Mentre in Italia si continua ad ignorare o a
ridicolizzare la consultazione sull’indipendenza del Veneto, la stampa
estera, che ne ha parlato più approfonditamente, continua ad interrogarsi sulle
ragioni dell’indipendentismo. Dopo diversi articoli e servizi di BBC, Daily
Mail, Telegraph, Russia today e Independent se ne è
occupato anche il Financial Times. Il quotidiano londinese, in un
commento di Brian Groom, si chiede infatti “Chi ha diritto
all’autodeterminazione?”. «In una votazione online organizzata da attivisti
locali – scrive l’editorialista del Ft – l’89 per cento dei residenti ha votato
per una Repubblica Veneta indipendente». Il problema è essenzialmente di tipo
economico, il Veneto è sempre stata una zona ricca ma con l’aggravarsi della
crisi economica i cittadini non sopportano l’alto carico fiscale che viene
usato «per sussidiare quelle che secondo loro sono le inefficienze del sud
Italia».
Groom nota come le spinte autonomiste e
indipendentiste non siano singole questioni locali, ma, ognuna con
le sue caratteristiche, rappresentano un fenomeno che riguarda tutta l’Europa:
dal plebiscito in Crimea condannato dalla comunità internazionale al
referendum ufficiale del prossimo autunno in Scozia, dalla consultazione
informale veneta al referendum per l’indipendenza della Catalogna voluto
da Barcellona e negato da Madrid. In Scozia addirittura è stata depositata una
petizione per chiamare gli abitanti delle isole Shetland e delle
isole Orcadi a votare, una settimana dopo il referendum scozzese, per
decidere se rimanere nel Regno Unito, restare con la Scozia indipendente oppure
governarsi da soli. Come sottolinea l’editorialista del Financial Times
il principio di autodeterminazione «è alla base del diritto
internazionale e della Carta delle Nazioni Unite» ma è pienamente aperta la
questione su «chi può esercitare questo diritto e cosa costituisca una
nazione». La questione riguarda forse più di tutti l’Unione Europea che
da sempre riconosce il diritto all’autodeterminazione per le regioni che non
fanno parte dell’organizzazione (come è avvenuto nei casi del Kosovo e di Timor
est) e che cerca di accogliere nell’Unione stati che si sono divisi
pacificamente (Slovacchia e Repubblica Ceca) o anche violentemente
(Slovenia, Croazia e prossimamente Serbia). Di contro l’Ue ha difficoltà a
riconoscere gli stessi diritti e la stessa dignità alle richieste
indipendentiste presenti nei propri confini ed osteggiate dagli stati membri.
Tra l’altro, come dimostrano gli stessi risultati della consultazione veneta
(pur con tutti i dubbi sui numeri e sulla procedura di voto), i movimenti
autonomisti e indipendentisti di Veneto, Catalogna e Scozia non sono affatto
anti-europeisti: puntano a ridisegnare le cartine geografiche degli
stati nazionali, ma tutti manifestano la volontà di rimanere nell’Unione
Europea e di non rinchiudersi in piccole patrie isolate.
Nonostante tutti gli stati dichiarino nelle proprie
costituzioni di essere eterni ed indivisibili non c’è una cartina
politica europea che sia identica a quella di 10 o 20 anni prima, la storia
dimostra che le secessioni avvengono e i confini mutano
continuamente. La questione non è quindi se le secessioni siano legittime, ma
qual è lo strumento che permette nel modo più economico e pacifico ai popoli e
alle comunità di esprimersi sulla propria indipendenza. Se l’Europa punta ad
essere uno spazio comune di libertà politica ed economica e non solo un
meta-governo degli stati membri, dovrà in qualche modo chiarire chi e come può
esercitare il diritto all’autodeterminazione. Stavolta non deve guardare fuori
ma all’interno dei propri confini.
di Luciano Capone
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