Il partito si piega al diktat di Letta (e Napolitano) e vota compatto
contro la sfiducia. E Renzi, che tanto si era speso contro il Guardasigilli, finisce ko.
Chi esce con le ossa rotte dal nuovo round sul Guardasigilli sembra quindi
proprio il Pd, già alle prese con una lacerante - anche se ormai già ampiamente
decisa negli esiti - corsa alla segreteria, e ora schiacciato anche dal diktat
di Letta, sostenuto e alimentato da Napolitano: sfiducia alla Cancellieri
significa sfiducia a me e al mio governo.
E a niente sono valsi i tentativi dei candidati alla segreteria di fare a gara
a mostrarsi più intransigenti sul chiacchierato ministro e sinceramente stanchi
del governo delle larghe intese. La paura di azzoppare un esecutivo che
si regge su una maggioranza così fluida e trovarsi di fronte a un rimpasto che
avrebbe comportato morti e feriti ha prevalso su tutto.
Il primo a prendersela in saccoccia è stato Matteo Renzi, la cui opera di
logoramento del governo Letta segna un altro stop. Anche se forse è una
sconfitta solo apparente, visto che, in parte, la vicenda ha mostrato quanto
sia “innaturale”, e quindi criticabile, un esecutivo guidato da un premier di
centrosinistra costretto a fare da scudo a un ministro voluto dal centrodestra
e irrimediabilmente compromesso (le telefonate questo lo dicono chiaramente)
con l’impresentabile Salvatore Ligresti e la sua famiglia. E la pubblicazione,
subito dopo il voto, della deposizione di don Salvatore che parla apertamente
di aiuti alla Cancellieri tramite Silvio Berlusconi, non fanno che rafforzare
questa tesi.
Del resto, ha rimediato una brutta figura anche il segretario Guglielmo
Epifani, costretto a un’acrobazia quasi comica: ha chiesto in Aula che il
ministro conceda a «chiunque di poterle fare una telefonata e avere una risposta
ai propri problemi». Una richiesta che il ministro ha “parato” ipotizzando
l’istituzione, altrettanto comica, di un numero verde per i detenuti.
Al numero uno democratico non è restato che prendersela con i grillini, che
hanno presentato la mozione di sfiducia e animato l’Aula con una rumorosa
protesta: «Vedo un uso del populismo molto sgangherato, ma vorrei ricordare al
Movimento 5 Stelle è che a furia di urlare e mettere cartelli si finisce per
non prendere neanche un voto».
Le cattive notizie per il Pd non sono poi finite in Aula, visto che da Salerno
è arrivato un avviso di garanzia per Vincenzo De Luca, sindaco della città
campana e viceministro ai Trasporti. Il provvedimento della Procura salernitana
ha coinvolto, oltre De Luca, altre 30 persone, e riguarda la variante al Piano
Urbanistico adottata il 16 marzo 2009 che consentiva l’acquisizione delle aree
demaniali per la costruzione del “Crescent”, l’imponente edificio sul lungomare
della città campana, il cui cantiere è stato messo sotto sequestro.
Il ministro Cancellieri ha salvato il posto ma il Pd rischia di andare in
pezzi. Il voto del gruppo democratico alla Camera sulla fiducia al ministro è
stato infatti granitico ma le spaccature interne sono arrivate a un punto
critico. Con addirittura un candidato alla segreteria, Pippo Civati, che dà
dello «stronzo» a un rivale, Gianni Cuperlo.
Luca Tavecchio (La Padania)
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