Missione in salita per il premier: a una domanda sulle
sue riforme Barroso e Van Rompuy si scambiano un'occhiata ironica. Come quelle
battutine tra Merkel e Sarkò contro il Cav.
«Grande simpatia
per il personaggio, ma sulle cose europee non si scherza». Da queste parti,
spiega un funzionario della Commissione Ue, una mezza frase può fare la
differenza e uno sguardo rischia di assomigliare a una condanna.
Quello che
ieri si sono dati i presidenti di Commissione e Consiglio europeo Manuel
Barroso e Herman Van Rompuy ha fatto ombra alla prima missione di Matteo Renzi
nel cuore delle istituzioni europee. E ha dato il «la» a una giornata per nulla
facile.
A una domanda del corrispondente di Radio Radicale Davide Carretta sulla
ricetta anti euroscettici del premier italiano - tagli alle tasse e
flessibilità sul deficit - i due massimi vertici dell'Ue si sono scambiati
un'occhiata e hanno sorriso in un modo che a tutti ha ricordato un'altra
scenetta molto simile. Ottobre 2011, stesso tema (il giudizio su una ricetta
anti crisi), stesso teatro (la sala delle conferenze stampa nella capitale
europea). Diversi i personaggi: il cancelliere tedesco Angela Merkel e l'ex
presidente francese Nicolas Sarkozy. Oggetto delle risatine, quella volta,
Silvio Berlusconi. Il piano di riforme economiche da giudicare era quello di
emergenza varato dal governo di centrodestra e i due azionisti di maggioranza
della Ue lo bocciarono con un sorriso complice. La ricetta di Renzi, più che
bocciata, è stata bloccata preventivamente, prima che potesse essere formulata.
Nell'incontro più atteso della giornata, quello con Barroso, il premier non ha
usato i toni di giovedì sul tetto del 3% da superare. Nemmeno come ipotesi. Ha
dovuto spendere un'altra moneta: quella delle riforme radicali che questa volta
arriveranno sul serio, dei tagli alla spesa pubblica e del rispetto del tetto
del deficit oltre che degli impegni sul debito pubblico. In cambio riferivano
fonti del governo ha chiesto che l'Europa «risolva i problemi».
Il segno del
clima l'ha dato la rinuncia alla conferenza stampa di rito. Scelta dovuta ai
tempi stretti, secondo l'interpretazione ufficiale. Un modo per non fare
emergere le differenze tra il rappresentante delle istituzioni europee e
premier italiano, che sono più di stile che di sostanza, ma ci sono tutte,
secondo i boatos di Bruxelles. A soccorso del premier solo il presidente socialista
dell'Europarlamento Martin Schulz: «L'Italia ha bisogno di un'Ue solidale, che
vuol dire sostenere il Paese a uscire dalla crisi e io lotto con Renzi per
questo». Per cercare di arginare le interpretazioni malevole e gli effetti del
video con i sorrisi di Barroso e Van Rompuy subito diventato virale il
presidente dell'esecutivo Ue ha twittato il suo giudizio «molto positivo»
sull'incontro: «L'Europa sosterrà le riforme in Italia». Lo stesso Renzi si è
concesso un paio di passaggi per sdrammatizzare: «Non abbiamo parlato dello
zerovirgola. Chi vuole conoscere i numeri dovrà aspettare il Def tra qualche
giorno» e comunque «le coperture sono fuori discussione, fuori dubbio. L'idea
che il presidente della Commissione parli con il premier di un Paese dello 0,2%
quando l'Italia è uno dei paesi che rispetta il 3% e non si parli invece delle
riforme è singolare». Riferimento non casuale. L'obiettivo massimo che si è
dato Renzi non è quello di superare il 3%. Ma lo stop di Van Rompuy e Barroso
riguarda proprio questo. Impossibile farlo senza passare per le istituzioni
europee, vietato utilizzare questi margini per tagliare le tasse. Per questo,
negli ultimi giorni, il governo stava riposizionandosi su un obiettivo meno
ambizioso: recuperare solo uno 0,2%, portando il deficit al 2,8%. Così si
libererebbero delle risorse, 3 miliardi rispetto ai 6 preventivati, che
potrebbero andare al taglio Irpef da 80 euro al mese per i redditi sotto i
25mila euro. Copertura da sogno, che rischia di svanire quando le previsioni
del Pil troppo ottimistiche, costringeranno a correggere il deficit, come
minimo, al 2,8%. A quel punto l'unica richiesta possibile da fare a Bruxelles
sarà quella di non fare una manovra correttiva.
di Antonio Signorini (Giornale)
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