Non diversamente da altre feste
profondamente radicate nelle culture antiche e intimamente connesse ai cicli
vitali della natura anche Halloween ha subito una sorta di plagio, una
trasformazione, quasi un depotenziamento se non censura della sua carica e
forza, che l’ha mutata profondamente facendola diventare una sorta di
carnevalata divertente per bambini o spunto per un neopaganesimo privo di
stimoli e idee. Ciò che lascia perplessi di questa festa non è infatti
l’antico rituale legato probabilmente ai culti celtici pre-cristiani, così
profondamente radicati da spingere la Chiesa a spostare già nel IX secolo la
festività dei Santi da maggio al 1 novembre e a far seguire a questa anche il
giorno dedicato ai Defunti, quanto la gazzarra di una mascherata
autunnale che sembra un inno alla religione consumista esportata e imposta
dagli Usa. Halloween è, in questo senso, uno dei riflessi di quel processo di
omogeneizzazione di gusti e pensieri, stili di vita e abitudini che sembra
segnare la globalizzazione o, meglio, la macdonaldizzazione del mondo,
con maggiore o minore intensità a seconda dei luoghi. In Italia la
macdonaldizzazione, e la trasformazione antropologica del cittadino in mero
consumatore, non è di certo fatto degli ultimi decenni. E a
proposito di questo consumismo, già Pasolini aveva colto nel segno notando come
l’impianto centralistico dello stato fosse funzionale ad un progetto di
sviluppo estraneo alla nostra storia e tradizione; il centralismo statale,
secondo Pasolini, “ha assimilato a sé l’intero paese, che era così
storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha imposto cioè... i
suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la
quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano
concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico,
ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle
scienze umane”.
Rifiutare la carnevalata di Halloween? Yes, we can e lo possiamo fare
mantenendo lo spirito della festa di Ognissanti e dunque l’anima originale
della tradizione celtica. Rovesciamo il tavolo del gioco,
riappropriamoci della festa senza dover rendere nulla alle stravaganze
statunitensi. E non sarebbe la prima volta che noi veneti ci appropriamo
di qualcosa che arriva dall’altra parte dell’Oceano per creare qualcosa di
originale, di nostro: la Mosa, ad esempio, crema di zucca cotta nel latte e
addensata con farina di mais, è fatta partendo da prodotti del Nuovo
Mondo che la nostra tradizione ha saputo rileggere e reinterpretare.
Possiamo ripartire, coniugando l’alta cultura con quella popolare, da
“Zucca barucca, barucca calda” con cui Canocchia cerca di attirare
gli avventori nel primo atto delle “Baruffe chiozzotte “ di Carlo
Goldoni in cui sarà proprio la fetta di zucca barucca calda offerta da
Toffolo, Marmottina, a Lucietta, promessa sposa a Titta-Nane,
innescare incomprensioni e litigi.
La Suca barucca è prodotto per eccellenza di Ciosa, Chioggia, come della
Saccisica, Piove di Sacco, dove si celebra la Suca col mocolò
impissà. Insomma, motivi per festeggiare Ognissanti e l’inizio della fase
finale del contratto agricolo che da noi scadeva a san Martino, ce ne sono e
non sono pochi senza dover pagare lo scotto all’omogeneizzazione culturale e
alla macdonaldizzazione.
di Roberto Ciambetti
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