Meno 400mila dall’inizio della crisi del 2008 ad
oggi. È questo il risultato di uno studio della Cgia di Mestre sulle partite
Iva che rende noto come oltre 7 lavoratori autonomi su 100 abbiano dovuto
chiudere, per colpa di crisi e tasse, la propria attività.
Un vero e proprio bollettino di guerra che deve far
preoccupare per due ragioni. La prima è che diventare una partita Iva è il
sistema più semplice (in quanto meno oneroso per l’azienda) di trovare lavoro.
Dunque, se il calo è tanto drastico, vuol dire che la situazione economica
del Paese è davvero drammatica. In secondo luogo l’occupazione a partita
Iva è l’unica che non gode di alcuna forma di tutela. Di conseguenza chi non trova
più lavoro come partita Iva rischia davvero di cadere in povertà,
necessitando quindi dell’appoggio dei servizi sociali. Come ha sottolineato il
direttore della Cgia Giuseppe Bortolussi: «Tranne i collaboratori a
progetto che possono contare su un indennizzo una tantum, le partite Iva
non usufruiscono dell’indennità di disoccupazione, di nessuna forma di cassa
integrazione o di mobilità lunga o corta. Spesso si ritrovano solo con molti
debiti da pagare e un futuro tutto da inventare».
Una situazione critica, che può addirittura diventare
drammatica, spingendo qualcuno a compiere gesti estremi. «In proporzione – ha
aggiunto Bortolussi – la crisi ha colpito in maniera più evidente il
mondo delle partite Iva rispetto a quello del lavoro dipendente.
Se in termini assoluti la platea dei subordinati ha perso ben 583.000
lavoratori, la variazione percentuale, invece, è diminuita solo del 3,3 per
cento, mentre l’incidenza percentuale della perdita dei posti di lavoro sul
totale della categoria si è fermata al 3,5 per cento. Tassi, questi ultimi, che
sono meno della metà di quelli registrati dai lavoratori indipendenti». Ovvero,
come abbiamo detto, il 7% con punte del 9,9% per commercianti, artigiani e
agricoltori, del 12% per i collaboratori occasionali e addirittura del 19,4%
per quelli familiari.
Il motivo è presto detto: la già storicamente rigida
legislazione sul lavoro dipendente, aggravata dalla riforma Fornero,
congela i contratti e blocca i licenziamenti. Il che è un bene
solo apparente. Già, perché l’azienda con meno commesse ed introiti – potendo
agire poco o nulla sui dipendenti interni – è costretta a risparmiare
sui contratti esterni e flessibili come le partite Iva: un sistema che
penalizza chi è già meno tutelato.
Una prassi tutta italiana in cui hanno una gran
responsabilità i sindacati che, propugnando l’idea
irrealistica secondo cui l’azienda deve garantire condizioni sempre migliori ai
suoi lavoratori indipendente dalla situazione economica in cui si trova, non
fanno altro che scavare un solco sempre più profondo fra ipertutelati
e senza rete. Appunto i più deboli.
di Matteo Borghi (L'Intraprendente)
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