Non
c’è niente da fare, il più veloce è sempre lui, c’è arrivato prima di tutti con
l’irritualità della maleducazione o del politicamente scorretto. Il premier lo
ha detto domenica e con ancora più chiarezza oggi sul Gazzettino: “In Veneto
vince la Lega. Alle elezioni regionali finisce 6 a 1”. Sapendo l’effetto
dirompente e depressivo che induce nelle truppe del Centro Sinistra, perché lo
ha detto?
Probabilmente alla boa del 31 Maggio arriva una classe politica che non ha niente da dire alla politica nazionale e che nella sua dimensione regionale non sa più neppure fare da riferimento per un’economia fortemente indebolita. Vedi banche Popolari, sistema dell’edilizia, piccolo commercio, professionisti, artigianato dei settori più colpiti dalla crisi. L’indebolimento dei poteri economici ha chiuso il ciclo durato quarant’anni del federalismo “implicito” della politica veneta, abituata ad agevolare un dinamismo del territorio, la vittoria del fare da sé, del vitalismo localistico; supportato da istituzioni sussidiarie che, come mi disse una volta Giorgio Lago hanno fatto del Veneto “una bicamerale a cielo aperto”. Tanto per sottolineare l’aderenza delle istituzioni all’economia del territorio. E il livello di benessere era arrivato al punto da poter far dire “il Nordest sono io” a una cricca ristrettissima capace di canalizzare fiumi di euro di spesa pubblica. Le elezioni regionali del Veneto 2015 avvengono in un quadro che non è neppure lontanamente paragonabile a quello di cinque anni fa. Non si riescono a trovare neppure i soldi per finire il MOSE, figuriamoci per il resto.
Eppure il premier, informato da fiduciarie dotcom fiorentine a lui ben note e dall’esperienza più che collaudata, evidentemente non crede in rimonte tipo Serracchiani in Friuli Venezia Giulia. Si suppone che la discesa in campo di Flavio Tosi non permette l’agognato sorpasso per minore arretramento alla candidata Dem. Questo elemento spazza via anche i rumors che davano un Tosi ministeriale se avesse permesso la vittoria della Moretti. Ma allora, se non siamo di fronte a una preventiva cinica presa di distanza dalla responsabilità dell’ipotizzata sconfitta il 31 Maggio perché il premier ha così palesemente “lisciato” Zaia a ridosso di una battaglia ancora in corso? Ricordiamo che non più di dieci giorni fa Renzi ha mediaticamente forzato una polemica frontale contro “la Regione con 21 ULSS con 7 Province”. Eppure, in questo modo capitalizza un’interlocuzione imprevedibile, che a fronte del cumulo infinito di ricorsi della Regione Veneto contro provvedimenti governativi, implica una spregiudicatezza notevole, che se non comporta dialogo con il Nemico, sicuramente può indurre uno scompaginamento nel suo campo. Del resto è già emerso nella lotta senza quartiere esplosa nella composizione delle liste della Lega: supponendo che finisca 27 consiglieri per la maggioranza di Zaia e 23 tutti gli altri basterebbe la diaspora di solo tre “tosiani in sonno” per incagliare subito il nuovo governo. Neppure vincendo Zaia potrebbe stare sereno. La difficoltà di tenere coeso lo schieramento di Zaia ripropone un tema insidioso: i voti di centrodestra ci sono, ma una visione, una strategia assimilabile a quella nazionale di Renzi, alternativa e sostitutiva di quella “il Nordest sono io” ancora non si vede. Allora lancio in un’ipotesi più suggestiva. Auspicabile. Che dopo il 31 Maggio, con una sostanziale quadripartizione del consenso, due candidati tra il 30 e il 40, due tra il 10 e il 20, si renda necessario un governo di larghe coalizioni, alla tedesca, favorito anche dalla struttura poco bipolare del sistema elettorale. Renzi ha in mente un esito di questo tipo? Certamente potrebbe costituire una novità, favorire una strategia costituzionale di maggiore autonomia del Veneto e facilitare una maggiore coesione tra le “stanche membra” della società economica veneta.
di Luca Romano da VeneziePost
Probabilmente alla boa del 31 Maggio arriva una classe politica che non ha niente da dire alla politica nazionale e che nella sua dimensione regionale non sa più neppure fare da riferimento per un’economia fortemente indebolita. Vedi banche Popolari, sistema dell’edilizia, piccolo commercio, professionisti, artigianato dei settori più colpiti dalla crisi. L’indebolimento dei poteri economici ha chiuso il ciclo durato quarant’anni del federalismo “implicito” della politica veneta, abituata ad agevolare un dinamismo del territorio, la vittoria del fare da sé, del vitalismo localistico; supportato da istituzioni sussidiarie che, come mi disse una volta Giorgio Lago hanno fatto del Veneto “una bicamerale a cielo aperto”. Tanto per sottolineare l’aderenza delle istituzioni all’economia del territorio. E il livello di benessere era arrivato al punto da poter far dire “il Nordest sono io” a una cricca ristrettissima capace di canalizzare fiumi di euro di spesa pubblica. Le elezioni regionali del Veneto 2015 avvengono in un quadro che non è neppure lontanamente paragonabile a quello di cinque anni fa. Non si riescono a trovare neppure i soldi per finire il MOSE, figuriamoci per il resto.
Eppure il premier, informato da fiduciarie dotcom fiorentine a lui ben note e dall’esperienza più che collaudata, evidentemente non crede in rimonte tipo Serracchiani in Friuli Venezia Giulia. Si suppone che la discesa in campo di Flavio Tosi non permette l’agognato sorpasso per minore arretramento alla candidata Dem. Questo elemento spazza via anche i rumors che davano un Tosi ministeriale se avesse permesso la vittoria della Moretti. Ma allora, se non siamo di fronte a una preventiva cinica presa di distanza dalla responsabilità dell’ipotizzata sconfitta il 31 Maggio perché il premier ha così palesemente “lisciato” Zaia a ridosso di una battaglia ancora in corso? Ricordiamo che non più di dieci giorni fa Renzi ha mediaticamente forzato una polemica frontale contro “la Regione con 21 ULSS con 7 Province”. Eppure, in questo modo capitalizza un’interlocuzione imprevedibile, che a fronte del cumulo infinito di ricorsi della Regione Veneto contro provvedimenti governativi, implica una spregiudicatezza notevole, che se non comporta dialogo con il Nemico, sicuramente può indurre uno scompaginamento nel suo campo. Del resto è già emerso nella lotta senza quartiere esplosa nella composizione delle liste della Lega: supponendo che finisca 27 consiglieri per la maggioranza di Zaia e 23 tutti gli altri basterebbe la diaspora di solo tre “tosiani in sonno” per incagliare subito il nuovo governo. Neppure vincendo Zaia potrebbe stare sereno. La difficoltà di tenere coeso lo schieramento di Zaia ripropone un tema insidioso: i voti di centrodestra ci sono, ma una visione, una strategia assimilabile a quella nazionale di Renzi, alternativa e sostitutiva di quella “il Nordest sono io” ancora non si vede. Allora lancio in un’ipotesi più suggestiva. Auspicabile. Che dopo il 31 Maggio, con una sostanziale quadripartizione del consenso, due candidati tra il 30 e il 40, due tra il 10 e il 20, si renda necessario un governo di larghe coalizioni, alla tedesca, favorito anche dalla struttura poco bipolare del sistema elettorale. Renzi ha in mente un esito di questo tipo? Certamente potrebbe costituire una novità, favorire una strategia costituzionale di maggiore autonomia del Veneto e facilitare una maggiore coesione tra le “stanche membra” della società economica veneta.
di Luca Romano da VeneziePost
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