Mentre va in
scena il calvario delle Pmi, il presidente della banca di Siena Alessandro
Profumo dice che bisogna scegliere fra ricapitalizzazione e nazionalizzazione:
non gli passa per la mente che l'istituto possa chiudere. Mal che vada a
salvarlo ci son sempre i contribuenti...
Non c’è tregua per le piccole imprese, i
commercianti e le partite Iva: se, martoriati da tasse, burocrazia, cartelle
esattoriali, ce la fanno a stare in piedi bene; altrimenti possono
tranquillamente fallire. Ah dimenticavo, se scioperano ci rimettono di tasca propria. Per le
grandi banche invece, specie se legate a doppio filo alla politica, i paracaduti
sono infiniti.
Qualche tempo fa non si faceva altro che parlare di Monte
Paschi Siena. Ora non se ne fa quasi più accenno. Due giorni fa Mps è
tornata all’onore delle cronache finanziarie per il cda di martedì che ha
deciso la ricapitalizzazione di tre miliardi della banca: una
mossa favorisce i dieci istituti proprietari, guidati da Ubs, a scapito della Fondazione
Monte Paschi, azionista di maggioranza relativa col 33,5% delle azioni. La
governance attuale a guida Pd, responsabile degli scandali trapelati qualche
mese fa, che aveva chiesto di rimandare l’aumento di capitale, per poter prima
rafforzarsi e tenere il timone.
Durissimo il giudizio del sindaco di Siena, guarda
caso Pd, Bruno Valentini riportato, ancora guarda caso, dal quotidiano La
Repubblica che ne ha sostenuto la tesi: «Siena non può assistere inerme a
questa sorta di colpo di stato interno in per cui la banca si libera di
un proprietario non più assillante come un tempo. Mi domando se tutti i
membri del cda Mps che rappresentano la fondazione hanno saputo servire gli
interessi dei due enti». Chissà: noi piuttosto ci chiederemmo se è normale che
un sindaco si preoccupi tanto delle vicende interne di un istituto finanziario,
invece che del bene dei propri concittadini.
Ma il commento decisamente più surreale è quella
arrivato dal presidente di Mps, Alessandro Profumo. Proprio lui, il
milionario ex amministratore delegato di Unicredit (dal 1998 al 2010), rinviato
a giudizio nel 2012 per una presunta maxi frode fiscale del valore di 245
milioni. Intervistato da Repubblica ha detto: «Ricapitalizzare l’azienda
è l’unica strada per evitare la nazionalizzazione».
Quell’opzione già tristemente avallata da due intellettuali liberali come
Oscar Giannino e Michele Boldrin. La cosa sconvolgente è che Profumo – così
come Valentini che ieri ha sollecitato l’intervento del governo – non prende
nemmeno in considerazione la possibilità che la banca fallisca. Too big to
fail, si diceva nell’America investita dalla grande crisi del 2007.
Alla fine dovrà essere sempre il piccolo a pagare
gli errori dei grandi. Tre miliardi son tanti: per la legge di
stabilità si son scannati per poche centinaia di milioni. Non vorremmo
mai e poi mai vedere le vere attività produttive martoriate con
altre imposte con l’obiettivo di salvare i pasticci finanziari dei soliti
noti che non pagan mai.
di Matteo Borghi (L'Intraprendente)