Lasciate
che i veneti si stacchino e che campani e calabresi stiano ai piedi di Roma.
Vedremo chi camperà di più.
Siamo alle
solite. La Crimea ha deciso il proprio destino con un referendum: si distacca
dall'Ucraina e si annette alla Russia per volontà popolare.
Molti
osservatori affermano che il plebiscito non è legittimo per vari motivi oscuri,
e non si capisce perché la consultazione dovrebbe essere invalidata. Questo lo
abbiamo già scritto. Se però ribadiamo il concetto, una ragione c'è: adesso
anche la Catalogna andrà alle urne e così pure la Scozia; entrambe le regioni
reclamano indipendenza. Che c'è di male? Nulla. Tanto è vero che nessuno
protesta.
Nei Paesi
evoluti è infatti riconosciuta ai cittadini la facoltà di contarsi allo scopo
di stabilire dove andare e con chi. Ancora una volta debbo ricordare che
l'autodeterminazione dei popoli non è un principio astratto, ma un dogma
indiscutibile.
Le nazioni
rischiano così di spezzettarsi? E chi se ne importa. Prima di tutto viene la
libertà della gente di amministrare il proprio territorio come le garba.
Ecco perché
trasecoliamo nell'apprendere che il referendum via Web (www.plebiscito.eu) in
corso dal 16 al 21 marzo nel Veneto, finalizzato a uno strappo della regione
dall'Italia, sia considerato un'attentato all'unità del Paese. Ma quale
attentato?
I veneti
desiderano ardentemente andarsene per conto proprio, ovvero essere padroni in
casa loro, rigettando il patto nazionale (peraltro mai sottoscritto)? Liberi di
verificare alle urne se si tratta di un sentimento maggioritario o minoritario.
Nel primo caso bisognerà prenderne atto e agire di conseguenza; nel secondo,
pace amen, la situazione rimarrà quella attuale: cioè il Veneto resterà
integrato nella penisola con capitale Roma. Dov'è il problema? Perché
scandalizzarsi se una quota di cittadini invoca l'uso di uno strumento - il
plebiscito - altamente democratico per stabilire se mantenere lo statu quo
oppure se mutare registro? Forse che il Veneto vale meno della Catalogna o
della Scozia e non può aspirare, a differenza delle altre due regioni, a essere
autonomo rispetto al potere centrale?
Non ha senso
dividere i popoli tra figli e figliastri; ciascuno di essi deve godere della
facoltà di fare ciò che vuole, a condizione che non infranga le regole
democratiche, delle quali il plebiscito è la principale. Ognuno ovviamente ha
le proprie opinioni e non stupisce che voglia imporle ad altri attraverso il
metodo del confronto, ma se alla fine dei dibattiti non c'è intesa, si ricorre
al referendum, il cui esito è legge. Non c'è molto d'aggiungere.
Un tempo certi contenziosi si dirimevano con le guerre, non esisteva
alternativa. Oggi si vota e vince la maggioranza. Chi non accetta il verdetto
elettorale si pone fuori dal contesto civile, automaticamente, e non può
pretendere di essere apprezzato. Il referendum in Veneto non ha nulla di
eversivo e va accolto come una manifestazione di correttezza istituzionale.
D'altronde, quella dei veneti non è neppure una ribellione scomposta; è la
speranza di un ritorno all'antico, alla Repubblica cosiddetta Serenissima, le
cui prerogative sono giustamente rimpiante, visto che all'epoca del suo fulgore
i «sudditi» si trovavano, con il Doge, meglio che con Matteo Renzi e affini,
probabilmente.
Lasciate che
i veneti si facciano la loro vita lontano da Roma, e che altri, per esempio
campani e calabresi, si facciano la loro ai piedi della Città Eterna. Vedremo
chi camperà di più e più comodamente.
di Vittorio Feltri (Giornale)
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