Aveva chiesto alla tv di Stato di oscurare i canali e
non versava più il canone. Viale Mazzini non ha mai risposto. E ora un
giudice...
Uno dei
rebus irrisolti di questo paese è l’obbligatorietà del pagamento del canone
Rai. La pigione alla tv pubblica è uno dei tanti pizzi fiscali che ci affligge.
È però opinione consolidata e diffusa che sia praticamente
impossibile liberarsi dal balzello. L’articolo 10 del Regio decreto legge
246 del 1938 stabilisce, infatti, tassativamente i casi in cui è possibile
disdettare il servizio pubblico televisivo: la cessione, la non detenzione o la
richiesta di suggellamento degli apparecchi tv. In altre parole, chi non vuole
“Mammarai” deve rinunciare alla televisione ed eliminare da casa
qualsiasi strumento idoneo a riprodurre il segnale televisivo.
Inutile
sprecare parole sull’inadeguatezza di un decreto littorio a disciplinare la
materia, poiché oggi anche un cellulare riproduce trasmissioni
televisive. L’Italia però, non sguazza solo nell’arretratezza legislativa e
nella prevaricazione del pubblico sul privato, ma anche e soprattutto
nell’incertezza giurisprudenziale. Mai dire mai, perché si trova un Giudice o
una Corte che, emulando Oscar Luigi Scalfaro, «non ci sta». I magistrati
sono chiamati ad applicare le leggi anche quando siano palesemente ingiuste, ma
talvolta fanno obiezione di coscienza. Agiscono motu proprio e sparigliano le
carte. Se il Parlamento in 80 anni non ha messo mano al decreto fascista del
’38 (quando si tratta di tassare i connazionali fa brodo anche Mussolini),
allora ci pensa la Commissione Tributaria del Lazio. La sentenza 597/2013 ha,
infatti, accolto l’istanza di un contribuente che si era opposto alla cartella
esattoriale di riscossione del canone tv, producendo la domanda di richiesta di
oscuramento inviata alla Rai.
Ovviamente
l’amministrazione televisiva non aveva risposto e il fisco aveva proceduto
all’emissione della relativa cartella, impugnata poi dal contribuente. Questi,
dopo la soccombenza innanzi alla commissione provinciale, non si è dato per
vinto e ha proposto opposizione in secondo grado, trovando finalmente ragione
con una decisione destinata non solo a far discutere, ma soprattutto a
diventare una via di fuga dalla tassa del monopolio televisivo di Stato. Secondo
i magistrati laziali la cartella è nulla, anche se il cittadino ha continuato a
usufruire dei servizi tv. È sufficiente, infatti, che egli abbia fatto
denuncia di oscuramento alla Rai e questa non abbia risposto.
La norma di
recesso dal canone è assurda, perché risalente a un periodo storico in cui
c’era una tv ogni 50 utenti e gli unici canali erano quelli Rai, ma è stata
superata da una pronuncia di una Commissione con un anelito di libertà.
Attendiamo che il Parlamento (nelle democrazie le norme dovrebbero innovarle
deputati e senatori e non i magistrati) ratifichi un principio sacrosanto: la
libertà di guardare e pagare la tv che si desidera. Purtroppo, però, la Rai è
controllata dai partiti i quali difficilmente legiferano contro i loro interessi.
Non rimane quindi che ringraziare i giudici tributari del Lazio per il gentile
pensiero natalizio a tutti gli abbonati...
di Matteo
Mion
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