khalid Chaouki) per introdurre lo «ius soli». Chi nasce in Italia dev'essere cittadino italiano, indipendentemente dalla provenienza della famiglia d'origine. Privata delle responsabilità di governo, la prima ministra nera della storia d'Italia potrà concentrare le forze nel perseguire l'obiettivo.
Per colmo di sventura, Cécile Kyenge ha pubblicato il suo primo libro proprio nei giorni in cui è stata congedata dal governo. L'effetto di questo volume, intitolato Ho sognato una strada (Piemme editore), è strano. Al termine di un mandato da ministro ci si attenderebbe un bilancio dell'attività svolta, mettendo sul piatto le cose fatte, quelle non fatte e quelle che qualcuno ha impedito fossero fatte. Invece la Kyenge ha consegnato alle stampe un vero libro dei sogni, un ricettario programmatico. Una fotografia di quanto sia sterminato il mare che c'è di mezzo tra il dire e il fare.
La Kyenge racconta vari episodi di discriminazione, vicende spesso dolorose, a volte tragiche, la cui morale è semplice: «Chi lascia la propria terra d'origine sogna una strada verso il futuro, e nel rispetto della legalità nessuno ha il diritto d'impedire quel sogno». Più difficile è raccontare quanto sia servita l'esperienza da ministro, che è quasi del tutto assente dalle pagine del libro sognatore. Esse sono piene di dati e analisi, auspici e consigli, indicazioni e suggerimenti su come devono essere impostate le politiche di integrazione. Attaccano la legge Bossi-Fini e il «pacchetto sicurezza» ma non riferiscono come sia stato fatto qualcosa per migliorare.
Ma il volume, sorprendentemente, riporta anche una singolare autodifesa, una «excusatio non petita» con cui Kyenge si chiama fuori dalle accuse. «Per il fatto che sono nera e di origine straniera - si legge nel libro -, molti ritengono che sia responsabile di ogni argomento o avvenimento che concerne l'immigrazione. Il mio valido predecessore Riccardi, bianco e italiano di nascita, non veniva chiamato in causa come capita a me su tutto ciò che concerne la popolazione di origine straniera, anche su molti argomenti di cui non ho la delega». E aggiunge: «Il ministro per l'Integrazione deve operare una politica di coordinamento in diversi settori che riguardano gli immigrati come gli autoctoni, ma ancora oggi non trova gli strumenti necessari per agire e viene considerata il capro espiatorio per problemi che non trovano soluzione in altri dicasteri». Come al solito, si scaricano le responsabilità. Arrivederci, signora ministra: non ci mancherà.
di Stefano Filippi (Giornale)

venerdì 21 febbraio 2014

Ordigno davanti alla Lega di Modena. Non ci spaventano. Andiamo avanti.

Salvini: «Attacco alla democrazia». Domenica fiaccolata del Carroccio nella città emiliana.
«Non ci faremo intimidire. Non ci fermeremo». Così la Lega risponde all’intimidazione di cui è stata oggetto a Modena dove, davanti alla sede cittadina, qualcuno ha piazzato un ordigno.
Il leader del Carroccio Matteo Salvini ha parlato di un episodio di una «gravità incredibile, un attacco non solo alla Lega Nord ma alla democrazia».
«Se in passato altre sedi della Lega Nord sono state colpite, ad esempio con delle scritte, - ha detto ancora Salvini - nulla è paragonabile a quanto accaduto a Modena: quella bomba poteva uccidere». Un attacco insomma che merita una risposta massiccia e immediata: per questo domani alle 17 i militanti del Carroccio invaderanno Modena per gridare “la violenza non ci ferma”. Salvini si augura che «tanti cittadini, al di la del colore politico, possano scendere in piazza al nostro fianco». Secondo il segretario del Carroccio, la scelta di colpire Modena non è casuale. «Modena è una città in cui abbiamo “investito” molto: siamo al fianco di chi è stato colpito prima dal terremoto e poi dall’alluvione». La richiesta al governo di sospendere il pagamento delle tasse per un anno «è indice di forte attenzione per il disagio che vivono queste popolazioni». Ma non solo: «Forse - conclude Salvini - le nostre battaglie anti euro stanno dando fastidio a qualcuno».
L’ordigno, una scatola ricoperta di nastro isolante con fili elettrici che fuoriuscivano con all’interno tre candelotti riempiti di polvere esplosiva, è stato trovato intorno alle 21 di giovedì fuori dalla sede di  viale Caduti in Guerra da alcuni militanti che stavano dovevano aprire la sede per i “giovedì padani”, gli incontri tra i rappresentanti del Carroccio e i cittadini.
I militanti hanno avvertito subito le forze dell’ordine e sul posto sono arrivati  gli artificieri che hanno disinnescato l’ordigno. Sono stati gli stessi artificieri a confermare la pericolosità della bomba: se non fosse  stata disinnescata avrebbe potuto causare danni con gravi conseguenze anche per chi fosse trovato a passare di lì. Gli inquirenti stanno cercando eventuali filmati di videosorveglianza in cui possa comparire chi ha lasciato l’ordigno.
Secondo il Governatore della Lombardia Roberto Maroni quello di Modena è «un atto di vero terrorismo», mentre per il Presidente del Veneto Luca Zaia«è un preoccupante segnale, un sintomo che dal dibattito, pur acceso e dal contradditorio democratico, qualcuno vuol passare di livello. Un segnale inquietante contro il quale bisogna elevare il livello di attenzione. Magistratura e forze dell’ordine, nelle quali ribadiamo la fiducia, vigilino contro folli tentativi di portarci ad una stagione che vogliamo dimenticare».
Il deputato Nicola Molteni si rivolge invece al governo che però, ancora non c’è: «Vorremmo presentare un’interrogazione urgente ma, come noto, al momento al Viminale non risponde nessuno». Anche Fabio Rainieri, segretario della Lega Nord Emilia rivolge un appello all’esecutivo: «invece di perdere tempo in sciocchezze, invece di liberare i delinquenti con lo svuota carceri, garantisca la libertà di pensiero e di parola a quei democratici cittadini che senza armi stanno cercando di cambiare il Paese». Il segretario provinciale della Lega di Modena Riad Ghelfi non intende comunque farsi intimidire: «La Lega ha rotto gli equilibri in città e le nostre battaglie danno fastidio. Non è la prima volta che la nostra sede viene attaccata. Certo, una cosa così grave non era mai accaduta. Ma non ci faremo spaventare e continueremo a farci sentire, soprattutto sulla sicurezza, un tema che i modenesi purtroppo sentono molto».
Preoccupazione per l’accaduto è stata espressa dal sindaco di Modena  Giorgio Pighi che ha chiamato il prefetto Michele di Bari prendendo accordi per seguire l’evoluzione della vicenda. Il primo cittadini ha chiamato per esprimere solidarietà al Carroccio il capogruppo in consiglio comunale Fabrizio Cavani, candidato sindaco alle prossime elezioni comunali, e il segretario cittadino Stefano Bellei. 

Prostitute equiparate ai piccoli imprenditori. Approvata in Regione mozione della Lega

“Anche la prostituzione, alla pari di altre professioni costituenti reddito, va regolarizzata come lavoro autonomo e assoggettata a regime fiscale vigente. Sono pertanto soddisfatto per l’approvazione nell’odierna seduta di Consiglio della mia mozione che invita la Giunta ad attivarsi, assieme alle altre Regioni italiane, per chiedere al Governo di procedere in tal senso. Il recentissimo caso, riportato dalla stampa odierna, della crociata delle escort contro il lavoro nero, dovrebbe convincerci a procedere in tal senso al di là di posizioni ideologiche che esuberano la volontà delle stesse prostitute. Le quali, come dichiarato a Repubblica oggi, chiedono di pagare le tasse per avere diritti previdenziali chiari e ormai necessari”. A dirlo è il consigliere leghista polesano Cristiano Corazzari dopo il voto dell’aula sulla mozione 155 da lui presentata e sottoscritta anche da altri consiglieri del Carroccio.
“La legge Merlin del 20 febbraio 1958 – spiega l’esponente leghista - ha provocato un aumento della prostituzione, rendendo l’offerta più visibile e accessibile. Non solo: è noto che a controllare quasi interamente il settore sono le organizzazioni criminali che lucrano su questa attività del tutto esentasse. Di conseguenza, la legalizzazione della prostituzione porrebbe un freno al fenomeno e ne consentirebbe il controllo da parte della pubblica autorità, anche sul piano sanitario, sull’esempio di quanto è stato fatto negli ultimi anni in Svezia, Olanda, Germania, Austria e Svizzera, recuperando un gettito pari a quello dell’IMU prima casa. L’attività della prostituzione rientrerebbe quindi a pieno titolo nella categoria del lavoro autonomo, poiché ne possiede tutti i requisiti tipici: prevalenza del lavoro personale della prestatrice d’opera, assenza del vincolo di subordinazione, libera pattuizione del compenso, tutte caratteristiche che la renderebbero soggetta al pagamento delle tasse e alle opportune verifiche fiscali”.
“In parallelo, ritengo necessaria l’abrogazione di parte della legge Merlin – ha concluso Corazzari -. Questa istanza è stata portata avanti nel 2013 da diversi sindaci d’Italia, raccogliendo 350.000 firme non sufficienti a indire un referendum ma certamente segnale di una forte volontà popolare, confermata anche da tutti i sondaggi per cui oltre il 60% degli italiani è favorevole a una legalizzazione e regolamentazione del fenomeno. Il percorso di revisione, che comporti abrogazione parziale o totale della Merlin, va ormai imboccato con decisione a tutela della dignità della donna, della fiscalità e dell’igiene pubblica; inoltre il Veneto può essere capofila della proposta di un referendum in tal senso”.
fonte GdV 20.02.14

mercoledì 19 febbraio 2014

Svizzera, l'effetto del referendum si sente già: bloccata la libera circolazione dei cittadini croati

L'Ue risponde congelando i trattati per la ricerca scientifica, con possibili ripercussioni sul Cern.
Stop ai lavoratori croati. Ecco uno dei risultati tangibili del referendum in Svizzera.
È stata la stessa ministra della Giustizia elvetica, Simonetta Sommaruga, a informare il ministro degli affari esteri croato, Vesna Pusic, che la Confederazione non è nelle condizioni di poter firmare l’accordo bilaterale con la Croazia sulla libera circolazione dei lavoratori. La firma del patto, previsto in conseguenza dell’ingresso della Croazia nella Ue il primo luglio 2013, è quindi rinviata al 30 giugno prossimo, in attesa di vedere come si tradurrà in legge il voto del referendum.
Immediata è arrivata anche la risposta della Ue che ha bloccato le trattative con Berna su “Horizon 2020” e “Erasmus+”, due trattati per la ricerca scientifica che Bruxelles ritiene strettamente connessi con la libertà di circolazione. Il blocco potrebbe influire sull’attività del Cern di Ginevra. La settimana scorsa la Ue aveva annunciato di aver congelato i negoziati sull’accordo per l’elettricità.
La “controffensiva” europea è arrivata nonostante l’invito alla «calma» di Angela Merkel arrivato dopo i colloqui a Berlino con il presidente e ministro  degli Esteri svizzero Didier Burkhalter. Pur lamentando l’esito della consultazione la Cancelliera ha detto di non voler «disfare frettolosamente» le buone relazioni  esistenti tra la Germania e la Svizzera.  «Dovremo vedere - ha detto ancora la Merkel - come la Svizzera attua la decisione emersa dal  referendum nei prossimi tre anni, seguiremo questo processo ed al  termine dei tre anni decideremo quali saranno le conseguenze». La Cancelliera ha poi respinto l’ipotesi dell’applicazione  in questa fase di sanzioni e al contrario ha detto di voler cercare  «soluzioni ragionevoli» alla richiesta di applicazione di quote in  Svizzera. La Merkel ha infine definito del tutto «ipotetico» ciò che  potrà decidere di fare tra tre anni. 

...il ministro Kyenge si fa "scortare" per le vie della capitale a fare shopping

Eppure proprio ieri Marie Claire pubblicava un’intervista  esclusiva in cui Cecile si diceva “nauseata” dagli acquisti.
Di sé confida: «Non mi piace fare shopping; quando devo comprare qualcosa so già cos’è e dove trovarlo e mi sbrigo. Anche in Congo uscivo pochissimo di casa, passavo il tempo sui libri. Dentro la mia famiglia numerosa ero una delle poche che voleva disperatamente capire le cose...».
E lei ha capito tutto. Perché nel giorno in cui Cécile Kyenge viene immortalata mentre va a fare acquisti per il centro della capitale accompagnata dall’immancabile auto blu e dalla sua  zelante scorta, su Marie Claire di marzo 2014, in edicola da ieri, appare una curiosa intervista al ministro per l’Integrazione in cui lei stessa spiega la propria nausea per lo shopping.
Ora, sarà pure stata migrante, badante, oculista e ora ministro della Repubblica, ma resta pur sempre una donna con le sue debolezze. E al fascino dell’acquisto in saldo non si può rinunciare, anche se nelle stesse ore migliaia di commercianti, partite iva e piccoli imprenditori, sfilavano per le vie di Roma contro la stretta creditizia e le tasse soffocanti. 
E’ probabile che questo sia l’ultimo “pezzo” sulla Kyenge in odore di fare le valigie in vista del nuovo esecutivo targato Renzi. Proveremo a farcene una ragione. Di sicuro il ministro si è integrata benissimo. Tanto da cadere nel tranello del suo stesso pensiero: «Non c’è spazio per il cambiamento, per uno scatto in avanti culturale che ammetta che persone nate all’estero, magari con un colore diverso della pelle, abbiano un’identità multipla e, tra l’altro, compatibile con l’Italia». Lei è stata talmente compatibile e multipla che mentre la Kyenge 1 pontificava sullo ius soli, la Kyenge 2 andava, scortata, a fare shopping.
Già, caro ministro. L’impressione è che alla fine a questo Paese malandato non mancherai. A la Padania anche meno. Chi si dispiacerà sarà qualche commerciante (pochi) e i tuoi bodyguard (tanti). 

martedì 18 febbraio 2014

Vicenza, nigeriano spaccia la droga con il permesso umanitario

A CAMPO MARZO. È il secondo caso in pochi giorni. La polizia lo ha bloccato mentre cercava di gettare la marijuana.
VICENZA. Aveva con sè 135 grammi di marijuana divisi in 6 involucri di cellophane nero; 320 euro in banconote di piccolo taglio (cinque, dieci e venti euro); i pizzini con i nomi e i numeri di telefono dei clienti più “affezionati” e il permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Joseph Lucky, nigeriano di 38 anni incensurato e senza fissa dimora, è stato arrestato dalle volanti domenica pomeriggio nella zona di Campo Marzo.
L'ARRESTO. Come ogni giorno, anche domenica, una pattuglia delle volanti controlla la zona di Campo Marzo divenuta il centro dello spaccio gestito dagli extracomunitari nigeriani e maghrebini. Nel loro giro d'ispezione, gli agenti della questura sono attirati da un giovane nigeriano che, seduto su una panchina del parco, quando vede passare la loro auto si alza di scatto e va spedito verso la Roggia Seriola dove comincia a scavare prima di mettersi a correre in direzione di viale Eretenio. A quel punto gli agenti rompono gli indugi e lo rincorrono. Una volta fermato lo riportano nei pressi del corso d'acqua e lì notano la terra smossa (...)
Matteo Bernardini (GdV)

domenica 16 febbraio 2014

Bassano Del Grappa, Lega contro i clandestini «Basta immigrati per 2 anni»

BASSANO. Più di cento persone hanno partecipato ieri sera alla fiaccolata della Lega Nord contro l'immigrazione clandestina. Un'iniziativa andata in scena nei capoluoghi di provincia del Veneto dove si voterà per le amministrative (Vicenza non è tra questi per cui la manifestazione è stata organizzata a Bassano, in qualità di Comune più popoloso). Alla fiaccolata ha partecipato anche l'assessore regionale  Roberto Ciambetti, che ha spiegato le motivazioni dell'iniziativa.

«Negli ultimi tempi il Parlamento non ha fatto altro che legiferare su argomenti lontani dalla realtà che i cittadini vivono ogni giorno, vedi l'indulto e la legge Bossi-Fini - ha spiegato -. La realtà, invece, è fatta di ben altri problemi, in quanto i nostri concittadini sono alle prese con la crisi economica e con la mancanza di lavoro».

Il corteo, da Porte delle Grazie,  ha attraversato il centro città, giungendo sino in piazzetta delle Poste. Da qui, i partecipanti sono tornati  sino a piazza Garibaldi, dove si sono tenuti i discorsi.
«Basta immigrati - ha tuonato l'europarlamentare Mara Bizzotto (...)
da Il Giornale di Vicenza

venerdì 14 febbraio 2014

Appello a Pisapia: ora esiga la testa di chi nega le foibe

È tempo di prendere una posizione. Nonostante le divergenze, la diversa visione politica, l’effettiva distanza ideologica, Sindaco, glielo chiediamo a gran voce. Innanzitutto perché siamo cittadini, soprattutto perché siamo persone. Le foibe sono un dolore di tutti. E i morti, anche questi, vanno rispettati. Nonostante le bandiere sotto cui sono caduti, nonostante tutto. Ed è tempo che lei, Pisapia, prenda una posizione. Non una di quelle con la via di fuga, la scappatoia laterale pronta all’evenienza. Abbiamo bisogno che, dopo due anni e mezzo di mandato, lei si decida. Stringa i denti, asciughi il sudore sulla fronte, metta da parte il panico e la paura di sbagliare e dica “basta”. La sua voce, Sindaco. È giunto il momento che si faccia sentire con i compagni di Rifondazione Comunista, nuovi o vecchi che siano.
La stessa Rifondazione in cui militava da giovane, quella che ora si accompagna alla scritta Sinistra per Pisapia. Beh, lei, caro Pisapia, è tempo che alzi il dito e dica di «no». No allo scempio di una simile mancanza di rispetto. No all’assurdità di giovani, trentenni o poco più, che non conoscono il dolore delle foibe. No all’ancora più folle consapevolezza che nemmeno le “vecchie leve” riescono a tacere un minuto per onorare un massacro. No al nascondersi dietro la tattica del “state strumentalizzando le nostre parole” per lavarsi via i pensieri più sporchi. Con questi giovani, come Leonardo Cribio, dovrebbe essere intransigente. A gente come Garufi, dovrebbe tirare il colletto e chiedere “che stai dicendo, Pippo?”. Cribio nel Consiglio di zona 9, Garufi in zona 5, manifestano con le loro idee quel lato della politica che lei, caro Sindaco, cerca di combattere. Cerca, appunto. Dopo due anni, è tempo di farcela. Almeno un pochettino, è tempo di lasciare le frasi di circostanza e condannare con decisione la stupidità di questi due personaggi. Come è capogruppo di Rifondazione comunista il primo, lo è pure il secondo. «Nelle foibe c’è ancora posto», scriveva su Facebook Leonardo Cribio, classe 1982. «Le foibe le hanno inventate i fascisti», strilla Giuseppe Garufi uscendo dall’aula del consiglio di zona 5 evitando così il minuto di silenzio in commemorazione dei martiri di Tito. Sindaco, lei cosa intende fare? A noi, sentirla liquidare la questione con “sono parole vergognose” non basta più. È tempo, sindaco, che lei si alzi e faccia qualcosa. Cacci questi personaggi. Non sono dai consigli di zona, dal loro ruolo di capogruppo (Cribio ha rassegnato le dimissioni in serata, ndr), ma dalla faccia della politica milanese. Sindaco, questa volta, tocca a lei.
di Marianna Baroli (L'Intraprendente)

giovedì 13 febbraio 2014

Malo (VI) risponde al prefetto: «Non c'è posto per i profughi»

«Abbiamo sempre meno risorse e si moltiplicano le domande di aiuto. Mi chiedo con che coraggio il governo pensi agli stranieri».
MALO. No a nuovi profughi nel territorio di Malo. Il diniego arriva dal sindaco Antonio Antoniazzi, in risposta ad una comunicazione inviata dalla Prefettura ai Comuni vicentini per chiedere disponibilità nell'accoglienza di nuovi migranti. Antoniazzi ha preso carta e penna e ha scritto a sua volta al Prefetto come rappresentante dell'Esecutivo.
«L'ineffabilità di questo Governo mi sorprende ogni giorno di più - sono le parole del sindaco - in un momento di crisi, sentire che si preoccupa di cittadini stranieri da aiutare, mi lascia senza parole (se penso a tante persone che faticano ad arrivare a fine mese)».
In sostanza, Antoniazzi mette nero su bianco l'intenzione di voler aiutare i propri concittadini, prima di accogliere, a spese del Comune, i rifugiati. «Noi sindaci siamo arrabbiati - spiega - secondo le ultime notizie sui trasferimenti statali, quest'anno arriverà a Malo un milione di euro in meno rispetto al 2013. Negli ultimi tre anni la cifra è calata di almeno tre milioni».
«Appena iniziato il mio mandato - ricorda - venivo contattato da molti industriali alla ricerca di personale. (...).
Matteo Carollo (GdV)

Non sapendo fare niente, la Kyenge scrive un libro

La ministra passa il tempo a scrivere di meticciato e ius soli. Ma non è riuscita neanche a sbloccare le adozioni in Congo.
Il tempo libero genera mostri, ed ecco che Cécile Kyenge, la quale con tutta evidenza non è abbastanza impegnata con i suoi incarichi di governo, si è ritagliata qualche ora per scrivere un libro. Il pregiato volume si intitola «Ho sognato una strada» (Piemme, pag. 160, euro 14) e si riferisce probabilmente alla strada su cui finiranno migliaia di giovani italiani. La signora ministra, infatti, pur dotata di delega alla Gioventù, sembra avere un unico interesse: la concessione della cittadinanza italiana tramite ius soli. La maggior parte del libro, che viene presentato come «il manifesto per la battaglia dei diritti umani che Cécile Kyenge conduce da una vita», è dedicata a dimostrare che «il meticciato è una realtà di oggi, come del nostro passato». Oh, perbacco, ma davvero? 
A dimostrazione di tale originalissima tesi ci sono frasi come queste: «Cosa sarebbe stata l’Italia se si fosse chiusa all’arrivo di quella religione mediorientale che è il cristianesimo? Cosa sarebbe la meravigliosa cucina italiana se non si fossero usati ingredienti esotici, giunti dalle Americhe, come il pomodoro e il mais?». Infatti, come noto, la storia del Bel Paese è piena di pomodori e pannocchie giunti clandestinamente su barconi, poi internati nei Cie e infine fuggiti, magari per finire lungo le strade di Milano a spaccare il cranio alla gente come il noto picconatore Kabobo. 
Ma la Kyenge è assolutamente convinta: «L’Italia è cambiata, bisogna farsene una ragione. È necessario che la politica e le leggi non restino indietro e rispecchino la nuova realtà del Paese. Chi nasce o cresce in Italia è italiano». Amen e così sia. E chi se ne frega se molti – non solo a destra -  la pensano diversamente.
da Libero Quotidiano

mercoledì 12 febbraio 2014

Bassano Del Grappa. 15 febbraio. Fiaccolata per il lavoro e il blocco dell'immigrazione.


A Milano i sostenitori di Pisapia: "Nelle foibe? C'è ancora posto"

Cribio, capogruppo di "Sinistra per Pisapia" in zona 9 irride i morti. La destra insorge. Il sindaco: "Parole vergognose".
Il rancore mai sopito. La Storia, quella con la esse maiuscola, pretesto che alimenta nei nipoti un astio di antiche tradizioni. 
Aggressività anestetizzata che improvvisamente riemerge. A risvegliarla sono le feste comandate. Nella fattispecie la Giornata del ricordo, il 10 febbraio, per i martiri delle foibe, vittime dei partigiani titini. Una ricorrenza che segue la Giornata della Memoria, ovvero il 27 gennaio. L'Olocausto e i martiri ebrei. Identica guerra, vicine celebrazioni. Impossibile non fare paragoni benché sia irriguardoso, a volte, mettere sulla bilancia la dignità dei diversi perseguitati, perché sempre meritano identico rispetto. Tuttavia, come si diceva, è impossibile. E allora se già stupisce che a Milano il sindaco Giuliano Pisapia abbia elegantemente disertato le commemorazioni delle vittime di Tito, ancor più destano preoccupazione le frasi violente, postate su Facebook da Leonardo Cribio, capogruppo comunale in zona 9 di «Sinistra per Pisapia».
Ebbene Cribio non si è fatto pregare e, a suo modo, ha santificato la festa. Così l'altroieri, alle 17.37, ha battezzato un primo ecumenico e articolato intervento: «A tutti quelli che piangono per qualche infame finito nelle foibe. Un parente di mio nonno (partigiano e di famiglia socialista/comunista) fu fucilato in quanto fascista. Sai che vi dico? C...zi suoi, giusto così. Peccato non l'abbiano ammazzato prima, il maiale. Amen». La devota preghierina finiva qui, ma il dotto scrittore, volendo forse dar sfoggio del suo dono di sintesi, ha chiosato in un successivo post: «Nelle foibe c'è ancora posto». Gli illustri ammonimenti di Cribio che avrebbero causato una giusta levata di scudi universale se solo pensati, verso le vittime dell'Olocausto, hanno resistito mezza giornata sul network. L'autore, il giorno dopo il suo pregevole intervento, lamentava: «Mi ha segnalato uno di Avellino che neanche conosco... Fantastico». Provvidenzialmente, insomma, da Avellino è giunta una mano ai martiri e l'intervento di indubbia rilevanza storica di Cribio è stato soppresso. Alessandro Morelli, capogruppo leghista si è subito dissociato: «Mi vergogno di sedere nello stesso Consiglio con persone che esternano e istigano all'odio. Auspico provvedimenti». Da sinistra è stato chiesto che Cribio si scusasse ma il poeta si è contraddetto: «Facebook cancella un mio stato perché qualche fascistello è rimasto turbato dalla verità sulle foibe. Non so se siano più patetici gli amministratori o il cog....e in questione». Poi ha raddrizzato il tiro: «Frasi decontestualizzate, non mi riferivo ai martiri». In serata Pisapia ha definito quelle parole «vergognose, inaccettabili e assurde» e l'assessore al Welfare, Pierfrancesco Majorino: «Se un consigliere di destra scrive che nei campi di concentramento c'è posto mi vergogno per lui, dico che è impazzito e inadatto. Vale anche per uno di sinistra. Che pena».
di Stefano Giani (Giornale)

martedì 11 febbraio 2014

Il sindaco Pisapia non ha il tempo per ricordare i morti delle foibe

Almeno è stato coerente. Perché quando era deputato di Rifondazione comunista Pisapia votò contro la legge per istituire il Giorno del ricordo che celebra i martiri delle foibe.
Almeno è stato coerente. Perché l'allora deputato di Rifondazione comunista Giuliano Pisapia fu uno di quelli che votarono contro la legge per istituire il Giorno del ricordo che celebra i martiri delle foibe e di cui quest'anno ricorre il decennale. 
E ora che è diventato sindaco, non si è fatto vedere ieri alla cerimonia organizzata in largo Martiri delle foibe per non dimenticare le 23mila vittime dei massacri e delle deportazioni messe in atto dal 1943 al 1947 in Istria e in Dalmazia dal regime comunista del maresciallo Tito. Un'assenza «clamorosa» per Fratelli d'Italia presente alla cerimonia con Carlo Fidanza, Riccardo De Corato e Paola Frassinetti. Di un impegno preso «per un incontro sulla mobilità in Assolombarda insieme a molti rappresentanti istituzionali ed esperti di un settore decisivo per Milano come quello dei trasporti» parla il portavoce di Pisapia Marco Dragone. Spiegazione che non convince Fdi che anzi consideravano l'occasione il momento giusto per sentire il parere del sindaco sul vergognoso convegno promosso dal consiglio di Zona 3 e a cui è stata invitata una storica revisionista che nega lo sterminio titino. Per l'assessore Pierfrancesco Majorino (Pd) iniziativa «sbagliata e grave». Con il consigliere della Lega Luca Lepore pronto a condannare l'assenza di Pisapia e a suggerirgli che «sarebbe buona cosa che le zone di circoscrizione oltre a organizzare pellegrinaggi per visitare monumenti dedicati ai partigiani, si dessero da fare anche per programmare eventi a supporto della Giornata del ricordo».
di Giannino Della Frattina (Giornale)

Foibe, Ciambetti ricorda i silenzi sulla tragedia e la vicenda del treno della vergogna

“La ricerca storica sta facendo emergere i tratti autentici di quelle pagine dolorose e tristi che ricordiamo in questi giorni: l’eccidio delle foibe fu operazione politica, pianificata nei dettagli, forse ispirata, di certo non malvista, dal regime staliniano. Essa non fu il tragico epilogo di un conflitto tra genti di lingue diverse ma di storia comune che per secoli aveva visto convivere pacificamente veneti, giuliani, istriani, dalmati, croati, sloveni”.
Con queste parole l’assessore regionale Roberto Ciambetti, che segue, per la Regione del Veneto, i legami con le comunità italiane di Istria e Dalmazia nonché la valorizzazione del patrimonio culturale veneto negli antichi possedimenti della Serenissima, ha voluto commemorare la giornata della memoria che il 10 febbraio celebra “la tragedia delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata che costituisce la brusca e violenta frattura di una storia di convivenza, che oggi può e deve invece riallacciarsi, trovando la forza di superare ferite inferte da una politica che antepose agli interessi dei popoli e delle genti  scelte ideologiche oggi sconfitte dalla storia.  Vi furono fatti – ha continuato Ciambetti - su cui l’Italia dovrebbe riflettere a lungo, con la vicenda del treno della vergogna la cui odissea spiega da sola il silenzio vergognoso quanto ideologico  fatto calare per decenni attorno a questa pagina di storia che andrebbe insegnata nelle scuole”.
Ciambetti si riferisce al treno merci che partito da Ancona carico all’inverosimile  di profughi Dalmati e Istriani fu  boicottato e costretto dopo una estenuante marcia a lasciare  la stazione di Bologna senza che la Pontificia Opera di assistenza e la Croce Rossa potessero portare assistenza e cibo a quanti  “fuggendo dalle epurazioni tutine cercavano asilo in Italia. Cito questa vergognosa storia – ha spiegato Ciambetti -. rammentando come ancor oggi, nonostante tutto,  in Italia c’è chi vorrebbe minimizzare la Giornata della Memoria: le dichiarazioni del settembre scorso del vicesindaco di Roma, Luigi Nieri,  secondo il quale che le foibe e l’esodo giuliano-dalmata non sono un problema che riguarda i romani, dimostra quanto l’ignoranza vergognosa e infamante sia una malapianta difficile da estirpare. Come per l’antisemitismo che sta rialzando la testa, anche per la tragedia giuliana, istriana, dalmata, l’informazione, lo studio, la divulgazione sono le armi necessarie da mettere in campo: il buio della ragione si combatte con la cultura anche quando essa propone pagine scomode, difficili da accettare come appunto la vergognosa vicenda dei boicottaggi con i quali furono accolti, e talvolta pesi anche a sassate, i profughi che fuggivano dalle epurazioni delle truppe titine.  Il buio della ragione si combatte anche la riflessione, con la preghiera per chi  crede,  con cui ricordare tante vittime innocenti  e trovare nel loro ricordo motivo di speranza con cui guardare al futuro tutti assieme, veneti, giuliani, istriani, dalmati, sloveni e croati, come dicevo all’inizio, lingue diverse che ritrovano la loro strada comune”.
Roberto Ciambetti, Assessore Regione Veneto 

lunedì 10 febbraio 2014

Foibe, l'intervento del Presidente Zaia nel giorno del ricordo

“Nel giorno del ricordo, il nostro pensiero va alle tante vittime di un orribile eccidio come quello delle foibe. Dietro i tanti visi di migliaia e migliaia di morti innocenti, ci sono le silenziose storie (colpevolmente innominate per anni) di famiglie distrutte, figli ammazzati, giovani trucidati. La giornata del ricordo deve rafforzare la certezza che certi orrori non si ripetano mai più”.
Così parole il Presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, interviene nel giorno del ricordo in memoria delle vittime delle Foibe.
“Non si possono e non si devono dimenticare quelle nefandezze – continua il Presidente – che le parole di Carlo Sgorlon hanno saputo narrare con parole emozionanti,che tracciano il solco di un ricordo che deve restare bene impresso nella memoria: ‘La foiba faceva sempre pensare al sangue, all’ossario, alla macelleria al lancio dei vivi e dei morti nell’abisso. Negli inghiottitoi si buttava la roba che si voleva eliminare, togliere per sempre dalla vista, e magari anche dalla memoria’”.
“La giornata di oggi - conclude il Governatore - mi auguro serva a tenere in vita nella memoria di tutti noi una delle pagine più orribili della storia dell’umanità, per onorare fino in fondo il ricordo delle vittime e trasmettere una lezione alle future generazioni nella speranza che certe pagine non vengano più scritte”.

10 Febbraio. Decima giornata Nazionale del ricordo, in onore delle vittime dell'odio

Il 10 febbraio è la Giornata del Ricordo, festa solenne nazionale Italiana , istituita con la Legge 30 marzo 2004, per commemorare le Vittime dei massacri delle foibe e l’esodo Giuliano – Dalmata.
Non tutti sanno, oppure non tutti vogliono ricordare quello che dal 1943 al 1947 accadde a Trieste, a Gorizia e in Istria, a migliaia di Cittadini Italiani, per mano dei partigiani comunisti e delle  truppe Jugoslave comandate da Josip Broz, noto come il Maresciallo Tito.
Fu una pulizia etnica da fare invidia, per metodi e crudeltà, ai Nazisti. Torture e violenze di ogni tipo, su donne, bambini, vecchi e adulti, militari del Regio Esercito Italiano, Carabinieri, Finanzieri, colpevoli solo di essere Italiani.
Il vertice  degli infoiba menti, si ebbe nel 1945, con il disfacimento del regime repubblicano e con il tracollo delle formazioni armate Repubblichine che tutelavano le popolazioni civili dagli attacchi dei Titini del famigerato IX Corpus che esibivano un feroce odio di carattere etnico – ideologico.
Le persecuzioni  continuarono, violentissime e sanguinarie,  sino al 1947, per eliminare fisicamente ogni Italiano dalla futura Federazione Jugoslava, che era organica al blocco sovietico.
Il metodo usato era quello delle foibe, cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. È in quelle voragini dell'Istria, che fra il 1943 e il 1947 furono gettati, sia morti che vivi, quasi diecimila italiani.
La prassi era questa : i partigiani Titini, rastrellavano nella notte, nei centri abitati gli Italiani, dopo averli picchiati, torturati e depredati, li conducevano in fila indiana, verso le foibe che erano sulle alture circostanti , dopo avergli legato i polsi dietro la schiena con del filo di ferro in una catena umana.
Giunti all’imbocco della foiba, sparavano ai primi della fila che precipitavano in basso nel precipizio, trascinando con sé tutti gli altri.  Le foibe erano profonde minimo venti metri . Non c’era alcun scampo per gli infoibati. Fatto questo, uno dei boia gettava una bomba a mano nell’orrido per finire eventuali superstiti e come gesto scaramantico gettavano una carogna di un cane nero, per impedire alle anime dei morti di risalire a perseguitare gli assassini.
Pochissimi furono quelli che riuscirono a salvarsi, ma qualcuno ci riuscì e raccontò quello che era accaduto. Anche numerosi partigiani Italiani e soprattutto non comunisti, furono eliminati nello stesso modo.
Negli anni seguenti, le foibe in territorio Italiano, furono esplorate per dare una cristiana sepoltura a questi poveri resti, sul fondo di esse furono trovati cumuli su cumuli di corpi di persone , morte fra atroci sofferenze nel buio di questi precipizi.
Ma non è finita. Nel febbraio del 47, fu ratificato tra Italia e Jugoslavia il trattato di pace: Istria e Dalmazia vengono cedute ufficialmente alla Jugoslavia.
Quasi mezzo milione di Italiani fuggono in Italia, da questi territori e soprattutto dal terrore di essere infoibati o internati nei gulag di Tito. Questi esuli, abbandonano in mano Jugoslava tutto : case, soldi, terreni, lavoro, aziende.
Tutti i loro beni vengono requisiti dalla Jugoslavia, come i Nazisti fecero con gli Ebrei.
La cosa vergognosa fu il silenzio che il PCI  adottò verso questa immane tragedia, ma non solo i Comunisti Italiani furono omertosi, anche la classe dirigente della DC non diede la necessaria rilevanza a questo esodo e non approfondì le atrocità delle foibe. Molti pensarono ad una leggenda metropolitana mentre era una terribile realtà.
Per quasi cinquanta anni , un colpevole silenzio coprì in Italia questa spaventosa vicenda che grida vendetta a distanza di tanti anni e che è bel presente nella mente e nell’anima di chi subì questa pulizia etnica.
Finalmente il 10 febbraio del 2005 il Parlamento Italiano , dopo tante esitazioni, ha dedicato la giornata del ricordo ai morti nelle foibe e ai profughi Istriani e Dalmati.
Inizia , tardissimo, un percorso di rielaborazione teso alla ricerca della Verità di una delle pagine più dolorose della nostra Storia.
Di Roberto Nicolick


La Svizzera sbatte la porta all'Europa

Dopo una lotta all’ultima scheda, al referendum vincono col 50,3% i "sì" alle quote d’ingresso. In bilico gli accordi di libera circolazione con l’Ue.
La Svizzera ha dovuto at­tendere con il fiato so­speso il tardo pomerig­gio, dopo una lotta al­l’ultima scheda, per conoscere l’esito della combattutissima vo­tazione sull’iniziativa federale contro l’immigrazione di massa lanciata dall’Udc,il partito di de­stra.
E alla fine, non senza una certa sorpresa, e di strettissima misura (19.516 schede di diffe­renze a livello naziona­le) il popolo ha accolto la proposta di modifi­ca costituzionale con il 50,3% delle preferen­ze.
Sconfessati clamo­rosamente dunque go­verno, parlamento, or­ganizzazioni economi­che e sindacati, che unite avevano racco­mandato il loro «no» a una proposta temuta per i suoi effetti verso l’Ue, principale part­ner commerciale della Confederazione.
A schierarsi con gli iniziativisti sono stati ben 17 cantoni, fra cui - come si poteva imma­ginare - il Ticino, che è risultato determinan­te come nel 1992 in oc­casione del rifiuto al­l’adesione allo spazio economico europeo: il cantone a sud delle Al­pi ha presentato la percentuale di favorevoli di gran lunga mag­giore del paese (68,17%). La ri­sposta del Ticino è un chiaro se­gnale di insofferenza verso l’in­vasione di frontalieri, con una crescita che negli ultimi anni si può tranquillamente definire «inarrestabile»: il numero di la­voratori che fanno la spola gior­nalmente dall’Italia alla Svizze­ra ha raggiunto ormai quota ses­santamila unità, con tutte le im­plicazioni del caso.
Hanno invece votato contro l’iniziativa, la Svizzera francese compatta, Basilea Città, Zurigo e,per un soffio,Zugo.Una rimon­ta che ha del clamoroso quella del comitato per il «sì»: dagli ulti­mi sondaggi si poteva evincere una crescita dei favorevoli all’ini­ziativa -dati al 43% in occasione dell'ultimo rilevamento a cam­pione- ma in pochi oggettiva­mente pronosticavano un sor­passo su scala nazionale. E inve­ce, la vittoria dell'Udc si è concre­tizzata proprio al fotofinish. Complessivamente hanno ap­provato l’iniziativa contro l’im­migrazione di massa 1.463.954 persone, mentre i contrari sono stati 1.444.428. Dalle urne è emerso un paese spaccato, in una forma così chiara non si ve­deva da tempo: Romandia e grandi città favorevoli all’apertu­ra, resto del paese-Ticino in pri­mis, dunque- contrario.
Ma che ripercussioni avrà il vo­to in Svizzera verso -per esem­pio­il mezzo milione di italiani che abitano nella Confederazio­ne o appunto nei confronti dei sessantamila frontalieri (ma non dimentichiamo i tedeschi che giornalmente invadono Zu­rigo o Basilea, o i francesi che la­vorano a Ginevra e Losanna, o ancora gli austriaci nella parte orientale del paese)? Nessuna chiusura delle frontiere, come potrebbe temere qualcuno, che si immagina una Svizzera chiu­sa a riccio pronta a sventare la «minaccia straniera»;no,l'inizia­tiva approvata dal popolo di strettissima misura impone en­tro tre anni di negoziare, in parti­colare con l'Unione europea (il principale partner commerciale della Confederazione), delle re­strizioni possibili in materia di li­bera circolazione delle persone. La modifica oggi approvata ha come obiettivo la reintroduzio­ne di un sistema di contingenti che diano la priorità dell’impie­go ai cittadini svizzeri o domici­liati, spesso «minacciati» dalla mano d’opera straniera. In so­stanza, è stata propria questa in­quietudine, questa paura sem­pre più diffusa e palpabile, a spin­gere il «sì» ad avere a sorpresa la meglio su governo, parlamento, organizzazioni economiche e sindacati, usciti tutti sconfitti in­sieme al loro «no».
di Paride Pelli (Giornale)