Milano dormitorio all’aperto. Milano Lampedusa d’Italia. Milano casa dei
profughi. Lo si può declinare in tanti modi, ma la sostanza è sempre la stessa:
da ottobre a oggi nel capoluogo lombardo sono arrivati almeno 12mila rifugiati.
Siriani ed eritrei prevalentemente. Qualche somalo, libici. La maggior parte di
essi, in fuga dalla guerra e da situazioni interne ormai insostenibili, vuole
raggiungere il nord Europa. Svezia e Germania sono i paesi dove spesso hanno
parenti, amici, ai quali appoggiarsi. Non si può escludere che alcuni, anche
“solo” qualche migliaio, resteranno in Italia. Magari a Milano. Presumibilmente
da clandestini.
La colpa è del governo, che rivendica la sacralità della norma Mare nostrum,
senza preoccuparsi delle conseguenze. E non è solo Milano ad essere oppressa
dal peso dei clandestini. Anche Piemonte e Veneto hanno alcune situazioni
critiche. Comunque l’allarme si concentra tutto nelle regioni del Nord, senza
che il premier Matteo Renzi si sia ancora preoccupato di dire e fare qualcosa
per porre rimedio.
A Milano, che tra meno di un anno dovrà ospitare Expo e un turismo di prima
classe, sembra di essere in un dormitorio a cielo aperto. I profughi arrivano a
frotte in stazione centrale, che si è trasformato in un hub di smistamento
stranieri. Solo ieri ne sono arrivati una cinquantina, ma la media ormai da
mesi è di 400 al giorno. «I maggiori arrivi sono due o tre giorni dopo gli
sbarchi, lì si toccano i picchi», spiega l’assessore al Welfare del Pd,
Pierfrancesco Majorino. La situazione, però sta sfuggendo di mano. I profughi,
alcuni richiedenti asilo e la maggior parte, invece, in attesa di “scappare” all’estero
(dove chiederanno asilo solo una volta giunti a destinazione), sono talmente
tanti da aver riempito praticamente tutti i centri di accoglienza disponibili.
Per non parlare di quelli che preferiscono arrangiarsi da soli, e scelgono le
strade come casa temporanea. Con il risultato che in una zona non lontana dalla
stazione, corso Buenos Aires e le piccole vie nei dintorni, è frequente ormai
incontrare gruppi di stranieri seduti per terra a mangiare, a dormire, o
intenti a giocare a carte o al pallone.
Da venerdì il Comune di Milano, non sapendo più dove sistemare tutti questi
disperati (e per evitare che bivacchino in stazione per troppi giorni) ha
deciso di aprire persino le palestre delle scuole. L’assessore alla Sicurezza,
Marco Granelli, ha fatto appello a tutti i privati che abbiano spazi non
utilizzati. «Anche solo per un paio di mesi - ha detto - finché dura
l’emergenza». Alcuni eritrei giunti negli ultimi giorni hanno trovato
ospitalità presso due moschee.
La tensione tra istituzioni è alta. Come dimostra il duro botta e risposta
con la Curia, dopo che il Comune l’ha invitata, goffamente, ad aprire le
chiese. «Come Caritas e chiesa siamo attivi per un’infinità di soluzioni -
hanno replicato dalla Caritas - Evitiamo polemiche sterili. La soluzione non
può essere aprire le chiese». Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia,
rinvendica da mesi l’orgoglio di assistere tante persone in difficoltà, ma
punta il dito contro il governo e la Regione. «Milano da ottobre a oggi ha
soccorso oltre 12 mila persone. Il ministero dell’Interno latita, la Regione
attende il governo». Ma il governatore Roberto Maroni non si lascia criticare
gratuitamente. «Lo ho detto chiaramente al prefetto e al governo. Se il governo
ci chiama e concorda con le Regioni un piano complessivo per la gestione noi
non ci tiriamo indietro, ma se chiede di intervenire sulla base di invii di
persone che arrivano e di cui non sappiamo nulla, io non sono disponibile».
Critico anche il governatore del Veneto, Luca Zaia, dove nei prossimi giorni sono
attesi 700 stranieri. «Alla fine i disagi dei continui sbarchi sulle nostre
coste sono messi in conto, come sempre, ai nostri territori. Dopo le
dichiarazioni da copione di Bruxelles che ci rassicurano, l’emergenza dovrà
essere risolta dai sindaci. È una situazione ormai insostenibile e che rischia
di creare dei pericolosi risvolti sociali».
di Michela Ravalico (Libero)