giovedì 10 aprile 2014

Intervista a Flavio Tosi a tutto tondo su Report, Veneto, Europa…

Dall'euro che va rinegoziato all'urlo del suo territorio strozzato dallo Stato centrale fino alla battaglia per una nuova leadership del centrodestra: chiacchierata tutta politica col sindaco di Verona.
Flavio Tosi, sindaco di Verona, oggetto di interesse di quelli che potrebbero essere letti come pizzini giudiziari e, prima di altro, candidato ideale per le (ancora inesistenti) primarie del centrodestra. Leghista capace di sostanza politica-amministrativa, indicato da certi angoli del Carroccio come l’“epuratore” e ascritto alla cordata liberista, insieme a Roberto Maroni pare avere un progetto politico dal sapor romano. Ancora nel mezzo di una polemica con Report, trasmissione di Milena Gabanelli in onda sui Rai tre, liquida il caso in una manciata di battute: «È una trasmissione che definirei una montagna di fango. Non c’è un fatto, un dato, un’ipotesi. Spazzatura pura».
Il parlamentare forzista Angelo Giorgetti ha chiesto alla Procura lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose.
«Ieri il Procuratore Schinaia ha rilasciato questa dichiarazione: “Non ci sono elementi per aprire un’inchiesta su quanto è andato in onda. Una cosa sono i sospetti, le voci, le ipotesi o le dicerie; ben altra importanza, invece, è quella rivestita dai fatti concreti. E la mia è una Procura che agisce, indaga e interviene sulla base di fatti concreti, non di semplici parole”. È orrenda la bassezza a cui arriva cui certa politica priva di argomenti».
Ventiquattro indipendentisti arrestati. Cosa ci dice in merito?
«La voglia di indipendenza anziché di autonomia esprime il disagio di un territorio fiaccato dalla crisi, che in Veneto si sente moltissimo, essendo una regione che vive di economia privata e non pubblica. Qui ci sono stati decine e decine di suicidi. La protesta esprime l’insoddisfazione dei cittadini. Chi firma per il referendum non è necessariamente secessionista, è semplicemente esasperato da uno Stato centrale che l’opprime con le tasse, soffocando il tessuto produttivo».
Da dove nasce la rivolta?
«È una questione economica. Come fu per la ex Jugoslavia: la Serbia era la loro Roma, con un apparato costoso e inefficiente. Croazia, Bosnia e Slovenia di ribellarono. È solo una questione economica, mai di identità».
Era giusto “ingabbiarli”?
«Lo Stato e la magistratura si sono fatti ridere dietro. I veri delinquenti sono a piede libero, mentre loro hanno ammanettato ventiquattro frequentatori di bar, piuttosto che terroristi. In uno Stato normale gli sequestravi la ruspa giocattolo e gli facevi arrivare un arrivo di garanzia».
Sarà il capolista della Lega Nord alle elezioni europee?
«Lo reputo abbastanza probabile».
Va in Europa a cambiare cosa?
«Il problema è che la Ue ha un difetto di nascita: non è un paese né un’unione politica ma un’insieme di tanti stati soggetti a regole bancarie e commerciali. Stati che vanno avanti a farsi i fatti propri, cosa in cui l’Italia è ultima, perciò non rimangono solo vincoli finanziari».
Lei ha espresso una posizione differente dal segretario del suo partito sulla moneta unica: «Il problema non è l’euro». Ci spiega?
«È vero, ho una posizione leggermente diversa da Salvini, pur non essendo un europeista acritico. Bisogna ricostruire i rapporti, ri-bilanciarli, far rivalutare il peso decisionale italiano. Siamo il terzo paese dell’unione, è vero che la Germania è il primo ma non può darci i compiti. Bisogna rivedere la rappresentatività. Al momento se saltiamo noi salta l’euro».
Il futuro del centrodestra passa dalle primarie?
«Non può che essere così: qualsiasi scelta calata dall’alto non sarebbe accettata dagli elettori, oltre al fatto che i partiti non saprebbero trovare un candidato unico».
È una partita che vorrebbe giocarsi?
«Come sindaco che ha dimostrato di saper amministrare, non tanto come militante o iscritto alla Lega».
Renzi, il riformista: Stefano Bruno Galli su L’Intraprendente ha definito la riforma del Titolo V centralista. Ha ragione?
«Si. Renzi ha individuato il problema trovando la soluzione sbagliata. Sposta le materie dagli enti locali allo Stato per regolare gli sprechi, ma lo Stato è il re degli sprechi. Perciò sbaglia».
Viva il federalismo, dunque.
«L’esempio sono gli Stati Uniti, anche perché bisogna considerare che diversi stati americani per numeri di abitanti non sono affatto superiori alle nostre regioni. Il federalismo lì prevede il decentramento di tutti i poteri. È il federalismo nella sua massima espressione».
Le dico residuo fiscale e lei?
«Rispondo che è la conseguenza degli sprechi di cui ho appena parlato. Ci sono regioni che spendo e spandono, tra l’altro male, e altre che spendono bene e che quindi sono costrette a vedere le proprie risorse utilizzate per coprire i buchi degli altri. Renzi è qui che dovrebbe mettere mani, certo aspettandosi resistenze formidabili: dietro agli sprechi c’è un sistema politico che ha bisogno degli sprechi per garantirsi».
di Federica Dato (Intraprendente)

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