“Chiedo, in sostanza, di dare un contenuto pratico alla parola solidarietà”. Queste parole, che la stampa attribuisce al prefetto di Vicenza, Eugenio Soldà, suonano come l’ammissione del fallimento della strategia con cui il governo italiano sta gestendo, in maniera scandalosamente dilettantesca, la questione profughi.
Eugenio Soldà non ha colpa: dipende gerarchicamente da un ministro, Angelino Alfano, che è stato tra i più modesti nella storia del Viminale e non è colpa di un prefetto se le strategie scelte dal governo siano pericolose e tengano in scarso conto la situazione socio-economica in cui versa il Paese e sottostimi quanto sta crescendo attorno al business dell’accoglienza.
Le inchieste giornalistiche che alcune testate hanno effettuato, ad iniziare dalla Sicilia, sull’uso dei fondi teoricamente destinate all’accoglienza lasciano intravvedere una situazione alquanto preoccupante che fa chiedere a più d’uno se oltre ai soldi sporchi di sangue dei nuovi schiavisti lungo le tratte della disperazione ci sia anche il business dell’accoglienza, con troppi spregiudicati e improvvisati che approfittano del caso: il rischio è reale e denunciato anche da operatori attivi nel sociale e da figure simbolo dell’impegno cattolico come don Vinicio Albanesi.
Quando il governo lancia un appello alla solidarietà praticata, come è accaduto a Vicenza, dovrebbe spiegare alcuni dati: 36,60 euro a profugo al giorno riconosciuto al privato per vitto, alloggio, assistenza medica e legale a cui aggiungere 2,50 euro al dì che vanno al singolo profugo ed una ricarica telefonica di 15 euro una tantum. Il tutto mentre, a causa della famigerata legge di stabilità, i Comuni non possono spendere soldi che hanno già in cassa, per garantire la prevenzione, la sicurezza ma ancor più l’assistenza sociale, aiuti ai giovani e sostegni agli anziani, ai disoccupati, agli esodati anche questi scomparsi nel nulla e finiti nelle statistiche della povertà.
Non so se il governo, ad iniziare dal ministro Alfano, si renda conto della situazione folle in cui le scelte governative mettono un amministratore locale: un sindaco, che dovrebbe mobilitarsi per garantire assistenza ai profughi, non può dare assistenza ai propri cittadini. Il tutto negli stessi giorni in cui l’Istat certifica che in Italia ci sono 10.048.000 persone che vivono in condizioni di povertà relativa, pari al 16,6% della popolazione. Secondo la Fondazione Zancan in Veneto potrebbero esserci circa 135 mila famiglie relativamente povere: a queste Regione e Comuni possono offrire forme di assistenza molto limitate, stante i tagli imposti nella spesa dal governo e ai limiti, imposti dal Parlamento, del Patto di stabilità che rammento essere in Veneto 312 € anno per cittadino: la quota giorno riconosciuta per l’accoglienza è pari al 12 per cento del tetto massimo di spesa assegnato alla Regione per ciascun veneto. Questa è una follia.
La Regione ha investito 1.960.000 euro per costituire un fondo straordinario da indirizzare ai Comuni a sostegno delle persone e delle famiglie in difficoltà e sapevamo fin da subito, ma non per colpa nostra, che la cifra non avrebbe potuto coprire la domanda sociale. Cosa rispondiamo ai cittadini che furono esclusi dalle graduatorie stilate dai Comuni per accedere a quel milione e 960 mila € e che oggi leggono l’appello alla solidarietà dal governo che stanzia, per la sola provincia di Vicenza, un milione di € per assistere i profughi?
di
Roberto Ciambetti*
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