Altro
che fuga dalle guerre. Un mediatore culturale che lavora per le commissioni che
giudicano gli immigrati ci racconta come
i richiedenti asilo s'inventino violenze e persecuzioni.
“La maggior parte delle storie sono inventate, costruite”. Uchenna - nome di fantasia della fonte che
chiede di rimanere anonima - fa l'interprete per i profughi che si presentano a
fare domanda d’asilo. Per questo può dire davvero, e senza filtri ideologici,
chi sono veramente gli immigrati che arrivano sulle nostre coste.
Essere mediatore culturale per la commissione territoriale, cioè quella che
decide se e chi può ottenere lo status di rifugiati, permette infatti di
toccare con mano le storie (vere o presunte) dei profughi. Quello che ne esce
fuori è un'immagine ben diversa da quella del migrante bisognoso che viene
disegnata dai media.
A giudicare i richiedenti asilo dovrebbero esserci quattro persone per ogni
commissione: un rappresentate della prefettura, uno dell'Unhcr, un'altro del
Comune e l'ultimo per la questura. "Ora rimangono solo in 1 o 2 a seguire
l'intervista - dice Uchenna - perché ci sono diversi problemi di carattere organizzativo". Da inizio anno arrivano talmente tante richieste che se fossero
tutti presenti ad ogni colloquio non si finirebbe mai. Il sistema è
praticamente al collasso: "Adesso riusciamo a fare 8 interviste al giorno,
ma il ministero dell'Interno ha mandato una circolare per obbligarci a farne
più di 12". Ci riuscite? "Non proprio, ma dobbiamo: infatti la
commissione non va in vacanza. Abbiamo il lavoro programmato fino al
2017".
Questo significa che in molti casi i tempi di attesa per ottenere il parere
della commissione possono essere estremamente lunghi. Intanto l'Italia ospita a
spese proprie numerosi immigrati che poi non otterranno mai lo status si di
rifugiato. E sono molti, moltissimi: "La maggioranza di quelli che dalla Nigeria stanno arrivando sulle coste italiane -
afferma Uchenna - non fuggono certo da pericoli: sono in cerca di soldi e
successo per poter tornare un giorno a casa e pavoneggiare la ricchezza
raggiunta".
Per farlo, quindi, molte volte s'inventano storie di sofferenze e persecuzioni che non hanno mai subito:
"Mi capita spesso di sentir raccontare la stessa identica storia da
diversi immigrati".
Come si fa a capire se quello che raccontano è vero?
"Si basa quasi tutto sull'ultima domanda, quando viene chiesto il
motivo per cui non si vuole tornare nel proprio paese. Spesso le risposte sono
fantasiose: qualcuno dice di aver paura che una volta rientrato a casa il padre
sia intenzionato ad ucciderlo. Capisce anche lei che per valutare situazioni
simili ci sono ben pochi elementi".
Quali risposte danno
solitamente gli immigrati a questa domanda?
"Da qualche tempo molti nigeriani affermano di essere soggetti ad un
malocchio: raccontano di una setta che sarebbe presente in Nigeria e che
perseguita chi non entra a far parte dell’associazione”
Abbastanza
fantasiosa...
"Mi capita di ascoltarne tante altre. E tutte che si ripetono".
Quali?
"Le donne, per esempio, raccontano di essere state trascinate in case
chiuse in Libia e sfruttate come prostitute. Tra gli uomini, invece, è tipica
la storia dei problemi di eredità. Sarebbero scappati perché, una volta
diventati orfani, un loro parente malvagio e più ricco starebbe provando ad impossessarsi
del loro patrimonio. La storia suona così: 'Lo zio mi ha denunciato per cose
che non ho mai fatto, ma vista la sua posizione sociale è più potente di me. E
per queso ho paura'".
Sente davvero così
spesso questi racconti?
"Assolutamente sì. E c'è molto di falso: prima di iniziare con la
storia dello 'zio cattivo' narrano di essere figli unici e di non aver nessun
familiare a casa. Ma è rarissimo che ci siano famiglie con un solo figlio: in
Nigeria minimo si hanno tre fratelli".
E queste 'scuse' vengono
di solito accettate o rigettate dalla commissione?
"Come interprete non vengo a sapere se un intervistato ottiene o meno
l'asilo. Ma durante l'intervista riesco a capire se si sta mentendo o se si
dice la verità: le donne, ad esempio, estremizzano le storie di violenza
sessuale, ma non è difficile comprendere se l'hanno subita davvero oppure no.
Questo nonostante i profughi siano ben accorti nel documentarsi su quello che
raccontano”.
Ad esempio?
"Senza citare nomi, alcune ragazze raccontano di essere lesbiche e
qualcuno alla commissione ha anche portato un foglio stampato da internet di un
articolo riguardante un evento di omofobia in Nigeria. Senza contare, poi, che
sovente non appena si siedono all'interrogazione chiedono di cambiare la data
di nascita".
Perché?
"Provano a farsi passare per minorenni, così da ottenere senza
problemi il diritto d'asilo. Questo comportamento dovrebbe far scattare più di
un campanello d'allarme: è probabile che dietro quella persona non ci sia
nessun passato di violenze o sofferenze. Durante l'intervista basta guardare il
volto dei migranti per capire se hanno subito soprusi: si legge negli occhi se
quello che raccontano lo hanno subito sulla loro pelle o se l'hanno preparato a
tavolino".
Non è assurdo che
l'Italia debba sostenere i costi dell'accoglienza per sentirsi raccontare
queste bugie?
"Se io facessi parte della commissione non saprei come reagire. Spesso
suggerisco ai richiedenti asilo di dire la verità, ma loro alla fine mi
chiedono: 'Sorella ho detto bene la storia?'. Quando sento queste cose capisco
che quello che hanno raccontato è una sorta di favoletta imparata a
memoria".
Passiamo oltre. Come
mai tutti quelli che arrivano sui barconi sono senza documenti?
"Chi approda in Italia dice di non averlo mai avuto o di averlo perso
in Libia. In Nigeria falsificare documenti e cambiare più volte identità è una
cosa normale. Fanno lo stesso durante il riconoscimento a Lampedusa".
Come fa ad esserne
certo?
"Prendo come esempio sempre la Nigeria: se hai un determinato nome o
cognome si capisce se provieni dal Nord o dal Sud. Ci sono state persone che mi
hanno detto di essere in fuga dalla lotta tra cristiani e mussulmani che c'è
nel Nord del Paese. Poi però hanno un nome "meridionale": mi fa
pensare che ci sia di mezzo una menzogna. La maggior parte delle identità
vengono inventate all’arrivo, questo rende praticamente impossibile verificare
davvero la storia dell'immigrato".
Quale tipologia di
persone decide di intraprendere il "viaggio della speranza"?
"Partono i ragazzi che vogliono vedere l'Europa, giovani che hanno
accumulato dei soldi e che hanno dei contatti per organizzare il viaggio. Tutto
è studiato e ci sono persone qui in Italia che favoriscono questi flussi.
Non è vero che ad arrivare sono le persone indigenti, che ovviamente non
hanno le risorse per affrontare un simile percorso. Salgono sui barconi quei
giovani cui magari era stato rifiutato il visto ufficiale. Lo dice anche un mio
collega: ‘Sveglia Uchenna, questi mentono tutti’”.
Perché vengono qui?
“I nigeriani sono persone appariscenti. Vengono in Europa con la speranza
di arricchirsi e poi tornare a casa per costruirsi una bella casa, ostentando
la propria ricchezza”.
Tra i migranti che
arrivano in Italia ci sono anche persone pericolose?
“Piuttosto credo che lo diventino dopo. Una volta ottenuto il permesso di
soggiorno, questi ragazzi pensano di trovare immediatamente lavoro. Ma l’Italia
non è l’Eldorado, così vanno a finire nelle mani degli spacciatori di droga che
spesso sono loro connazionali. I nigeriani in Italia gestiscono droga e
prostituzione”.
Come si risolvono
questi problemi?
“Da immigrata regolare dico che l’Italia è troppo debole. Il fatto che ci
sia la possibilità di fare ricorso contro la decisione della commissione è
assurdo. Nel frattempo, infatti, queste persone vivono nella clandestinità a
spese dell’Italia. Bisogna rendere più dura le legge sull’immigrazione: nel
momento in cui la domanda d’asilo è stata rigettata, gli immigrati devono
essere rimandati immediatamente nel loro Paese. Più l’Italia continua ad essere
poco chiara sul tema, più queste persone ne approfitteranno per partire
dall’Africa anche se sanno benissimo di non aver nessuna possibilità di
ottenere accoglienza. Ma in Italia vige la legge del ‘poverino’”.
Cos’è?
“Nelle commissioni si sente dire ad ogni racconto strapplacrime:
‘Poverino’. Eppure questi spesso non fanno che raccontare bugie”.
di Giuseppe De Lorenzo (Giornale)