C’erano una volta le prese in giro goliardiche, “Il don
Sculacciabuchi”, i “co sta pioggia e co sto vento che fasemo ner convento”. Poi
c’erano i canti da osteria (“Osteria del Vaticano/ paraponzi ponzi
po”,…). E c’era una gran tradizione poetico-satirica, massimo
rappresentante Pietro Aretino: “Sul c… che rizzato avea fra Carlo/ Giù dal
balcon cascò suor Margherita” è l’incipit di uno dei suoi “Dubbi lussuriosi”.
Si parla di rapporto tra sessualità e religione, che un paio di millenni di
cultura avevano trattato in modo intelligente, urticante. Ma spiritoso.
E poi sono arrivate l’arte e la performance contemporanea a dare una bella botta di tristezza, di dramma e di angst. Ma soprattutto di necessità. Non c’è rappresentazione artistica contemporanea che occupandosi di religione non finisca per metterci dentro anche il sesso. E in modo triste. Come se il contemporaneo quando pensa alla religione ci dovesse per forza mettere un quid di braghetta: in teoria come rottura di categorie etiche ed estetiche, anche se all’ennesima provocazione spompata viene il sospetto che si tratti di un riflesso condizionato, di un non-pensiero venato di un puritanesimo inavvertito. Come se tutta la questione religiosa stesse lì, nel punto X. Nel dormite con le mani fuori dalle coperte. Molti artisti contemporanei sembrano ossessionati da pisellino e patatina ben più di qualsiasi testo religioso.
Da un po’ in ambito artistico ne abbiamo viste di ogni: dai papi che guardano youporn di Federico Solmi, a quelli in perizoma e autoreggenti di Paolo Schmidlin. Ora a Vicenza arriva la “Prima lettera di San Paolo ai Corinzi” di Angélica Liddell al Teatro Olimpico. In scena sangue e masturbazioni, con scandalo cercato e polemichella di dovere. Ma che noia. E che nostalgia non solo di Aretino, ma financo dei canti da osteria.
Bruno Giurato (Giornale)
E poi sono arrivate l’arte e la performance contemporanea a dare una bella botta di tristezza, di dramma e di angst. Ma soprattutto di necessità. Non c’è rappresentazione artistica contemporanea che occupandosi di religione non finisca per metterci dentro anche il sesso. E in modo triste. Come se il contemporaneo quando pensa alla religione ci dovesse per forza mettere un quid di braghetta: in teoria come rottura di categorie etiche ed estetiche, anche se all’ennesima provocazione spompata viene il sospetto che si tratti di un riflesso condizionato, di un non-pensiero venato di un puritanesimo inavvertito. Come se tutta la questione religiosa stesse lì, nel punto X. Nel dormite con le mani fuori dalle coperte. Molti artisti contemporanei sembrano ossessionati da pisellino e patatina ben più di qualsiasi testo religioso.
Da un po’ in ambito artistico ne abbiamo viste di ogni: dai papi che guardano youporn di Federico Solmi, a quelli in perizoma e autoreggenti di Paolo Schmidlin. Ora a Vicenza arriva la “Prima lettera di San Paolo ai Corinzi” di Angélica Liddell al Teatro Olimpico. In scena sangue e masturbazioni, con scandalo cercato e polemichella di dovere. Ma che noia. E che nostalgia non solo di Aretino, ma financo dei canti da osteria.
Bruno Giurato (Giornale)
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