Quindi resta solo la Lega. Che sarà
anche sgangherata, confusa, ferita, appesantita da anni di promesse mancate e
scandaletti. Ma che dopo lo psicodramma del PdL fa un figurone. E
rimane l’unico baluardo a difesa del Nord. L’esecutivo Letta ha
aumentato le tasse. Non intende riformare la giustizia. Incentiva
l’immigrazione. Non aiuta gli enti locali virtuosi. Ha dimenticato il
federalismo. Mantiene in posizioni apicali figure come il ministro Kyenge e la
presidentessa della Camera, illustrissima signora Laura Boldrini. È un governo
sbilanciato a sinistra e che permette ad alcuni dinosauri come Casini di essere
ancora a galla. C’è da credere non resterà insensibile ai lamenti del sindaco
di Roma, che chiede soldi per ripianare i debiti ma vuole fare le Olimpiadi.
Ebbene, questo governo spaventoso che non a caso piace a Napolitano, è ancora
in piedi perché il PdL s’è spaccato e Berlusconi ha deciso il clamoroso dietrofront. Nonostante il
minaccioso intervento di Sandro Bondi, formulato poco prima e che così ha
rimediato una figuraccia.
Il centrodestra non rompe e resta nella maggioranza. Pd
allibito e spiazzato. Azzurri tramortiti e con la credibilità a picco,
anche perché il democratico Zanda li ha insolentiti con l’arroganza tipica di
certa sinistra. Almeno la Lega è stata coerente. No a Letta,
no alle larghe intese. Era partita male, perché quando il buon Enrico si era
insediato aveva deciso un atteggiamento morbido, quasi da finta opposizione.
Astensione sulla fiducia. Grandi aperture. Il grazioso omaggio della pesante
poltrona del Copasir, finita al padano Giacomo Stucchi. Il tutto dopo aver
spedito Giancarlo Giorgetti tra i saggi del Colle e aver votato con entusiasmo
il Napolitano bis. Però, nonostante queste mosse, nelle ultime ore ha tenuto il
punto. E da settimane Maroni sta sparando a zero sul governo, anche perché
sperava che Berlusconi rompesse per davvero. Così da ripristinare quell’asse
del Nord che resta intatto nel Settentrione ma che a Roma ha preso strade
diverse. Col sostegno al governo Letta, il Pdl fa un secondo scivolone in poco
tempo. L’altro è quello sul referendum per l’indipendenza del Veneto:
consultazione che il centrodestra del Nordest ha fatto rinviare nonostante
alcune spaccature (Galan, per esempio, s’era detto favorevole).
L’appoggio al Letta bis offre al Carroccio il gancio
per rilanciare la questione settentrionale
con forza, con la coerenza di chi attacca Palazzo Chigi parlando la stessa
lingua a Roma come a Milano. Il tempo stringe, perché tra un anno e mezzo
andranno al voto Piemonte e Veneto e l’esito delle regionali è imprevedibile.
Maroni deve accelerare per concretizzare quella Macroregione e quell’idea del
75% delle tasse sul territorio che gli hanno fatto vincere le elezioni in
Lombardia. Il primo passo, a questo punto, è il congresso di dicembre
con la scelta del nuovo segretario federale (pare che voglia candidarsi anche
il bolognese Manes Bernardini). Poi servono i risultati. Concreti.
La Lega ha anche la possibilità di raccogliere i delusi dal Cavaliere
che non vogliono astenersi o scappare verso altri lidi. L’alternativa è
regalare il Nord alla sinistra o ai grillini. Gli stessi grillini che tifano
per la decrescita economica (cari imprenditori padani, sapete cosa significa?)
e che concludono il discorso in Senato urlando a Pd e PdL «voi siete gnente». Gnente.
di Albertino (L'Intraprendente)
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