sabato 20 aprile 2013

Perché per il Nord Rodotà proprio non s’aveva da fare

Frughi in Internet e trovi le letture della tragicommedia-Quirinale più disparate. E ti accorgi che accade quel che non accadeva da un po’: il popolo della rete si scaglia contro la sinistra, dimenticando di insultare Berlusconi, da almeno 48 ore. Questa di per sé è una notizia, come il fatto che buona parte degli affezionati del clic facile avrebbe gradito chiunque come Capo dello Stato, pur di non lasciare margini di manovra al Cavaliere. L’ultima puntata di una saga drammatica è quella del commento avverso, seppur moderato, a Stefano Rodotà: “Uno statista del suo livello avrebbe dovuto ritirarsi e dire al M5S di convergere su Romani Prodi, sapendo che Prodi era in bilico, e che la caduta di Prodi avrebbe consegnato il Paese a Berlusconi. Perché uno statista si comporta da statista, non da candidato di bandiera”. Si può condividere o meno quest’analisi. Noi non la condividiamo neanche un po’. E non perché nel dettaglio non fotografi una realtà, ma perché l’anomalia della candidatura-Rodotà risiede da tutt’altra parte, risiede in Rodotà, nella sua antropologia. Deputato nel ’79 come indipendente nel Partito Comunista, approda alla commissione Affari costituzionali. Di nuovo deputato nell’83, per Sinistra indipendente, di nuovo nella stessa commissione, prendendo parte alla prima Bicamerale. Nell”89 ministro della Giustizia, Pci, Occhetto, governo ombra. E ancora: primo presidente del Partito democratico della sinistra, che lo riporta, nel ’92, alla Camera e a una nuova commissione Bicamerale. In Europa, per non farci mancare niente guardiamo anche oltre confine, bazzica dall”83, come parlamentare europeo dall”89, senza mai smettere di frequentarla, la Signora delle nazioni, anzi. 
La storia che porta sulle spalle ci allontana di parecchio dal suo profilo. Lo fa perché siamo certamente più vicini a chi riconosce l’urgenza racchiusa nelle istanze di un Nord da sempre poco e male rappresentato. E perché lo spirito liberale raramente può coincidere con i figli, anche nobili, del Partito Comunista. Lo avremmo anche accettato, lo avremmo rispettato come Presidente, ma è innegabile: non sarebbe stato esattamente il presidente di tutti, Rodotà. Ma questo importa poco adesso, Napolitano certo non è un destrorso eppure ha fatto il suo e ci sta tenendo in piedi, malamente ma in piedi. Il punto è che Stefano Rodotà non può essere presidente, non avrebbe dovuto accettare la candidatura, avrebbe dovuto ritirarsi, per onorare la propria storia, la Politica. E non ci sono scuse, l’hanno chiamato in gioco i grillini e se tutti gli avversari politici vanno guardati in faccia e rispettati in quanto detentori della fiducia (in questo caso dell’ira, della frustrazione e spesso dell’ignoranza) degli elettori, lo è anche che chi sputa sull’arte politica, chi inneggia allo sfascio di ogni regola degna di una democrazia, non può essere colui cui strizzi l’occhio non appena, per sbaglio, gli vai giù. Stefano Rodotà avrebbe dovuto ritirarsi perché è uno di quegli uomini che i Palazzi li ha conosciuti a fondo, che la strategia del politico vero, quello conscio che a ogni azione corrisponde una reazione, la mastica come consuetudine. Stefano Rodotà avrebbe dovuto ritirarsi perché è abbastanza alto e preparato e politico da sapere che oggi l’Italia ha bisogno disperatamente di politica, e ammettere che Beppe Grillo e il circo terrorizzato dai micro chip che lo accompagna siano interlocutori veri, affidabili, da cui farsi candidare, è ammettere che quella storia non vale nulla. Il Nord, l’economia, la nazione hanno fame di politica, di riforme, soluzioni e un sacco di crescita, non di decrescita. Hanno bisogno di due presidenti e che i pagliacci vengano rispettati ma archiviati a tali. Il Nord si sta suicidando e Rodotà è troppo per non saperlo, per non sapere che non ci si può fare armare dall’esercito sbagliato, ché i simboli hanno un senso. E lui questo lo sa più di quanto noi sapremo mai. Per questo e mille altri motivi avrebbe dovuto ritirarsi e no, non può essere il nostro presidente.
Federica Dato (L'Intraprendente)

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