martedì 21 maggio 2013

Il razzismo della Kyenge



Brutta bestia il razzismo, certo, ministro Kyenge. Il razzismo non è solo quello del pigmento, non attiene solo al colore della carnagione, lo sa vero, ministro Kyenge? Il razzismo è anche antropologico, morale, a volte sornionamente borghese, e spesso è quello più pericoloso, quello legittimato dalla pubblicistica perbenista e dalla minoranza chiassosa che si spaccia per maggioranza etica. Il razzismo è anche razzismo del gesto e conseguenza del mancato riconoscimento dell’Altro, lo sa vero, ministro Kyenge, ci tiene dotti sermoni quotidianamente, si prende le home page di tutti i siti della gente che piace, ma poi lo sa, vero, che il monito va applicato nel mondo della vita, nelle giornate e nei dettagli? Ad esempio, accettando la mano tesa di un modesto e fiero capogruppo comunale della Lega Nord, per esempio Alessandro Morelli, che guida la pattuglia lumbàrd a Palazzo Marino. Il quale oggi, durante la cerimonia in cui si conferiva la cittadinanza “simbolica” ai minorenni milanesi figli di genitori stranieri, le si è avvicinato, per stringerle la mano. Da politico, da cittadino italiano (e conterà ancora qualcosa, caro ministro), da uomo. «Volevo spiegarle le nostre ragioni, condivise da centinaia di migliaia di persone. Ma anche solo farle capire attraverso un gesto distensivo che la nostra è e sarà una battaglia durissima contro le sue idee che non uscirà mai dai termini democratici della politica». Che lezione, caro ministro, e finalmente, avrà detto lei, finalmente qualcuno che indica senza possibilità d’equivoco la scissione tra idea e persona, tra agone pubblico e rispetto privato, tra lotta politica e aggressione razziale, cioè il sale di una democrazia liberale. 
Macché. Lei si è rifiutata di dare la mano a Morelli, per rancido senso di superiorità, del tutto ingiustificato, se non da una forma istituzionalmente corretta di razzismo antropologico, e si è trincerata dietro l’atto più banale, arrogante, tristemente italico (in questo senso, certo lei è un monumento all’integrazione): la scorta che interviene ed allontana il cittadino, del tutto innocuo e anzi bendisposto, dal potente, chiuso nel suo circolino autistico, che annuisce sempre e non contraddice mai. No, Morelli voleva rompere il circolo, con onestà, contraddirla, contestare alla radice l’impianto della sua politica immigratoria, e allo stesso tempo stringerle la mano, per “distendere”, levare la tensione, riconoscerla come individuo ed essere riconosciuto da lei. Caro ministro, lei non ha voluto. Se non è una condotta razzistica, scelga lei come definirla. Eviti, però, il consumato doppiopesismo, altra arte nostrana in cui eccelle. Poco prima, infatti, aveva sminuito la becera ordalia degli ultras fiorentini contro Balotelli: «Non sempre si tratta di razzismo». Già, c’è qualcuno più nero degli altri. E ci sono mani che si possono stringere, mentre altre no. C’è l’eterno razzismo intagliato nell’umanità, caro ministro.
di Giovanni Sallusti (L'Intraprendente)

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