L'ex
leader comunista, in un'intervista al Tempo, ammette candidamente di aver scoperto gli eccidi con cinquant'anni di
ritardo. È vittima della sua stessa disinformazione?
Che le foibe
siano state un tabù per decenni, lo sanno tutti. Non una riga sui libri
scolastici, nessun volume storico diffuso nel grande circuito editoriale, zero
commemorazioni ufficiali.
Quei
massacri di migliaia di italiani a fine guerra sui confini orientali sono stati
nascosti e negati talmente a lungo da apparire quasi una leggenda. Forse per
questo Achille Occhetto, ex segretario del Pci, che con il suo
partito ha contribuito a far credere che non esistessero, afferma candidamente in un’intervista:
“Io stesso ho appreso del dramma delle foibe solo dopo la svolta della
Bolognina. Prima non ne ero mai venuto a conoscenza”. D’altronde è stato
l’ultimo leader dei comunisti italiani, maestri nella propaganda e nel
distorcere la verità. E perciò può essere rimasto vittima della sua stessa
disinformazione se ha scoperto un pezzo di storia solo nel 1989. Oppure
continua a mentire come hanno fatto i suoi compagni per quasi mezzo secolo,
raccontando che gli esuli dell’Istria, Fiume e Dalmazia non erano semplici italiani
in fuga dalle stragi comuniste ma fascisti che scappavano per i loro misfatti.
Un messaggio che aveva già fatto presa nel 1947. C’è un episodio
indimenticabile. Il 16 febbraio, un piroscafo parte da Pola con migliaia
di connazionali che, dopo essere sbarcati ad Ancona, sono stipati come bestie
su un treno merci diretto a La Spezia. Quel treno, il 18 febbraio, arriva alla
stazione di Bologna, dove è prevista una sosta per distribuire pasti caldi agli
esuli. Ma ad attendere i disperati c’è una folla con bandiere rosse (toh, i
compagni di Occhetto?) che prende a sassate il convoglio, mentre dai microfoni
è diramato l’avviso “se i profughi si fermano, lo sciopero bloccherà la
stazione”. Il treno è costretto a ripartire. Questo il clima.
La
propaganda comunista e la mistificazione della realtà, come sappiamo, hanno
influenzato non poco la cultura italiana del secondo Novecento. Ma è stato
impossibile seppellire la memoria: troppi profughi, troppi testimoni e quella
destra che alimenta i ricordi. E poi c’è Trieste, che Occhetto conosce bene,
città decorata con la medaglia d’oro al valore militare dal capo dello Stato,
nella cui motivazione c’è scritto “…subiva con fierezza il martirio delle
stragi e delle foibe, non rinunciando a manifestare attivamente il suo
attaccamento alla Patria…”. Tutti sapevano delle foibe, anche se era
scomodo e sconveniente parlarne. Per questo motivo facciamo fatica a credere
che il prode Achille l’abbia saputo così tardi. Fosse stato per il Pci,
probabilmente non se ne sarebbe mai parlato, ma per fortuna è stato sconfitto
dalla storia. E al grande libro dei fatti è stata aggiunta quella pagina
strappata.
di Riccardo Pelliccetti (Giornale)
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