In Italia ci sono 40mila partecipazioni statali, nate
per aggirare i vincoli di finanza pubblica. Confindustria: "Enti poco
efficienti, andrebbero ceduti".
Ma quanto
ci costa il "capitalismo pubblico"? A fare i conti in tasca allo
Stato, che brucia l'1,4% del pil (quasi 23 miliardi di euro) per portare avanti
le imprese pubbliche, è il Centro
studi di Confindustria che, in un report drammatico, denuncia uno spreco
che "l’Italia non può più permettersi".
Secondo gli
analisti di via dell'Astronomia, le partecipazioni possedute dalle
amministrazioni pubbliche in quasi ottomila organismi esterni sono circa
40mila. "Gran parte di questi organismi sono nati, a livello locale,
per aggirare i vincoli di finanza pubblica - sostiene Confindustria - in
particolare il patto di stabilità interno, e come strumento per mantenere il
consenso politico attraverso l’elargizione di posti di lavoro".
Secondo l’associazione degli industriali, infatti, "sarebbe prioritario
dismettere gli enti o comunque azzerare i costi per le pubbliche
amministrazioni di quegli organismi che non producono servizi di interesse
generale".
Citando la banca dati Consoc, istituita
dal ministero per la Pubblica Amministrazione, il Centro studi di Confindustria
rileva che "nel 2012, erano 39.997 le partecipazioni possedute da
amministrazioni pubbliche in 7.712 organismi esterni". A conti fatti
l'onere complessivo sostenuto dalle Pubbliche amministrazioni per il
mantenimento di questi organismi è stato pari complessivamente a 22,7 miliardi,
circa l’1,4% del prodotto interno lordo. Si tratta di cifre consistenti che
meritano attenzione. Infatti, secondo Confindustria, "gran parte di
questi organismi sono nati, a livello locale, per aggirare i vincoli di finanza
pubblica, in particolare il patto di stabilità interno, e come strumento
per mantenere il consenso politico attraverso l’elargizione di posti di
lavoro". "Naturalmente non tutti gli organismi rispondono a
queste logiche - aggiunge il rapporto di viale dell’Astronomia - di certo,
però, il modo e l’intensità con cui il fenomeno si è sviluppato confermano
l’anomalia".
Secondo
l’associazione degli industriale, sarebbe "prioritario dismettere gli
enti o comunque azzerare i costi per le pubbliche amministrazioni di
quegli organismi che non producono servizi di interesse generale".
Quanto alla produttività di questi enti, il centro studi di Confindustria
incrocia una serie di dati e rileva che "oltre la metà degli organismi
non sembra svolgere attività di interesse generale, pur assorbendo nel 2012 il
50% degli oneri sostenuti per le partecipate: circa 11 miliardi di euro. Più in
generale, considerando anche gli organismi che producono servizi di interesse
generale, oltre un terzo delle partecipate ha registrato perdite nel 2012, e
ciò ha comportato per la PA un onere stimabile in circa 4 miliardi". "Il
7% degli organismi partecipati - è la conclusione - ha registrato perdite negli
ultimi tre anni consecutivamente con un onere a carico del bilancio
pubblico che è stato pari a circa 1,8 miliardi. Sono numeri straordinari che il
Paese non può permettersi".
di Sergio Rame (Giornale)
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