L'ex responsabile dell'Integrazione esce di scena. In
10 mesi s'è fatta notare per le sparate sullo ius soli agli immigrati, riuscendo a
inimicarsi tutti.
Cécile Kyenge
lascia il governo dopo 10 dimenticabili mesi. Non rimpiangeremo le polemiche,
sovente volgari, scatenate dai leghisti e il vittimismo con il quale la
ministra ha replicato, né il poco da lei fatto come responsabile
dell'Integrazione.
Non ci
mancheranno le foto natalizie della signora, accompagnata dalle figlie,
acconciata da inserviente alla mensa dei poveri del Centro Astalli di Roma e
nemmeno le rare visite a Lampedusa o ai centri di accoglienza per
extracomunitari, molto meno numerose rispetto alla partecipazione a convegni e
dibattiti.
Più complicato sarà archiviare la foto di pochi giorni fa, quando la ministra è
stata immortalata mentre saliva sull'auto blu dopo una seduta di shopping in
una boutique del centro di Roma sotto gli occhi vigili della scorta. A qualche
centinaio di metri nel centro della capitale 60mila artigiani e piccoli
imprenditori manifestavano contro la vessazione fiscale. Ma si sa, la ministra
si occupa soltanto della disperazione degli immigrati.
Da ieri sera Cécile Kashetu Kyenge in Grispino è tornata a fare il deputato
semplice del Partito democratico. Proprio nella veste di parlamentare ha
compiuto l'unica vera azione politica, per quanto discutibile: ha cioè
presentato una proposta di legge (firmata anche da Pier Luigi Bersani, Roberto
Speranza e Khalid Chaouki) per introdurre lo «ius soli». Chi nasce in Italia
dev'essere cittadino italiano, indipendentemente dalla provenienza della
famiglia d'origine. Privata delle responsabilità di governo, la prima ministra
nera della storia d'Italia potrà concentrare le forze nel perseguire
l'obiettivo.
Per colmo di sventura, Cécile Kyenge ha pubblicato il suo primo libro proprio
nei giorni in cui è stata congedata dal governo. L'effetto di questo volume,
intitolato Ho sognato una strada (Piemme editore), è strano. Al termine di un
mandato da ministro ci si attenderebbe un bilancio dell'attività svolta,
mettendo sul piatto le cose fatte, quelle non fatte e quelle che qualcuno ha
impedito fossero fatte. Invece la Kyenge ha consegnato alle stampe un vero
libro dei sogni, un ricettario programmatico. Una fotografia di quanto sia
sterminato il mare che c'è di mezzo tra il dire e il fare.
La Kyenge racconta vari episodi di discriminazione, vicende spesso dolorose, a
volte tragiche, la cui morale è semplice: «Chi lascia la propria terra
d'origine sogna una strada verso il futuro, e nel rispetto della legalità nessuno
ha il diritto d'impedire quel sogno». Più difficile è raccontare quanto sia
servita l'esperienza da ministro, che è quasi del tutto assente dalle pagine
del libro sognatore. Esse sono piene di dati e analisi, auspici e consigli,
indicazioni e suggerimenti su come devono essere impostate le politiche di
integrazione. Attaccano la legge Bossi-Fini e il «pacchetto sicurezza» ma non
riferiscono come sia stato fatto qualcosa per migliorare.
Ma il volume, sorprendentemente, riporta anche una singolare autodifesa, una
«excusatio non petita» con cui Kyenge si chiama fuori dalle accuse. «Per il
fatto che sono nera e di origine straniera - si legge nel libro -, molti
ritengono che sia responsabile di ogni argomento o avvenimento che concerne
l'immigrazione. Il mio valido predecessore Riccardi, bianco e italiano di
nascita, non veniva chiamato in causa come capita a me su tutto ciò che
concerne la popolazione di origine straniera, anche su molti argomenti di cui
non ho la delega». E aggiunge: «Il ministro per l'Integrazione deve operare una
politica di coordinamento in diversi settori che riguardano gli immigrati come
gli autoctoni, ma ancora oggi non trova gli strumenti necessari per agire e
viene considerata il capro espiatorio per problemi che non trovano soluzione in
altri dicasteri». Come al solito, si scaricano le responsabilità. Arrivederci,
signora ministra: non ci mancherà.
di Stefano Filippi (Giornale)
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