Befera esterna: «L'evasione fiscale è incompatibile con la democrazia».
Saccomanni a rinforzo: «Alimenta la corruzione». Carissimi burocrati di
Stato, e se fossero la pressione fiscale insostenibile e la spesa
pubblica elefantiaca, il problema?
Il responsabile della tassazione e il
responsabile della esazione, ovvero il ministro dell’Economia Fabrizio
Saccomanni e il direttore dell’Agenzia delle Entrate e presidente di
Equitalia Attilio Befera, hanno sferrato un attacco frontale all’evasione
fiscale. «C’è bisogno di dire una parola forte e certa – ha detto Attilio
Befera – di affermare che l’elusione e l’evasione fiscale non sono compatibili
con la nostra economia e con nessun sistema veramente democratico».
E poi ancora: «Il rafforzamento della lotta contro la frode fiscale e
l’evasione fiscale è non solo una questione di entrate, ma anche di equità
sociale». Il ministro Saccomanni ha dichiarato che «l’evasione fiscale è
sinergica alla corruzione, all’illegalità e alla criminalità organizzata,
che pregiudicano il buon funzionamento dell’economia» ed inoltre ha «effetti
distorsivi sull’allocazione delle risorse e interferisce con il corretto
funzionamento della concorrenza nel mercato».
Non vorremmo fare la parte di quelli che difendono
chi non paga le tasse, ma la retorica sull’evasione fiscale sta
diventando eccessiva, come se i problemi della nostra economica derivino dal
fatto che lo Stato non abbia risorse a sufficienza, quando in realtà l’erario
recupera l’evasione aumentando le tasse sui contribuenti che le pagano
regolarmente. L’unica cosa concreta e intelligente che a riguardo Befera e Saccomanni
avrebbero potuto dire è che da oggi in poi lo Stato non toccherà più un euro
dei soldi recuperati dall’evasione e che, appunto, ogni euro recuperato andrà
automaticamente a ridurre le tasse di chi le paga tutte. Invece succede
che ogni anno Befera attraverso Age ed Equitalia recupera oltre 12 miliardi di
euro di evasione e Saccomanni (o chi per lui negli anni precedenti) non solo
non riduce di pari importo le tasse, ma addirittura le aumenta per alimentare
una spesa pubblica intoccabile ed ormai fuori controllo.
Se, come dice Befera, l’evasione non è compatibile con
la crescita economica e la democrazia, c’è da dire che ancor di meno lo sono
questo livello di pressione fiscale e i metodi di esazione che
nel corso degli anni hanno fatto carta straccia dello statuto del contribuente.
E con una pressione fiscale così elevata ulteriori poteri di controllo e
intromissione nella privacy serviranno a rendere più difficile l’attività
economica e la produzione della ricchezza, ma non ad eliminare
definitivamente l’evasione. Senza voler fare similitudini azzardate con modelli
economici e protagonisti molto distanti dai nostri, basta ricordare a che in
Unione Sovietica il mercato nero esisteva già a partire dal 1918 e nemmeno
le fucilazioni (altro che pignoramenti) riuscivano a eliminare quell’economia
frutto dell’evasione che paradossalmente ha prolungato la vita dell’Impero
comunista. Quanto alle osservazioni di Saccomanni si potrebbe tranquillamente
sostituire la parola “spesa pubblica” alla parola “evasione” e nessuno avrebbe
nulla da ridire: «La spesa pubblica è sinergica alla corruzione, all’illegalità
e alla criminalità organizzata, che pregiudicano il buon funzionamento
dell’economia». Non c’è bisogno di scomodare papelli e patti tra Stato e mafia
per comprendere che la criminalità organizzata attinga gran parte delle proprie
risorse dalla spesa pubblica di comuni, province, regioni e Stato centrale: appalti,
formazione, concessioni, sussidi e incentivi. Per un fatto semplicemente
operativo è più semplice per la criminalità eleggere un sindaco, assessore o
parlamentare e farsi assegnare un appalto milionario ad hoc piuttosto che
estorcere il pizzo a migliaia di cittadini. Ed anche sul tema della concorrenza
il ministro dice solo una parte della verità: è vero che l’evasione falsa la
concorrenza tra aziende che dovrebbero pagare la stessa quantità di tasse, ma
in un mercato globale il peso più grande sulla competitività delle
nostre imprese è proprio la pressione fiscale molto più elevata che nei paesi
concorrenti.
Insomma ci sarebbe piaciuto che sul tema dell’evasione
fiscale Befera e Saccomanni avessero fatto un altro discorso che fa più o meno
così: “Non serve recuperare l’evasione fiscale se non contemporaneamente non
diminuiamo le tasse. Proponiamo quindi un patto ai contribuenti italiani:
per ogni euro recuperato dall’evasione fiscale lo Stato taglierà un euro di
spesa pubblica e il totale andrà a ridurre la pressione fiscale”. Con le cifre
attuali sarebbero circa 25 miliardi di tasse in meno, si potrebbe
eliminare l’Irap sul settore privato e tagliare di 12 punti il cuneo
fiscale. Se le istituzioni non propongono un patto del genere vuol dire che
il loro vero obiettivo non è la riduzione dell’evasione fiscale ma la ricerca
ulteriori risorse per alimentare la spesa pubblica.
di Luciano Capone (L'Intraprendente)
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