Nel 2007 la onlus del ministro vuole aprire ambulatori
a Lubumbashi. I partecipanti: "Non c'era nulla, saltò tutto. Serate di
finanziamento da 100 dollari a testa".
Domani il
ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge sarà ospite del consiglio
comunale di Reggio Emilia. Qui non troverà razzisti con l’anello al naso
pronti a lanciarle bucce di banana come hanno già fatto altri idioti. Ma ci
sarà chi invece di applaudirla proverà a contestarle il suo passato prossimo
e l’attività della sua associazione di volontariato Dawa, con sede nella vicina
Modena. Infatti in comune c’è un consigliere, Zeffirino Irali, che in
questi mesi ha raccolto numerose re soconti e ha realizzato un dos- sier sulle
attività di Dawa. Un piccolo libro nero di cose non fatte o fatte male.
All’interno diverse testimonianze dirette di volontari e collaboratori della
Kyenge. Libero ha incontrato con Irali diverse di queste persone e ha
ascoltato le loro storie. C’è la funzionaria della Provincia sposata con un
cittadino congolose, c’è la pensionata, c’è il professore universitario. Ma
soprattutto c’è l’infermiera che ha lavorato nello stesso ambulatorio di
Kyenge per molti anni. Tutta gente che, cedendo ai cliché, potremmo definire
impegnati e di sinistra. E tutti, per usare un eufemismo, sono rimasti molto
delusi dall’attività dell’associazione.
Ma chi c’è
dietro a questa onlus? È praticamente un’organizzazione a conduzione
famigliare: il presidente di Dawa è Franca Capotosto, amica personale di
Kyenge, il «responsabile relazione esteri e comunicazione» è il marito di
Kyenge, Domenico Grispino; la «responsabile arte e e cultura» è sua cognata,
la pre- side di scuola media Maria Teresa Grispino; il revisore dei conti è
l’altro cognato, il farmacista Gianni Mazzini. Su facebook la pagina
dell’associazione ha un unico amministratore: il ministro Kyenge. Sul sito
Internet si legge: «Dawa (magia, medicina, star bene in lingua swahili) è
un’associazione non profit nata nel 2002» e che «concentra maggiormente i suoi
sforzi nella Repubblica Democratica del Congo», Paese natio della Kyenge. In
particolare a Lubumbashi, la seconda città del Paese, e nel villaggio dove il
ministro è nato. A leggere Internet, l’iniziativa più concreta risale al
2006: «Cene di beneficenza per il trasporto di un container e di
un’autoambulanza». In effetti il carico prende il volo nel 2007 e i giornali
locali strillano entusiasti: «Una delegazione di 12 reggiani guidati da due
primari dell’arcispedale Santa Maria Nuova e composta da medici, farmacisti,
biologi, infermieri, un geometra e un ingegnere sta partendo alla volta della
Repubblica democratica del Congo». La squadra dovrebbe inaugurare una nuova
struttura sanitaria: «L’ingegner Domenico Grispino (marito di Kyenge ndr) è il
responsabile del pro- getto per la costruzione di un ospedale all’interno del
parco Kundelungu» scrive il giornale. E Kyenge sul quotidiano «ricorda di
destinare il 5 per mille all’associazione che possiede». Di seguito, per i
lettori, il codice fiscale. Sin qui tutto regolare. Peccato che in Congo le
cose cambino e almeno metà dei partecipanti alla missione torni in Italia
inorridita. Gli altri, a onor del vero, sono quasi tutti parenti della Kyenge.
Con i nostri testimoni approfondiamo il racconto di quel viaggio. A partire
dall’acquisto dei biglietti aerei.
Sul punto le
versioni raccolte da Libero combaciano. «Avevamo trovato tariffe inferiori ai
mille euro, ma Kyenge ci disse che ci avrebbe pensato lei» dichiara Manuela,
professione infermiera. I volontari sono certi di risparmiare e invece il
prezzo lievita sino a 1.200-1.400 euro a cranio. I malcapitati non capiscono,
ma si adeguano. Nel frattempo, grazie alle cene di finanziamento, vengono
riempiti due container di materiale, compresa un’ambulanza. Il trasporto viene
organizzato da una zia di Manuela. Il percorso previsto è Sassuolo-Bruxelles-
Kinshasa. In Belgio vive una delle tante sorelle di Kyenge. E qui avviene il
primo disguido, visto che uno dei due cassoni d’acciaio non riesce a partire.
Le cose peggiorano in Africa. «Avevo chiesto sei mesi di aspettativa per questa
esperienza. Avrei dovuto occuparmi di seguire l’apertura di un poliambulatorio»
avverte l’infermiera. «Ho rifatto i bagagli appena ho capito la situazione. Là
non c’era proprio nessuna struttura da avviare». A Lubumbashi, all’interno di
una delle proprietà dei Kyenge, i volontari trovano solo un «Centre maternité
Kyenge»: «Un vero disastro. Non c’era un generatore elettrico, non esisteva il
pavimento, i lettini erano praticamente inservibili. In più venivano usati due
soli strumenti per quindici donne per volta e la luce era quella delle candele.
Condizioni estreme in cui era impossibile operare».
Bruno,
docente universitario di origini straniere ed ex collega di Kyenge, rincara: «Ho
portato con me dall’Italia due ostetriche, ma quando sono entrate per poco non
vomitano, non sono riuscite a continuare perché la situazione era atroce. Non
ho mai visto una cosa simile in vita mia e ho girato abbastanza». In quei
giorni vengono organizzate due cene di finanziamento. La prima si svolge al
villaggio Kyenge, quello dove è capotribù il padre del ministro, Kikoko, un
omone vestito con scettro e pelle di leopardo, mise che ha sfoggiato, tra lo
stupore generale, pure a Modena in occasione di una visita specialistica.
Esborso per la serata 60 dollari a testa. Una cifra così alta che alcuni
volontari danno forfait. «L’altra cena è stata organizzata dal Rotary locale e
costò ai partecipanti addirittura 100 dollari» assicura Mariangela,
funzionaria della Provincia.
Ma
l’episodio che lascia esterrefatti diversi partecipanti è un altro. Uno dei
volontari, Antoine, cittadino congolese trapiantato in Italia, in quei giorni
si fa raggiungere da alcuni parenti residenti a Kinshasa. A spese loro. La
madre viene visitata da Kyenge. Poi si avvicina al figlio: «Mi servono dieci
dollari». Come dieci dollari? Domanda il giovane, cercando spiegazioni. I
testimoni sostengono che Kyenge, senza batter ciglio, avrebbe replicato:
«Certo. Devono imparare a pagare, se no pretendono tutto gratis». I presenti in
linea di principio avrebbero potuto pure essere d’accordo, ma ancora oggi si
domandano dove siano finiti quei soldi, avendo loro partecipato all’impresa a
titolo completamente gratuito. Anche perché dell’ospedale nessuno di loro ha
più avuto notizie. Neppure dal sito Dawa. «Non mi risulta che sia stato
realizzato. Il nostro sforzo socio-sanitario non è andato a buon fine
nonostante il padre della Kyenge avesse molte conoscenze» ammette Bruno. La cui
delusione è doppia. Infatti in quella sfortunata trasferta aveva il compito di
realizzare un gemellaggio con l’ateneo congolese per scambi universitari. «Per
questo incontrai con Kyenge le autorità della provincia di Lubumbashi, il
presidente della facoltà di medicina, firmai una convenzione. Cécile mi disse
che si sarebbe occupata personalmente di tenere i contatti con la controparte
congolese. Dopo sei anni sto ancora aspettando, nonostante i contratti firmati,
l’inizio di quello scambio. Anche in questo caso, è andata buca». Non alla
signora Kyenge che, grazie a quella sua attività non profit, si è fatta un
nome ed è diventata ministro della Repubblica italiana.
di Ortensio
Pizzanelli (Libero)
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