Bruxelles
si è mossa subito contro i respingimenti. E pur sapendo dei profughi siriani in
Egitto ridotti alla disperazione, non ha mosso un dito. E Roma? Muta.
Chiunque se
ne lavi le mani definendola inaspettata o imprevedibile mente. E sa di farlo.
L'accusa vale sia per le autorità e le istituzioni italiane, sia per quelle
europee ed internazionali.
Dietro ai
morti di Lampedusa ci sono l'indifferenza e l'inadeguatezza di chi a Roma e
Bruxelles dovrebbe occuparsi dell'emergenza profughi, ma assiste da mesi e
senza muovere un dito al deteriorarsi della situazione in Egitto e in Libia, le
due nazioni incubatrici della tragedia. Fatti e date lo dimostrano.
Già lo
scorso 18 agosto il ministro per l'integrazione Cecile Kyenge denuncia il
rischio di una nuova ondata migratoria, annuncia la creazione di una
commissione d'inchiesta e chiede all'Unione Europea d'intervenire. Parole a cui
segue il nulla di fatto sia da parte dello stesso ministro sia da parte
dell'Unione Europea. Per capirlo basta leggere l'allarmato comunicato con cui
quasi un mese dopo, il 13 settembre, Adrian Edward, portavoce del l'Alto
Commissariato per i profughi delle Nazioni Unite di Ginevra, denuncia l'arrivo
«negli ultimi 40 giorni di 3300 siriani principalmente in Sicilia». Quei 3300
disperati sono solo la punta dell'iceberg di una vicenda di proporzioni molto
più vaste che affonda le sue radici nei disastri creatisi in Egitto e in Libia
dopo le cosiddette «primavere arabe» e la caduta di Hosni Mubarak e Muhammar
Gheddafi. Nella nostra ex colonia - trasformata in una nazione senza legge
dalla guerra tra milizie e dal riemergere dei gruppi al qaidisti - i mercanti
di uomini agiscono alla luce del sole e la tratta dei profughi alimenta
un'attività semi ufficiale organizzata sulle banchine dei principali porti.
Come quello di Misurata da dove è partita - tre giorni fa - la carretta
naufragata davanti all'Isola dei Conigli.
All'origine
del capitolo egiziano c'è la decisione del presidente Mohammed Morsi di
accogliere quasi trecentomila rifugiati siriani. Alla caduta di Morsi quei
trecentomila disperati dipinti da alcuni media egiziani come «parassiti
islamici» o «amici dei Fratelli Musulmani» diventano i bersagli di una vera
campagna odio. E a sfruttarne la disperazione si presentano puntuali i
contrabbandieri di umani. L'Alto Commissariato per i rifugiati già il 26 luglio
ricorda come la situazione dei 300mila rifugiati siriani in Egitto si aggiunga
a quella libica dove somali ed eritrei sono la merce prediletta dei nuovi
negrieri. Subito dopo anche la Federazione Internazionale per i diritti
dell'Uomo si chiede «fino a quando la comunità internazionale resterà
indifferente». Ma a Roma e Bruxelles nessuno si scompone. Il premier Enrico
Letta ammette che la situazione va peggiorando, ma si guarda bene dall'alzare
la voce con Bruxelles. La Kyenge dimentica subito gli annunci di agosto e
archivia sia le pressioni sull'Europa, sia l'idea di una Commissione. L'Alto
Consiglio d'Europa, prontissimo ieri a spiattellare un cinico comunicato in cui
liquida come «sbagliate o controproducenti» le misure prese negli ultimi anni
dall'Italia per gestire i flussi migratori, è il primo a non muovere un dito.
Peccato che ai cosiddetti «errori» dell'Italia si contrapponga l'impassibile «laissez
faire» degli altri stati europei. Un atteggiamento evidenziato dai secchi niet
con cui Gran Bretagna, Belgio, Francia, Germania e Svezia rispondono in questi
ultimi due mesi alle richieste dell'Alto Commissariato Onu di aprire le
frontiere ai profughi provenienti dalla Siria.
Ancor più
paradossali sono, però, il silenzio e la rassegnazione con cui il nostro
governo accetta supinamente i niet dell'Europa acconsentendo di fatto a
trasformare il nostro paese nell'ultima spiaggia di tutte le tragedie del Mediterraneo.
Dimenticando che l'accoglienza generalizzata alimenta i traffici di uomini,
finanzia le organizzazioni internazionali e giustifica l'indifferenza e la
passività della comunità internazionale di fronte a drammi come quello egiziano
e libico dove il ricatto dei nuovi negrieri è l'unico modo per sfuggire
all'odio, alla guerra e alla violenza xenofoba.
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