lunedì 22 aprile 2013

Se questo è il Pd… Sfogo di chi vorrebbe (ancora) far politica

Lettera di giovane dirigente lombardo, allucinato dall'autismo del partito. Tra l'illusione della superiorità morale e il delirio web-assemblearistico, cercasi riformismo a sinistra, ora o mai più.
Quanto accaduto in questi giorni merita alcune riflessioni e, credo, un giudizio disincantato, e per ciò stesso provocatorio, nei confronti di coloro che credono di aver firmato una pagina importante della politica italiana. Ho sentito dire cose di fronte alle quali avrei preferito essere sordo. Ma non lo sono, per quanto apparentemente affetto dall’autismo della classe dirigente democratica: ho sentito dire che, in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica, la convergenza dei voti di Lega e PdL sarebbe stata una deriva consociativa, addirittura inciucista, e che avrebbe inaugurato un Governissimo. L’ho sentito dire sia da coloro che, sul piano politico, continuano a guardare al centrodestra come al Nemico Assoluto contro cui definire un’identità incardinata sull’illusione di una diversità morale. Da coloro, cioè, che bloccano da trent’anni una compiuta evoluzione socialdemocratica della sinistra italiana, una sua piena “secolarizzazione” e una sua definitiva sortita dal settarismo. Da coloro, per intenderci, che guardano a Grillo non tanto per sfidarlo sul suo presunto programma, quanto perché in qualche modo affascinati dal suo becero assemblearismo antiparlamentare. Ma l’ho sentito dire anche da coloro che, durante e dopo le primarie, hanno sempre detto a Bersani che i voti di Lega e Pdl non sono da rifiutare, ma da intercettare. Costoro, attratti dall’ipotesi, del tutto inverificata, di un tempestivo scioglimento delle Camere, hanno bloccato ogni candidatura di convergenza e favorito quella di Romano Prodi (autorevolissima ma divisiva in Parlamento). E’ così che i franchi tiratori del Pd hanno rinunciato all’elezione di un Presidente di matrice democratica con i voti degli avversari di centrodestra, per poi guardare all’ipotesi di un Presidente espresso dai grillini, per poi tentare l’elezione di un Presidente candidato dai democratici ma sgradito al centrodestra, il che ha prodotto il prolungamento dello Stato d’eccezione in cui si trova il Paese, fortunatamente nelle mani di Napolitano
Si è così piombati nel giro di due giorni dalla prospettiva di un Governo del Presidente, già percepito come contaminante per le nostre anime belle, alla certezza di un Governissimo benedetto dal Presidente. Le altissime qualità politico-istituzionali e la caratura internazionale di Napolitano rappresentano la più forte garanzia di tenuta del nostro fragile sistema politico in una stagione rischiosa per lo status geopolitico e geoeconomico del Paese. Ma la necessità di una sua rielezione è sintomo di un’immaturità profonda del nostro quadro partitico e della sua incapacità di sintetizzare in processi decisionali lineari i più che legittimi, ma cangianti, desiderata del Paese.
 Questi due giorni hanno fatto crollare il concetto di rappresentanza parlamentare e di delega politica. Molti eletti del Partito democratico non si sono cioè concessi alcun margine di trattativa, di mediazione e di accordo parlamentare secondo la libertà di mandato costituzionalmente prescritta, ma hanno preferito seguire gli impulsi del momento, comprese le discussioni on-line. A molti amici, che su questo punto mi contestano, richiamandomi al fatto che rete e realtà sono la stessa cosa, rispondo: per prima cosa, il web è un importante squarcio della realtà, ma non è proprio tutta la realtà; in secondo luogo, dato che un partito è una “macchina utile a prendere decisioni” e il Parlamento è il luogo deputato ai provvedimenti utili a migliorare la realtà, anziché puramente a registrarla, bisogna ascoltare gli stimoli esterni, interloquirvi, ma poi concedersi quell’autonomia negoziale indispensabile a fare una sintesi politica praticabile. Tutto ciò non significa scavare un fossato tra elettorato e classe dirigente. Significa piuttosto che la democrazia rappresentativa, a differenza della democrazia diretta, riconosce al delegato uno spazio di autonomia in cui, per tempo a disposizione, professionalità e visione d’insieme, può prendere decisioni, nell’interesse del corpo elettorale, che il singolo elettore non si può incaricare di assumere. Il webassemblearismo, provocato anche da un’eccessiva autoreferenzialità delle classi dirigenti, rischia tuttavia di annullare le procedure decisionali di un partito e di contrarre i margini di trattativa con alleati e avversari che costituiscono il tratto costitutivo della politica, soprattutto in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica.
Stefano Binda (L'Intraprendente)

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