lunedì 15 aprile 2013

Il sonno del Nord



Non è il Vito Crimi in sé, che ci fa paura, ma è il Vito Crimi in me, in noi, nella pancia del mondo produttivo che ha votato Grillo, aspettandosi riforme ed efficienza...
Il sonno della ragione genera mostri, ricordatevi di Goya e del suo ammonimento, sulla rinuncia alla facoltà raziocinante, lucida, alla veglia del pensiero. Il sonno della politica genera ostentazione menefreghista, soprattutto se sei grillino, il tempo della protesta è finito, ti ritrovi per caso capogruppo del Senato, e vorresti con tutte le tue forze essere altrove. Nessuno s’accanisca su Vito Crimi, sarebbe ben poco Intraprendente, e se pubblichiamo questa foto, tanto impietosa da risultare bonaria, non è certo per offesa personale. Tra l’altro, da quando i grillini hanno scoperto i ristoranti dei parlamentari, hanno notoriamente alzato il loro livello di alimentazione, per qualità e quantità, perciò banalmente poteva essere un umanissimo abbiocco, quello di Vito Crimi, palermitano d’origine, bresciano d’adozione e d’elezione, uno dei condottieri del Movimento Cinque Stelle nelle istituzioni (ci son condottieri più vispi ed empatici, in effetti, ma questo è affar loro). 
Non abbiamo paura di Vito Crimi in sé, qui, ma, ci sia concesso il libero riutilizzo di una fortunatissima perifrasi di Giorgio Gaber, del Vito Crimi in me, in noi, nell’imprenditore che lo ha votato, nel lavoratore che lo ha sostenuto, nel disoccupato che ci ha creduto. Abbiamo paura del Vito Crimi annidato nell’anima e nella pancia del Nord, ovviamente anche per demeriti altrui, per rabbia prolungata verso i propri referenti naturali, il PdL e la Lega. Effetti collaterali d’una rivoluzione liberale mancata: a furia di tradire il Nord, mortificare le sue esigenze e prolungare la rapina fiscale, può essere che quello deragli, e vada verso Crimi, e compagnia a Cinque Stelle. Ha deragliato il Veneto, soprattutto, ché il lombardo è troppo orgogliosamente borghese, troppo riflessivamente laborioso, per mettersi in fila dietro al piffero d’un satiro talebano che inneggia al reddito di cittadinanza e alla felicità da decrescita. Il veneto, invece, il veneto che lavora perfino di più, ma che è anche più disperato, identitario, risentito dalla sordità abissale dello Stato centrale. Il veneto ha creduto, in larga parte, allo stupidario a Cinque Stelle, ha creduto (o ha voluto credere, ma in politica è uguale) che dietro sputi e urlacci ci fossero le ragioni della piccola impresa, e non solo il cinismo di chi fa spettacolo su qualunque disperazione, sia il lamento assistenziale dei dipendenti pubblici in Sicilia o la loro, opposta, rabbia fiscale, a migliaia di chilometri di distanza. 
Ci hanno creduto, e ora si beccano basiti il sonno della politica. L’inefficacia (ancora zero proposte di legge dall’armata del Capocomico), il dilettantismo (atmosfera da vacanza romana, più che da incarico parlamentare, la capogruppo Lombardi, socia dell’esimio Crimi, che esordisce sui bicchieri di plastica delle macchinette), l’inettitudine politica (onorevoli in libera uscita verso il Pd, nonostante il controllo internettiano). Meglio, urge riaversi dall’abbaglio subito, e lasciare i grillini al loro destino e agli interessi che autenticamente rappresentano, sono il partito della spesa pubblica, dell’assistenza di Stato, del luddismo cocciuto contro le grandi opere. Scrutate il Crimi dormiente, al di là di ogni tratto individuale: non c’è bisogno di essere divoratori accaniti di Lombroso, per intuire che non rappresenta nulla del Nord, del lavoro, dell’impresa, del Paese tartassato che, nonostante tutto, si ostina a produrre e a non arrendersi alla crisi. Perché ora va bene, ora siamo ancora in tempo a risvegliarci e a rispondere all’ultima chiamata, magari incanalata in un grande e maturo partito del Nord. Prima che la risata del Grillo ci seppellisca definitivamente.
Giovanni Sallusti (L'Intraprendente).


 

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