lunedì 17 marzo 2014

Matteo Renzi e il Jobs Act: le valutazioni di Roberto Ciambetti

Matteo Renzi nell'era della politica spettacolo segna una nuova frontiera nella comunicazione-recitazione. Act è la vera parola chiave per capire questa nuova frontiera e il suo alfiere, appunto Matteo Renzi. Act, in Inglese, significa testo di legge, ma anche finzione: come termine legato allo spettacolo, Act sta per performance, atto teatrale, recita.
Renzi oscilla dunque tra l'azione e la messinscena, tra l'agire e il recitare, tra il fatto e la commedia: il Job Act, come tutti gli altri Acts promessi dal capo del governo, potranno forse concretarsi in leggi autentiche oppure finire in farsa. Se i mille Euro in più all'anno promessi ai lavoratori a maggio, in concomitanza sospetta con le elezioni europee, non troveranno copertura e dovranno pertanto essere rimandati (ma solo dopo le elezioni) sine die sarà a causa di un Act of God, una fatalità, e non certo perché Renzi si è comportato male, act up in inglese.
E' chiaro, per altro, che atto-act hanno la loro radice etimologica nel latino agere il che ci rimanda anche al greco agogos, guida, da cui demogagogo e anche all'inquietante italico duce. Si oscilla tra speranze e dubbi, forti aspettative, grandi perplessità. Tuttavia qualche piccola certezza affiora soprattutto nel volto cupo di mr. Padoan (pronunciato come avrebbe fatto Sordi nel doppiare Ollio: Pà - dòan) che dovrebbe ritagliare i miliardi promessi senza alterare gli equilibri di bilancio, come teme l'Europa. La via per rassicurare Bruxelles e finanziare, o fingere ( anche in questo caso in inglese si può usare il termine act: "Don't take him seriously, it's all an act") di finanziare l'operazione passa per la svendita dei gioielli di famiglia: l'Eni (38esima azienda tra le prime 2000 al mondo, tra le maggiori compagnie petrolifere a livello internazionale che porta al Tesoro un utile annuo di oltre 1,2 miliardi di €) l'Enel insieme alla controllata Enel green power, leader internazionale nella produzione di energie rinnovabili, Fimeccanica, Poste italiane, Enav... cioè quanto di meglio offre l'economia italiana in settori strategici di natura pubblica. Le aspettative di chi da dietro le quinte sfrutta lo scenario di profonda crisi italiana sono sempre quelle riposte dapprima in Mario Monti, poi in Letta ed ora in Renzi: cambiano i modi di recitare (act in inglese), ma il copione resta sempre lo stesso: il viceministro Morando ha annunciato due giorni fa che punta a recuperare 4 miliardi dalla vendita del 40 per cento di Poste e 1 miliardo dalla cessione di Enav. Sarà un caso ma già Intesa San Paolo ha detto che vuole entrare nel business Poste e così investire parte di quei miliardi arrivati dallo stato a tassi ridicoli che oggi servono proprio per fare un bell'affare a spese del contribuente. Se avessi un libretto o conto di deposito postale non mi sentirei molto tranquillo.
La svendita poi verrà estesa e imposta agli enti locali a partire dalle aziende ex municipalizzate spiegata come ricetta di uscita dalla crisi politica ed economica, in grado di abbattere il debito degli enti locali, attrarre capitali privati anche esteri, magari di qualche emiro, eliminare le poltrone del sottobosco politico e rilanciare così l'economia. Il tutto, ovviamente, senza intaccare il sancta sanctorum dei veri centri di spesa, uno stato elefantiaco e clientelare, una burocrazia ministeriale bulimica dalle pretese folli, intere aree del paese dove si vive di fondi pubblici e si evadono le tasse. Lo spettacolo (act) è sempre quello: Renzi con i suoi act si dà arie da simpatico actor. Ma a muoverlo è un burattinaio molto abile: mastermind, per dirla nell'inglese della City e Wall Street.

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