lunedì 22 agosto 2016

I costi dell’immigrazione non si calcolano solo in Euro

Quali sono i costi dell’immigrazione? Fare i conti non è esattamente semplice. Stando all’Ocse nel 2015 la Germania è il paese che ha speso di più per l’accoglienza, con 2,7 miliardi di euro. Seguono Svezia (2,1 miliardi) e Paesi Bassi (1,2 miliardi). L’Italia, con 885 milioni, è il quarto paese in termini assoluti di spesa:  spendiamo più del doppio di Francia o Gran Bretagna. Il calcolo pro-capite per immigrato ospitato delinea un’altra classifica: con 65,9 € al giorno il costo più elevato è sostenuto dai Paesi Bassi (24 mila euro annui per migrante) mentre il Regno Unito con 6,7 € al giorno  (2.454 € all’anno) chiude la classifica.
L’Italia si conferma quarta con 35 € al giorno (12.758,75 € anno per immigrato), preceduta oltre che dall’Olanda da Belgio (52.7 € giorno per una spesa annua di 19.221,68 € pro-capite) e Finlandia (38 € giorno e 13.887,84 € anno). Distanziamo così la Francia (25.1 € giorno, 9.175,76 anno) la  Germania (18.4 € giorno e 6.705,31 € anno).
Detto questo, ai dati statali occorrerebbe aggiungere le spese socio-sanitarie sostenute a carico della Regione: in Veneto, nel periodo gennaio-agosto 2015 , la spesa è stata di circa 240.000€ per visite effettuate dai servizi di Igiene e sanità pubblica; 200.000 € per visite specialistiche; 231.000 € per le  vaccinazioni; 300.000 € per esami clinici di approfondimento; 30.000 € per il test di verifica della TBC; 100.000 €  per altre prestazioni di vario genere. Totale: un milione 101 mila €.  Come si vede, l’immigrazione costa e costa ben più di 35 € giorno.
Numerosi studi spiegano che i lavoratori immigrati comunque contribuiscono al Pil, rianimano le esauste casse previdenziali e determinano un gettito Irpef non marginale. Non confondiamo il sistema dell’accoglienza con questi lavoratori stranieri, che danno vita in Veneto ad una comunità di oltre 510 mila abitanti, il 10,2 per cento della popolazione residente: si tratta di due cose ben diverse.
Sui lavoratori stranieri c’è altro da dire:  in Italia lo stipendio medio è di circa 1.506 € netti al mese, che scendono però per le basse specializzazioni, a circa 22 mila € lordi anno nell’area Veneta. Mediamente un immigrato dichiara 7.530 euro in meno rispetto a un italiano:  questa differenza supera i 10mila euro in Trentino e Lazio e i 9mila in Lombardia ed Emilia-Romagna non diversamente di quanto non accade in Veneto.
Una vasta massa di manovra di manovalanza straniera è una formidabile leva di ricatto utile a mantenere complessivamente bassi gli stipendi e i salari di tutti i lavoratori: a maggior ragione il ricatto funziona se si mantiene una quota elevata di disoccupazione giovanile e se i lavoratori  ultracinquantenni sono tenuti nella massima precarietà.
E’ facile capire a chi giovi un aumento incontrollato dei flussi migratori, mascherato da solidarietà caritatevole. A fianco della grande impresa che ha tutto l’interesse a tenere sotto scacco contrattuale le maestranze, c’è il mondo del business dell’accoglienza, chi si sta arricchendo sfruttando l’immensa difficoltà, e le tante contraddizioni,  dello stato nel gestire in modo razionale l’ondata migratoria.
A pagare, come il solito, il cittadino che vede aumentare le tasse, crescere la disoccupazione, lievitare la criminalità: per impedire l’esplosione della rabbia popolare bisogna abbattere il tasso di democrazia del Paese, legare le mani ai sindacati, azzerare i partiti, criminalizzare ogni forma di dissenso e persino di satira. Piaccia o no, è quello che sta succedendo in Italia: il costo dell’immigrazione non si calcola solo in € o in percentuale del Pil, ma anche nella qualità del vivere quotidiano e della democrazia. 
Roberto Ciambetti

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