Lo ha detto Barack Obama: «L’Italia è nella
giusta direzione». Allora prepariamoci al peggio. Perché proprio ieri, con un
accordo dell’ultimo minuto, Obama ha evitato che il suo Paese finisse in
default. E non lo ha evitato introducendo riforme nell’economia,
risanando i conti a tempo record. No: ha semplicemente ottenuto dall’opposizione
un voto di compromesso per innalzare il “tetto del debito”,
almeno provvisoriamente. In pratica: per evitare di chiamare ufficialmente “default”
il default. Il debito pubblico americano ammonta alla cifra record di 16.700
miliardi di dollari. Gli ultimi 6.700 miliardi di dollari li ha aggiunti Obama,
nei suoi quattro anni e mezzo di amministrazione. In rapporto al Pil,
nello stesso lasso di tempo, il debito Usa è passato dall’essere il 70%
(nell’ultimo anno dell’era Bush) al 101% attuale. L’Italia, non
solo è “nella giusta direzione”, ma ha battuto il maestro. Il nostro debito
pubblico ha superato la soglia record dei 2mila miliardi di euro. Ed in
rapporto al Pil è pari al 127%. Oggi come oggi, ogni cittadino italiano deve
ripagare 34.630 euro. Una bella spesa, soprattutto quando il lavoro (e gli
stipendi) scarseggiano.
A proposito di lavoro, Barack Obama continua a
governare sul record di disoccupazione nella storia degli Usa del
dopoguerra. I dati più aggiornati sui senza lavoro stentano ad arrivare, la
pubblicazione delle statistiche è stata rimandata il 4 ottobre scorso. Gli
ultimi numeri parlano di un 7,3% ad agosto, in calo rispetto al 7,9%
dell’inizio dell’anno. Ad ottobre, grazie allo scherzo dello “shutdown”
potrebbe essere aumentata di nuovo e già si registra un aumento di richieste di
sussidi di disoccupazione. Ma, giusto per rendere l’idea, durante l’amministrazione
Bush il tasso di disoccupazione era mediamente del 5%. Per trovare una cifra
così alta occorre tornare indietro nel tempo fino agli anni della crisi dei
primi anni ’80, che raggiunse il picco nel 1982. Però c’era Reagan e il
presidente repubblicano, dal 1983 in poi, con le sue ricette di “liberismo
selvaggio” riuscì ad abbassare quel tasso di disoccupazione di 1 punto
percentuale all’anno, costantemente. Con Obama, invece, in cinque anni, la
disoccupazione è calata di 2 punti. Sotto il presidente progressista,
gli americani restano senza lavoro. Anche da questo punto di
vista, gli italiani hanno battuto il maestro: abbiamo il 12,2% di disoccupati
(dato di agosto). E siamo in costante e rapido peggioramento.
Anche in termini di controllo fiscale, l’Irs
(equivalente Usa dell’Agenzia delle Entrate) americano si limita a spiare i
membri del Tea Party e di altri movimenti conservatori. Da noi, l’Agenzia
delle Entrate è molto più equa: tutti i nostri conti in banca sono dei
libri aperti per il fisco, indipendentemente dalla nostra appartenenza
politica. Non solo sanno quanto preleviamo in banca, ma addirittura perché lo
facciamo. Se Obama ha alzato la pressione fiscale fino al 35% (aliquota massima
per individui e imprese), da noi la pressione nominale è 10 punti in più. E
quella reale, stando alle stime più ottimiste, di 20 punti in più.
In conclusione: Obama è un dilettante. Visti i dati di
debito pubblico, fisco e disoccupazione, c’è da pensare che il presidente
americano abbia tutto da imparare dai governi tecnici italiani. Semmai era
Letta che avrebbe dovuto dire: “L’America è nella giusta direzione”, quella del
maggior debito, delle tasse più alte e della disoccupazione cronica.
Ma c’è almeno una lezione che Letta promette di imparare
replicare anche in Italia: «Siamo pronti anche in Europa ad affrontare e
combattere i movimenti populisti antieuropei, i Tea Party di casa nostra».
Considerando i metodi impiegati dall’Irs per spiare i membri dei Tea Party
americani, consiglierei ai membri del Tea Party Italia di rafforzare meglio la
loro privacy.
di Stefano Magni (L'Intraprendente)
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